Precedenti capitoli...:
circa i Terremoti (11/3)
Prosegue con la....:
Musica del silenzio e
il rumore del nulla (15)
& Misticismo
& nel cuore delle Ande (16/7)
I giorni tra gli iceberg trascorsero lentamente…
Stavo
lassù nella cabina, sul ponte, oppure andavo a prua, o salivo in plancia con il
binocolo e l’album da disegno…
Gli
iceberg erano come Frammenti che passavano galleggiando: una geografia diversa,
pensavo, da quella che avevo imparato leggendo e crescendo (un panorama in cui
pochi possono comprenderne la bellezza nascosta
vera Natura delle cose in questo mondo a riverso raccontato…).
Gli
iceberg creano uno sconosciuto senso di spazio perché l’orizzonte si ritrae da
loro e il cielo ascende, dietro, senza linee di comprensione (e dalla medesima
ed uguale comprensione possiamo dedurre i comportamenti della Materia assente
al vero paesaggio della Natura, ma ora taci e ascolta!).
È questa prospettiva che incuteva paura alle famiglie dei pionieri non meno dei nuovi e vecchi esploratori e avventurieri. Ragion per cui come far comprendere al dotto quanto all’ignorante suo servo ed allievo la bellezza se non attraverso la metafora dell’Arte qual Natura intera?
Gli
iceberg… dunque…
Quando l’artista scompare in un progressivo smarrimento di ‘ego’, e la vera autrice dell’Opera detta è la Terra: la ‘luce’ è come una creatura, una parte viva e integrante dell’intera scena!
Il
Paesaggio è luminoso, imponente, reale!
Cessa
di essere semplicemente simbolico, come lo è in Europa.
…Al
vertice del suo successo di pubblico e di critica, nel 1859, Frederic Edwin
Church, uno dei più eminenti luministi, s’imbarcò per il lago al largo
della costa di Terranova, voleva disegnare gli iceberg, i quali gli sembravano
la materializzazione della luce in Natura. I piccoli schizzi che aveva
realizzato dal vero hanno una meravigliosa intimità, Church rende tanto la monolitica imperscrutabilità degli iceberg
quanto l’aspetto logoro e tormentato che hanno quando arrivano a sud, nel Mare
del Labrador. Osservando attentamente un disegno eseguito il primo di luglio,
notai che Church vi aveva tracciato
sotto, a matita, le parole:
strano sovrannaturale.
Il quadro ad olio che ricavò dagli schizzi fu chiamato Gli iceberg. È così imponente che l’osservatore ha quasi la sensazione di potervi entrare, com’era appunto l’intenzione dell’artista. In primo piano v’è uno zoccolo di ghiaccio, parte di un iceberg che riempie quasi tutto il quadro e si erge bruscamente sulla sinistra. A destra, lo zoccolo di ghiaccio inondato diventa parte d’una grotta scavata dall’acqua. Al centro, nella distanza, c’è una baia in bonaccia, che si apre sulle acque oceaniche più scure a sinistra, e queste continuano verso un orizzonte tempestoso e altri iceberg più lontani. Sullo sfondo, dall’altra parte della baia, domina un’alta muraglia di ghiaccio e di neve che si estende completamente a destra del quadro. Nell’aria dell’oceano, in alto, aleggia una nebbia ondulata. Le ombreggiature e le forme degli iceberg sono tracciate con mano esperta ed i colori, per quanto leggermente abbelliti, sono veri…
Vi
sono due stranezze in questo paesaggio divenuto molto famoso, la prima, quando
fu presentato a New York il 24 aprile
1861, la reazione fu meno entusiasta di quanto si aspettasse l’artista; ma Gli iceberg differiva dal resto delle
sue opere per un dettaglio cruciale:
non vi era traccia d’esseri umani.
Convinto
di aver forse commesso un errore, Church
riportò l’opera nel suo studio e aggiunse in primo piano un rottame d’un
naufragio, una parte dell’albero maestro con la relativa coffa. Poi il quadro
fu presentato a Boston, dove non ebbe un’accoglienza migliore da quella
ricevuta a New York. Soltanto quando arrivò a Londra i critici e il pubblico si
entusiasmarono. La Gran Bretagna con la sua lunga storia di esplorazioni
artiche apprezzava assai più il soggetto dell’opera.
La
seconda stranezza è che il quadro di Church ‘sparì’ per 116 anni.
Nel 1863 fu acquistato da Sir Edward Watkin, dopo la presentazione londinese, e venne appeso nella sua tenuta presso Manchester, chiamata Rose Hill, quindi venne ereditato dal figlio e fu poi venduto con il resto della proprietà; in seguito fu donato alla vicina chiesa di Saint Wilfred, ma venne restituito a Rose Hill perché di dimensioni troppo grandi.
Prima del 1979 Rose Hill
era diventata un riformatorio; Gli
iceberg, che era appeso senza cornice su una scala, era stato firmato
(impropriamente) da uno dei ragazzi del riformatorio (ignaro - ed ignari - del
valore che questo rappresentava, il riformatorio del resto è anch’esso un ampio
quadro in rappresentanza della propria società tradotta anche in ‘socialità’;
un aspetto cioè, altrettanto paesaggistico della società qui dedotta e
rappresentata, ma noi come l’artista volgiamo l’occhio al Paesaggio astenendoci
al riformatorio espressione di una determinata natura propriamente umana….); ed
i proprietari bisognosi di fondi per il riformatorio l’offrirono in vendita; il
quadro così tornò a New York ed il 25
ottobre 1979 fu venduto all’asta per due milioni e mezzo di dollari, il
prezzo più alto pagato per un dipinto negli Stati Uniti sino a quel momento.
La decisione di aggiungere a Gli iceberg l’albero maestro spezzato attesta senza dubbio l’intuito commerciale di Church ma anche qualcosa di più complesso: e questo giudizio è nel contempo troppo cinico e troppo semplicistico.
Per
quanto ci sforziamo, in ultima analisi possiamo ricavare ben poco senso dalla
natura senza far ricorso a sistemi del genere. Sia che si tratti di spoglie
affermazioni della presenza umana come l’albero cruciforme di Church, oppure degli strumenti
intangibili e metaforici della mente, noi portiamo i nostri mondi nei paesaggi
che ci sono estranei (oppure i quali non comprendiamo talché diventano orridi
incomprensibili alieni pazzeschi…), allo scopo di chiarirli ai nostri stessi
occhi.
È
difficile che potremmo fare diversamente, corriamo il rischio di trovare la
nostra autorità finale nelle ‘metafore’, anziché nella Terra. Indagare le
complessità di un paesaggio lontano, dunque significa provocare pensieri circa
il proprio paesaggio interiore ed i paesaggi familiari della memoria: la Terra
ci sprona (assieme alla Natura che la compone) a comprendere noi stessi.
Molti occidentali hanno pensato ad un confronto con le cattedrali quando hanno cercato una metafora per gli iceberg, e credo che le motivazioni siano più profonde delle ovvie corrispondenze delle linee e della scala. È una cosa legata alla nostra passione per la luce (chi vive o vegeta nel torpore della ‘materia’ poco o nulla comprende, scorge solo un iceberg ed una strana Natura parente ed affine alla pazzia di una vita o un’opera malmente e nebbiosamente descritta giacché per taluni il ghiaccio è solo ciò che affiora da un bicchiere stracolmo di ciò che doppiamente s’intende per Vita…)…
I
primi iceberg che avevamo visto,
appena a nord dello Stretto di Belle
Isle, inclinati e sventrati dall’oceano, sembravano immensamente tristi,
sfiniti da qualche calamità sconosciuta. Li abbiamo superati. Più a nord cominciarono a sembrare dei ritardatari
caduti dietro un esercito, alla deriva,
egocentrici, nell’acqua, cupi e immensi.
Era come se fossero stati portati giù da
un mondo di miti, un Götterdämmerung di
rumore e catastrofe.
Pezzi caduti della
luna.
Più a nord si fermarono nei loro viaggi con maggiore forza. Erano monolitici; le loro mura, torreggianti e scoscese, suggerivano il Palazzo Potala a Lhasa in Tibet, un’architettura montuosa di contemplazione ascetica. Passavamo in mezzo a loro, separati da loro da non più di mezzo miglio. Camminavo da un lato all’altro della nave, chiedendomi come qualcosa di così imponente nel suo suggerimento di vita potesse essere avvicinato così da vicino, eppure sembrare così remoto. Era come stare su un dirigibile al largo dell’Annapurna e dell’Everest nell’Himalaya.
La
suggestione della vita intorno a loro non era
un’illusione. Le foche e gli stormi di uccelli marini erano attratti dal branco di pesci nelle acque
ricche di nutrienti alla loro base, una
risalita guidata dal deflusso di acqua
dolce dall’iceberg, che si riversava nell’acqua più leggera dell’oceano salato. Con il mio
binocolo potevo seguire
le sciarpe di acqua di disgelo turchese che si dispiegavano a 400 piedi verso il mare.
Di tanto in tanto mi allontanavo dalla finestra di tribordo per fare uno schizzo o per osservarli con il binocolo. Mi sono alquanto meravigliato del comportamento della luce attorno agli iceberg quanto del loro austero e implacabile procedere attraverso l’acqua. Hanno preso il loro colore dal sole, dalle nuvole e dall’acqua. Ma prendevano anche le loro dimensioni dalla luce: quanto più forte e diretta era, tanto maggiore era il contrasto la superficie del ghiaccio, del ghiaccio stesso con il mare. E tanto più finemente incise erano le superfici opache delle loro pareti. Più blu è il cielo, più luminoso è il loro contorno contro di esso.
Ho
scritto le parole per le tinte: i grigi
delle colombe e delle perle, del fumo. Isolato
col mio binocolo, l’alto bastione di un iceberg simile a una cattedrale
gotica sembrava staccarsi come un muro di talco umido. Un altro era arrotondato dolcemente, come una
fronte umana contro il cielo, ed era butterato e rigato, il disegno della pancia lacerata di un capodoglio. Paesaggi
fluttuanti, orografici: sezioni
spezzate da una catena
montuosa: creste innevate, valli
di circhi, cime
aguzze. Le ripide pareti spesso
cadevano a strapiombo sul mare, come
peci di granito, le loro superfici sfaccettate
come giada grezza, o più
grossolane, come ossidiana abrasa.
Dove le pareti entravano nell’acqua, la risacca le batteva, creando caverne, grotte e ponti di ghiaccio, rafforzando l’impressione di scogliere marine. Sulla linea di galleggiamento il ghiaccio luccicava color acquamarina contro le sue pareti bianco-grigie. Dove l’acqua di disgelo aveva riempito le fessure o creato degli stagni, le pozze e le vene erano di un blu latteo o sfumavano in un blu marino più luminoso, a seconda dello spessore del ghiaccio. Se l’iceberg si era fratturato di recente, la sua nuova faccia brillava di un blu verdastro: i verdi nelle facce più vecchie e segnate dalle intemperie erano più grigi. Al crepuscolo il ghiaccio assumeva i colori del sole: rosa, gialli rossastri, viola acquosi, rosa tenui. Il ghiaccio rifletteva la luce e la intrappolava nei suoi angoli e bordi cristallini, dove si intensificava.
Il
carico di rocce, ghiaia, limo e sabbia che gli
iceberg portano dentro di sé riga
i loro fianchi; mentre si sciolgono,
salgono più in alto nell’acqua e i detriti
nella loro acqua bassa creano una
serie di segni di linea di
galleggiamento. Mentre si
fratturano e si
inclinano, i modelli dei segni della linea di galleggiamento
si incrociano ad angoli dispari e si
inclinano ancora verso il cielo.
È impossibile sapere quanta parte giace sott’acqua: quattro quinti della sua altezza e sette ottavi della sua massa è la regola generale del marinaio. E la forma di ognuno cambia al passaggio della nostra nave. Appaiono nuove valli, pendii di neve battuta dal vento, bastioni e guglie e scogliere colonnari.
Un
giorno, bassi ponti di nubi cumuliformi in
direzione sud-est aprono un orizzonte a ovest e a nord. Alla luce del sole splendente gli iceberg
ora brillano di un bianco accecante nell’acqua
nera come vele illuminate dalla tempesta. Dopo un po’ gli iceberg vicino all’orizzonte
rompono con la superficie dell’oceano per galleggiare bassi nel cielo azzurro
pallido. Quattro o cinque di loro, miraggi
lontani, che sembravano non prendere sul serio il momento. Torno, sorridendo, a
quelli immediatamente prima di me, e rinnovo il mio misero schizzo in
confronto alla maestosa bellezza.
Fisso per ore dalla finestra di tribordo queste creature che non ho mai visto prima. Passano alla deriva nel bel tempo sculacciato. Come sembrano assolutamente immobili, non ortodossi e meravigliosi.
La
maggior parte degli iceberg dell’emisfero
settentrionale si stacca
dai ghiacciai occidentali
della calotta glaciale della
Groenlandia, nelle baie di Disko e
Melville.
Si
spostano a nord nella corrente della Groenlandia occidentale per un po’ e poi vengono a sud lo stesso anno o l’anno
successivo con la corrente canadese fino
al mare del Labrador. Per quanto
imponenti, gli iceberg sono sminuiti
dalle isole di ghiaccio, una specie di ghiaccio che si è formato lungo la costa
settentrionale della Groenlandia e la costa
nord-occidentale dell’isola di
Ellesmere dalle piattaforme di ghiaccio che si
estendono al largo nelle
insenature dell’oceano (La
struttura e il comportamento del ghiaccio di piattaforma
sono stati paragonati a quelli sia del ghiaccio glaciale che del ghiaccio marino, anche se in senso
stretto non lo è nessuno dei due).
Nella banchisa polare, dove costituiscono basi di deriva ideali e a lungo termine per la ricerca scientifica. Sono strutturalmente solidi e le loro cime piatte, uniformemente ondulate come un tetto di lamiera, offrono una piattaforma di lavoro vicino alla superficie dell’acqua.
Estesi
quasi quanto le isole di ghiaccio ma molto più
spessi sono gli iceberg tabulari, che si staccano interi dai piedi di un ghiacciaio di marea. Con un volume di 40 o
50 miglia cubiche, sono gli oggetti più grandi che galleggiano nell’emisfero settentrionale.
Altri tipi di ghiaccio artico d’acqua
dolce includono il ghiaccio che si forma
sui fiumi artici e sui laghi e stagni della tundra (che possono congelare sul fondo in inverno),
e le lenti e le fette di ghiaccio
macinato all’interno del
permafrost. Questi ultimi
influenzano la formazione di una geometria
distintiva delle crepe del gelo nella tundra chiamata
‘terreno modellato’ e sollevano i
tumuli emisferici, o bolle di gelo,
chiamati pingos (Un noto ammasso di
circa 150 pingo, di età compresa tra 3000 e
5000 anni, sorge vicino a Toker
Point, appena ad est della foce
del fiume Mackenzie.).
Il ghiaccio marino che si forma sulla superficie dell’oceano si comporta in modi meno prevedibili rispetto al ghiaccio d’acqua dolce, a seconda di come si forma e si altera e di quanti anni ha. La sua fisica - la distribuzione delle forze al suo interno, la gamma della sua elasticità e plasticità, la qualità strutturale dei suoi reticoli cristallini - è estremamente complessa. ‘Quasi una sostanza sulla terra’, scrive uno scienziato, ‘è così docile, così inaspettatamente complicata, così ingannevolmente passiva’.
(B. Lopez)
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