CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 7 febbraio 2023

DEL NATURAL DESIDERIO DI SAPERE (8)

 












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[& IL CAPITOLO COMPLETO]








Se in ciascuno è nato il desiderio di sapere, se nodrito dalla nobiltà e dignità dell’oggetto, fomentato dal diletto che porge, accresciuto dall’utile e dalla perfettione compita che evidentemente vien sempre apportando in qualsivoglia grado, conditione ed essercitio che sia fra gl’huomini, anzi se è notissimo che il sapere è proprio dell’huomo tra tutti i viventi et che a questo egli ha la ragione, né vi è altro uso di quella né più sublime operatione che quella dell’intelletto, onde diremo che venga che così pochi, in numero sì grande, così rari siano che arrivino non pur alla perfettione del sapere e compìto adempimento di questo affetto innato, ma né anco a sodisfare a qualche particella d’esso, ottenendo pur alcuna notitia o scienza particolare?

 

Sarà vana la natural inclinatione?

 

Sarà impedito il servirsi della ragione da Dio donataci nello stesso risolversi a valersi di essa?

 

Che incolparemo?

 

La parte de gli huomini per fiacchezza in affetto sì principale, o per debolezza e trascuraggine nell’esecutione d’esso, o pur la parte della cosa desiderata per difficultà grande che accosti all’impossibile, per scarsezza di mezzi, di modi, di requisiti?




Confessiamo primieramente che ad un istesso parto con sì degna inclinatione (se però non precede ancora) insorge in noi l’odio della fatiga, bastante ad estinguerla in molti totalmente, in altri in gran parte, intepidirla in tutti; mentre ciascuno apprende come impresa laboriosissima l’acquisto delle scienze, e più tosto ammira il virtuoso, esaggerando che

 

multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit, abstinuit

Venere et vino,

 

che habbia ardore d’imitarlo. La dolcezza e l’utile del sapere vengono risguardate come da lontano e come distaccate da noi dall’asprezza di longo lavoro fraposto. Il piacere e commodo della quiete otiosa è tanto presente e congionto che, per goderlo, non vi è bisogno d’opra alcuna, anzi con l’istesso non oprare viene ad haversi.

 

Gli allettamenti a questo sono continui, li sproni e provocationi a quello vengono di rado, et in somma, dipendendo l’uno dalla mente, l’altro dal corpo nostro, non è meraviglia se da quello che per lo più ha maggiori e più fisse radici vien l’altro e più gentile e più nobile facilmente supplantato e suffocato. Il corpo che dovrebbe obedire, oh quanto s’usurpa di dominio, mentre con assedio continuato vien pian piano impossessandosi delle ragioni della sopita mente!




Quindi ogni fatiga si fugge, e vien posposta la buona inclinatione al piacer della pigritia; aggiongonsi l’arti del lusso e le compagnie di questi vani godimenti, bastanti non solo ad impedire l’indirizzo datoci dalla natura alle discipline, ma anco a disviarne e distoglierne i più ferventi nel mezzo del corso.   


Né però da noi così di buon passo vien fuggita la fatiga come ne vien seguitato il guadagno, né facilmente si conosce vero guadagno esser quello che si fa del sapere, copioso quello che si fa con la scienza, poiché l’occhio si rivolge subitamente al denaro et alla robba, onde le vien il commodo et il piacere, onde la stima et il potere; e questi paiono acquisti reali e massicci, gl’altri metaforici e sottili, et è commune parere, fondato assai ben nell’esperienza quotidiana, che poco fruttino le scienze e massime quelle che più ci apportano di cognitione.

 

Più oltre molti temono maggior dispendio e di tempo e di denari nell’apprenderle che non ne sperano d’utile dopo l’acquisto, quale, come posposto a molti successi e sottoposto a molti, tengono per incerto e di dubioso profitto. Ne riconoscono anco gran parte dalla fortuna, alla quale niuno volentieri si rimette, con spesa di tempo e fatiga propria. Onde dalla medicina e leggi, poco e freddamente, dalla filosofia e mathematica, che veramente sono scopo dell’innato desiderio, niente suol aspettarsi della bramata ricchezza et ad altro più facilmente s’appiglia l’huomo dove speri più di sicuro conseguirne.




Li onori ancora, le dignità e li gradi sono procurati da molti per fine non meno commune agli ambitiosi, che si sia quello del guadagno generale a tutti; e sono ben spesso congionti. Non muove il grado e la decenza vera ch’apporta per sé stesso, indelebile, il sapere, ma quello che da’ potenti vien distribuito; né suole più largamente esser dato in premio a’ letterati, di quello che si faccia, il denaro e facoltà; e si vede che più tosto appresso molti potenti le scienze, nel conseguirne cariche e gradi, sono di non poco ostacolo che d’aiuto o merito alcuno; anzi par che diminuischino la stima de’ personaggi ne’ quali sono; poiché sinistramente si giudica, e massime delle speculative, che, occupando e tirando a sé tutto l’huomo, lo rendono inetto alli negotii.

 

Similmente delle attive e pratiche, se sono in eccellenza, non potendo questa esser senza contemplation grande; et indi, in vece d’honorate lodi, sentono ben spesso titoli di melancolici, astratti ed anco stolidi, e volentier suol essere burlata et interpretata in mala parte una conditione, ancorché dignissima, da chi n’è privo, e difficilmente vien premiato et honorato chi è molto dissimile da quello che deve premiarlo.

 

L’eminenza nel sapere, come più sublime, è anco sospetta alli eminenti di fortuna: la facoltà grande che porgono le scienze suol similmente esser poco grata a chi per altra via si trova il potere, e puol veramente sì degno instrumento divenir odioso mentre si dubiti sia maneggiato da cattiva voluntà; né tanto suol amarsi il bene, che non si tema più il male, per le quali cagioni mentre l’humana ambitione vede i letterati e ritirati e bassi, smorzato o almeno raffreddato subito il desiderio di simil conditioni, pensa a quelle vie che possino et inalzare et ornarla della bramata superiorità.




Né solo per questi fini, alli quali per lo più si corre per ogni via, per ogni mezzo, ma anco per l’ordinarie brighe e faccende, che o per sé o per gl’amici e congionti occorrono, suol facilmente l’uomo impiegarsi in molti negotii et occuparvisi di modo che, pian piano, distratto da secondar il nativo desiderio, ne resti poi alienato in tutto, et in ogni altra opra involto et impicciato. Il tempo è breve e riescono lunghe l’attioni, presto ci vien rapita la giornata e presto da sé stessa ci fugge, e nello stesso pensare d’acquistarla veniamo a perderla; se il commodo proprio, se l’amico, se il compimento ci trattiene, quella se ne va.

 

O quanto più facilmente, e quante, ce ne tolgono i negotii che tanti, e di tante sorti, o cercati o accettati da noi, ne occorrono!

 

O com’in essi abusiamo la ragione, e con quanta sottigliezza e diligenza!

 

Se per mangiare, bere, vestire, habitare, dominare e simili fini ce ne serviamo, o che importuno, o che disdicevole abuso!

 

Questi tutti, che ad altro non mirano che ad un commodo e gustoso corso di vita, con li bruti communemente conseguiamo, quali senza alcun uso di ragione tutti questi e procurano et ottengono; e pur non restiamo di abassare a tal concorrenza i nostri pensieri et avvilire in tali abusi il dono della ragione, abbandonatone il proprio uso e la naturale inclinatione, e abbracciamo così più facilmente ogn’altro esercitio che il nostro, mentre l’occasioni, le compagnie, il commodo e gusto proprio più propinquamente ci muovono e con maggior efficacia.




Sono molti che, per nativo temperamento di complessione o per varia dispositione de’ corporei strumenti, nascono meno atti a secondar questo affetto, o pur in esso tepidi. È questo difetto di natura, ma è difetto anco tal volta di volontà in quanto potrebbono aiutarsi. A’ mancamenti della sanità, dell’ingegno, della memoria non mancano remedi; è però molto più facile e solito il trascurarli, e tanto quanto è difficile il repugnar alla constitution naturale. È perciò minor meraviglia se questi tali, che non sono pochi, non sorgono a’ gradi del sapere, e devono esserne meno incolpati, mentre maggior aiuto, tempo e fatiga li è di bisogno che agl’altri, et in sé stessi ne hanno molto più debole appetito.

 

Alle cagioni dette, che sono totalmente per parte e colpa nostra, aggiongiamo hora quelle che dalle stesse conditioni della dottrina, e modi di essa, provengono, e par che nel picciol numero de’ dotti ne scusino alquanto.

 

Che habbia in sé l’acquisto delle scienze, parimente con tutte l’altre grandi e lodevoli imprese, difficultà grandissima, è pur troppo noto et evidente. Difficultà per la fatiga, per il tempo e per l’assiduità, che esquisitamente vi si ricercano, e vogliono l’huomo tutto; di più per la qualità e bisogni della vita nostra, che molte volte si contrapongono. È certo che nove guide sono necessarie alli studiosi, secondo Ficino: tre celesti, Mercurio, Febo et Venere; tre dell’animo nostro, voluntà stabile et ardente, acutezza d’ingegno, memoria tenace; tre in terra, prudente padre di famiglia, buon maestro, buon medico; a molti tutte, a molti per la maggior parte si vedono mancare; né possiamo ad arbitrio nostro venir d'altra provisti che della volontà stessa, nella quale per nostro difetto, come di sopra, sogliamo errare.




Ricerca lo studio stesso i maestri che con la voce viva ci insegnino, ricerca i libri che più pienamente tutte le materie discuoprano e ci communichino l’altrui contemplationi e fatighe; quelli con più maniere, parole e segni all’intendimento nostro le cose accomodino, questi ci facciano sentire la dottrina stessa delli assenti e maggiori e ci mantengano a tutte l’hore nel mezzo della conversatione de’ litterati più eminenti: né questo basta, poiché, per far qualche cosa da noi, è necessario ben leggere questo grande, veridico et universal libro del mondo.

 

È necessario dunque visitar le parti di esso et essercitarsi nello osservare et esperimentare per fondar in questi due buoni mezzi un’acuta e profonda contemplatione, rappresentandoci il primo le cose come sono e da sé si variano, l’altro come possiamo noi stessi alterarle e variarle; quante parti perciò bisogni vedere e quante difficultà habbiano le peregrinationi e gli accessi in certi luoghi e tempi, ciascuno lo consideri, né si sgomenti della morte di Plinio.

 

Se li progressi poi dello studio saranno maggiori, e massime se fruttaranno a beneficio d’altri, come ogni buon filosofo deve procurare, sarà necessario l’aiuto de’ compagni et amanuensi, de scrittori e de stampe et simili. Il tempo poi che queste cose richiedono è lungo e continuato, e per esser all’incontro l’età nostra breve, bisogna cominciar presto e non finir mai; né ciò faremo nelli primi anni, rifuggendolo l’imperfettione puerile, se non siamo da buon padre di famiglia e spinti e provisti, e qui vediamo che lo studio secondariamente molte altre cose ricerca.


(PROSEGUE....)








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