Precedenti capitoli
circa i terremoti (10)
Prosegue con:
Prosegue con la
deriva dei continenti e i
continenti alla deriva (12)
Prosegue ancora con
Wegener & Mantovani [13]
….Certamente
i poeti hanno voluto intendere per carcere quello nel quale [i venti] stanno
nascosti, chiusi sotto terra, ma non hanno capito questo, che ne ciò che e
chiuso e ancora vento, ne ciò che e vento può più imprigionarsi. Infatti ciò
che e in chiuso e calmo, e aria immobile: il vento presuppone sempre una fuga
d’aria.
A queste
prove da cui risulta che il terremoto e determinato dall’aria, si aggiunge
anche questo, che il nostro corpo non trema altrimenti che se qualche causa
perturbi lo spirito vitale, quando questo si contrae per la paura, quando
illanguidisce per la vecchiaia e ristagna per la perduta elasticità delle
arterie, quando si arresta nei suoi movimenti per il freddo o all’avvicinarsi
di un accesso febbrile perde la regolarità del suo corso.
Infatti sin
quando esso circola senza ostacoli e segue normalmente la sua via, il corpo non
e scosso da tremore; ma quando invece incontra qualche ostacolo che impedisce
le sue funzioni, allora, incapace di sostenere ciò che con la sua energia
regolava, indebolendosi scuote tutto quello che quando era sano teneva insieme.
(Seneca)
Lo studio scientifico dei terremoti è relativamente nuovo. Fino al XVIII secolo furono registrate poche descrizioni fattuali dei terremoti e la causa naturale dei terremoti era poco compresa. Coloro che cercavano cause naturali spesso giungevano a conclusioni che oggi sembrano fantasiose; una teoria popolare era che i terremoti fossero causati dall’aria che usciva dalle caverne nelle profondità dell’interno della Terra.
Il primo
terremoto per il quale abbiamo informazioni descrittive si è verificato in Cina nel 1177 a.C., il catalogo cinese
dei terremoti descrive diverse dozzine di grandi terremoti in Cina durante le
successive migliaia di anni. I terremoti in Europa sono menzionati già nel 580 a.C., ma i primi per i
quali abbiamo alcune informazioni descrittive si sono verificati nella metà del XVI secolo. I primi
terremoti conosciuti nelle Americhe furono in
Messico alla fine del XIV secolo e in
Perù nel 1471, ma le descrizioni degli effetti non erano ben documentate. Nel XVII secolo, le descrizioni degli
effetti dei terremoti venivano pubblicate in tutto il mondo, sebbene questi
resoconti fossero spesso esagerati o distorti.
Nel 115 d.C. Antiochia fu al centro di un grande tumulto. La città era piena di soldati comandati dall’imperatore Traiano, si udirono forti tuoni, venti eccessivi e rumori sotterranei, la terra tremò, le case crollarono le grida delle persone sepolte tra le rovine passarono inascoltate. L’imperatore si lanciò da una finestra mentre le montagne venivano abbattute i fiumi scomparivano e venivano sostituiti da altri di nuova formazione. Quattro secoli dopo (20 maggio 526) la stessa città condannata fu totalmente sconvolta da un nuovo terremoto, si dice che morirono 250.000 persone.
(Terremoti)
…Arrivai ad Antiochia l’ultima settimana di luglio, in una giornata calda e umida…
Davanti
alla porta della città incontrai una gran folla di uomini e donne.
Naturalmente, pensai che fosse accorsa a darmi il benvenuto, e stavo per fare
un discorso di ringraziamento.
Ma nessuno
mi badava.
Gridavano tutti
strane parole agitando ramoscelli.
Cercai con
lo sguardo mio zio Giuliano, ma non c’erano dignitari in vista, soltanto la
folla che continuava a cantare ritmicamente:
‘Una nuova stella
è sorta in Oriente’.
Confesso
che la presi per un’allusione a me: ci si abitua a ogni sorta di iperbole. Ma
quando tentai di parlare, la gente non mi ascoltò. Continuavano tutti a fissare
il cielo. Alla Porta di Settentrione il prefetto del pretorio Saluzio Secondo,
mio zio e il senato, mi diedero il benvenuto ufficiale. Non appena i convenevoli furono terminati
domandai:
‘Che cosa
fa tutta questa gente?’.
Mio zio si
scusò molto. Di tutti i giorni del calendario avevo scelto per il mio arrivo ad
Antiochia proprio quello in cui si commemora la morte di Adone, l’amante di Afrodite.
Così feci
il mio ingresso ad Antiochia fra i pianti, gemiti e nenie funebri, che
rovinarono irrimediabilmente la mia prima impressione della città. Una città
magnifica, popolata di mascalzoni. Ma sono ingiusto. Gli antiocheni sono fatti
in un modo e io in un altro.
Io sono un
cane e loro son gatti.
Al cantante Anacreonte, infatti, avvenne di comporre molte gaie canzoni: poiché era nato per godere della propria come altrui limitata conoscenza. Ma non così ad Alceo né ad Archiloco di Paro, lddio concesse di volgere la Musa a cose gioconde e dilettevoli. lmperocchè, condannati, ora per questa ora per quella cagione, a soffrire, della poesia servivansi al solo scopo di rendere più lievi a sé stessi, mediante l’invettive contro gli avversari, i mali che il cielo a loro impartiva.
A me invece
la legge proibisce - come, credo, ad ogni altro - di accusare per nome coloro
che, in nulla da me maltrattati, tentano recarmi del male: e di usare la forma
poetica me lo sconsiglia il sistema di educazione che ora prevale fra gli
uomini liberi.
Infatti,
coltivar la poesia sembra oggi più turpe di quel che paresse, una volta, l’arricchirsi
disonestamente.
Ma non per
questo vorrò io rinunciare, per quanto è in me, all’aiuto delle Muse. Ben io ho
visto anche i barbari d’oltre Reno cantare canzoni selvagge composte in una
lingua che somiglia al gracchiare di certi striduli uccelli, eppur compiacersi
di tali canzoni: poiché si dà sempre il caso che i cattivi musicisti siano per
il pubblico una tortura a sé stessi sono gradevolissimi.
Il che io
appunto considerando, ho preso l’abitudine di ripetere a me stesso, non col
medesimo fondamento, ma - ne sono persuaso – con somigliante fierezza, quel che
diceva Ismenia: che, se non altro, canto per le Muse e per me.
Il mio canto, veramente, è in forma prosastica. E contiene molte e grosse invettive: non contro terze persone, per Dio - e come, se la legge lo vieta? – bensì contro il poeta e l’autore stesso.
Infatti,
scrivere di sé vuoi lodi vuoi biasimi non c’è legge che lo interdica. Ora io,
di lodarmi, anche volendo ad ogni costo, non avrei alcun motivo, di vituperarmi
mille.
[….] Che
voi di ciò siate fieri, chiaro lo venite dimostrando in molte occasioni, ma,
più che tutto, nelle piazze e negli spettacoli : il popolo con gli applausi e
con le grida; i magistrati con la nomea che dalle spese profuse in siffatti
festeggiamenti ricavano, più grande che non ricavasse Solone ateniese dal suo
colloquio con Creso re dei Lidii.
Siete tutti
belli, e imponenti, e lisci, e sbarbati, tanto giovani quanto vecchi egualmente
imitatori del beato vivere dei D Feaci,
Abiti nuovi e lavacri tepenti e molli giacigli
scegliendo
in cambio
della virtù.
E tu
credevi che la tua rusticità e la misantropia e la goffaggine potessero andare d'accordo
con questi nostri costumi?
Oh, il più
idiota e il più scontroso uomo del mondo, è proprio così insensata e cosi fatua
codesta tua animuzza cui i poveri di spirito applicano titolo di sapiente, che
tu sul serio creda di doverla con la saviezza adornare ed abbellire?
A torto: perché, in primo luogo, la saviezza che cosa sia noi Antiocheni non sappiamo: ne udiamo il nome unicamente, l’opera non vediamo. Ché se consiste nel vivere come tu ora vivi, vale a dire, se bisogna servire gli Dei e le leggi, essere eguale con gli eguali, della superiorità che sopra gli altri uno avesse usare con dolcezza, vegliare e provvedere affinché i poveri non patiscano soprusi dai ricchi, e per questo prendersi brighe, come è da credere sia avvenuto spesse volte a te, inimicizie, ire, contumelie, e anche ciò ingollare virilmente e non offendersi né cedere all’ira, ma contenerla, quanto più si può, e castigarla; se infine si aggiungesse fra gli atti della saviezza anche questo, di astenersi da ogni piacere che pur non paresse, in pubblico, eccessivamente obbrobrioso e disonesto, nella convinzione che non sia possibile essere savi in privato e fra le pareti domestiche, quando in pubblico e allo scoperto si vuol fare i licenziosi e ci si diverte agli spettacoli: se dunque realmente la saviezza è una cosa siffatta, tu sei rovinato e rovini nel contempo noi pure, che non tolleriamo di udire di servitù neanche il nome, né verso gli Dei né verso le leggi.
Evviva,
dappertutto, la libertà!
Ma via,
quale ironia è codesta?
Tu dici di
non essere Signore e non tolleri di essere chiamato così, anzi a tal punto ti
infuri che i moltissimi i quali ne avevano antica abitudine li hai indotti a
smettere come odioso quel titolo di
podestà; e dopo ci costringi ad essere schiavi dei governanti e delle Leggi.
[….] Quindi, io chiedo primieramente scusa per me; poi la concedo in ricambio anche a voi, che emulate i patrii costumi. Né ad obbrobrio vi ascrivo di essere, secondo il verso di Omero,
Menzogneri e nell’arte dei pie’ danzatori maestri;
…anzi dico
che ad onore vi ridonda l’imitazione delle patrie consuetudini.
Infatti,
anche Omero per lodare Autolico disse che a tutti sovrastava…
In ladreria e spergiuro…
Ed io pure
la mia ruvidezza, la mia stupidità, il mio fare burbero, il mio non essere
facilmente malleabile, il non subordinare gli affari miei né a raccomandazioni né
ad inganni, il non cedere alle proteste, questi ed altrettali miei difetti, io
li adoro.
Se siano
più lievi o più gravi dei vostri, ciò sapranno forse gli Dei: degli uomini
niuno sarebbe in grado di dare il verdetto. E noi non gli crederemmo, per egoismo:
poiché è nella natura umana che ciascuno ammiri le cose proprie, disprezzi le
altrui. Tant’è che chi con le persone di opposti principii usa indulgenza, quegli
a me pare fra tutti il più discreto.
(Giuliano)
Per una reale definizione e considerazione di un ‘problema’ con una conseguente ‘risoluzione umana’ posta nella ciclicità di un evento naturale come il ricorrente fenomeno tellurico, con il quale l’evoluzione della progressione geologica…
(precedente alla ‘vita’ successivamente
classificata del regno animale come vegetale, quindi dedotta per ogni
successivo reperto dalla scienza paleontologica rinvenuto nella crosta; e, non escludendo o isolando il ‘fenomeno’ come
simmetrico allo stesso principio classificatorio, ed anzi ammettendo che l’Uno
nato e quindi successivamente evoluto [posto
alle condizioni matematiche di un enunciato con i simboli che più si convengono
tenda a porre le condizioni di irreversibilità del proprio dall’altrui
risultato, ovvero, mentre la Natura procede dall’Uno verso il progressivo
miglioramento, l’humano in simmetrico enunciato tende a porre le condizioni di
involuta irreversibilità opposta alla Logica da cui deriva posta al negativo
assoluto…], sia della stessa ‘inanimata
e animata’ Natura e consistenza affine al progredire della Vita evolutiva; se quindi ammettiamo l’Uno innanzitutto qual forma
primordiale del tutto dall’Universo evoluto, calco e forma d’ogni prospettiva
‘culturale’ [‘cultura’ intesa e
posta nella globalità delle connessioni ‘in e per cui’ si manifesta ed
esplicita tanto il Divino come la Filosofia, sia essa scienza Teologica o
scienza esatta affine alla vita come alla metafisica si guardi a tal proposito
il noto Giamblico, ultima forma di Neoplatonismo]; riscontriamo qual risultato ottenuto, anche quando pensiamo
presumibilmente la Vita evoluta, - tratta e/o sottoposta - alle singole
considerazioni classificatorie dalla materia dedotta, procedere
incontrovertibilmente alle paradossali condizione d’ugual medesima
deriva deduttiva [con cui leggere
simmetrica Storia], con la quale,
come afferma lo stesso Wegener, si evidenzierà l’aspetto di ricerca della
verità tratta e posta alla deriva evolutiva [ed
ovviamente compresa la Storia detta…])
….dalla crosta alla superficie d’ogni Terra emersa o inabissata si esplicita in forza ‘della e nella’ Natura (e non certo demoniaca), non possiamo o dobbiamo escluderne ogni suo Fenomeno per il conseguimento evolutivo - e non solo della Verità - a cui ognuno per sua ugual Natura aspira o dovrebbe (e non solo lo scienziato positivista), compresa ogni verità Divina che il fenomeno non volendo esplicitando sottintende.
Il quale
come fenomeno al meglio rivela Natura e distanza nella forza e consistenza di
tutta la propria energia apparentemente distruttrice rilevare l’altrui
impotenza; e simmetricamente risaltarne, nella prospettiva d’ugual Memoria in
cui avvertito, una Storia non disgiunta dalla Natura (come abbiamo letto da Seneca), la quale in medesima frattura costantemente rinnova ed evidenzia - come
risalta - scissione e deriva ove ogni cultura - e non solo l’umana sviluppata
-; facendo sorgere all’Alba d’ogni Coscienza (animata e inanimata) l’ineguagliata Profetica Luce a dispetto d’oscuri oracolari Filosofi pagani posti alla deriva.
Ed altresì
riscontrando su ugual onda sismica alla Luce di medesima presa di Coscienza (e non solo storica), seppur la tellurica
frattura divida per poi successivamente alla deriva nata unisca (intendendo la Natura nella prospettiva d’un
medesimo Dio pregato), l’umana
fragilità in cui delinearne come interpretarne, per poi solo dopo leggere e
decifrarne gli
opposti intenti nei limiti della nostra natura d’una seppur
minuscola ‘evoluta particella’, in cui porre la vera e più saggia prospettiva,
per come la Vita s’intenda o dovrebbe.
Accade raramente, dato lo stato ancora imperfetto delle nostre attuali conoscenze, che, nel riferirci al passato della terra, si giunga a risultati opposti, sia che si consideri il problema dal lato biologico sia da quello geofisico. I paleontologi concordano coi geologi e coi botanici nell’ammettere che i continenti, oggi separati da una larga estensione di mare profondo, fossero uniti nel passato geologico da tratti di territorio che resero possibile uno scambio ininterrotto e reciproco della fauna e della flora. I paleontologi traggono questa conclusione dalla presenza di numerose specie identiche, che nel passato della terra vissero sugli uni e sugli altri continenti e per le quali sembra inverosimile ammettere un’apparizione contemporanea. E che la percentuale di casi identici sia limitata, si spiega facilmente con il fatto che solo una parte degli organismi a quei tempi si è conservata allo stato fossile ed è stata trovata fino ad ora.
Ed anche se l’intero mondo organico fosse stato
un tempo identico su tali continenti, la limitatezza delle nostre conoscenze
non potrebbe avvalorare tale ipotesi; e d’altra parte, anche ammessa una
completa possibilità di scambio, può darsi che il mondo organico non sia stato
completamente identico, così come oggi l’Europa e l’Asia hanno una flora e una
fauna loro particolari.
Allo
stesso risultato giunge anche lo studio comparato dell’attuale regno animale e
vegetale.
Le specie attualmente viventi sui due continenti sono sì diverse, ma i generi e le famiglie sono ancora gli stessi, ciò che oggi è il genere o la famiglia fu in altri tempi la specie.
Allo stesso modo le affinità esistenti tra la
fauna e la flora d’oggi portano a concludere che anche la fauna e la flora del
passato geologico fossero identiche e che perciò debbano aver avuto luogo degli
scambi.
Solo dopo che venne a mancare questo collegamento
si sarebbe determinata una separazione nelle varie specie oggi viventi. Non si
ripeterà mai a sufficienza che se non si ammettono queste unioni tra i
continenti, tutto lo sviluppo della vita sulla terra e l’affinità degli attuali
organismi, pur viventi in continenti lontani, sono desinati a restare per noi
un enigma insolubile.
Nelle pagine precedenti ci siamo fermati con
intenzione un po’ a lungo sulle obbiezioni mosse alla teoria della contrazione,
perché in una parte dello svolgimento seguito da queste idee ha radici un’altra
teoria oggi diffusa, soprattutto tra i geologi americani, indicata come teoria
della permanenza. Willis così si è espresso: ‘I grandi bacini oceanici sono
delle formazioni permanenti della superficie della terra e, all’infuori di
piccole variazioni nei loro contorni, si sono trovati sin dalla prima raccolta
delle acque nello stesso luogo ove si trovano ora’.
In realtà, già in precedenza, a proposito della provenienza dei sedimenti marini dai mari superficiali, eravamo giunti alla conclusione che nella storia della terra le masse continentali come tali debbono essere state permanenti. L’impossibilità che deriva dalla teoria dell’isostasia di considerare gli attuali fondi oceanici come dei continenti intermedi sprofondati, si completa con l’idea di una permanenza generale dei fondi dei mari e delle aree continentali. E poiché anche qui si è mossi all’ipotesi che la posizione relativa delle aree continentali non abbia subito alcun cambiamento, il modo in cui Willis ha espresso la sua teoria della permanenza appare come la conseguenza logica delle nostre osservazioni geofisiche, che portano a non tener conto di antichi collegamenti continentali assistiamo così a questo fatto singolare e cioè che, sull’aspetto preistorico della nostra terra, dominano due teorie completamente opposte:
In Europa la teoria dei ponti, in America
la teoria della permanenza dei fondi oceanici e delle aree continentali.
Ma quale è la verità?
In un dato tempo la terra non può avere avuto che
un dato aspetto. Vi furono un tempo dei ponti di territorio oppure i continenti
erano separati come oggi da estesi fondi oceanici? È impossibile non accettare
l’ipotesi degli antichi collegamenti continentali se non si vuole rinunciare a
comprendere lo sviluppo della vita sulla terra. Ma è ugualmente impossibile
respingere le ragioni con le quali i sostenitori della dottrina della
permanenza si rifiutano di ammettere l’esistenza dei continenti intermedi. Non
resta allora che una possibilità: e cioè che nelle premesse date come intuitive
si nasconda qualche errore.
A questo punto si inserisce la teoria
della deriva dei continenti.
L’ipotesi, di per sé intuitiva, che sta alla base sia degli antichi collegamenti continentali, sia della dottrina della permanenza, e cioè che la posizione relativa delle aree continentali le une rispetto alle altre non sia mai mutata, deve essere falsa. I continenti debbono aver subito uno spostamento. L’America meridionale deve essere stata vicino all’Africa e aver formato con questo un unico continente, che nel Cretaceo si scisse poi in due parti, le quali, come un masso di ghiaccio che si spacchi, nel corso di milioni di anni si allontanarono sempre più l’una dall’altra.
I contorni di queste due masse sono
ancora oggi di una concordanza sorprendente.
Non solo la grande spaccatura ad angolo retto,
che si nota sulla costa brasiliana presso il capo San Rocco, trova il suo
corrispettivo nella spaccatura della costa africana presso il Camerun, ma anche
al sud di questi due tratti ad ogni protuberanza della costa americana
corrisponde una baia di uguale forma sulla costa africana; e viceversa ad ogni
insenatura sulla costa brasiliana corrisponde una sporgenza sulla costa
africana.
Una misurazione col compasso dimostra poi che le due terre sono della stessa dimensione. Anche l’America del Nord un tempo era situata vicino all’Europa e formava con questa, per lo meno nella parte superiore, un unico territorio, che solo nel tardo Terziario, e al nord solo nel Quaternario, si scisse in corrispondenza della Groenlandia, dando origine a terre separate. L’Antartide, l’Australia e l’India peninsulare erano situate, sino all’inizio del Giurassico, presso il sud-Africa e formavano con questa e col sud-America un’unica area continentale, anche se in parte coperta dal mare superficiale la quale, nel corso del Giurassico, Cretaceo e Terziario, si scisse in più territori, che andarono fluitando in ogni direzione.
(A. Wegener)
Da questo improvviso ‘urlo’ di una natura povera, mutevole, incompresa, al pari d’un intero Universo che urla le sue ragioni, i suoi motivi, il suo credo. Che canta d’improvviso il suo Dio ...sconosciuto.
Sconosciuto
a noi poveri esseri e comuni mortali, convinti di tanta, troppa ricchezza. Se
d’improvviso la voce, la vera voce si solleva, e ricorda la sottile crosta, la
sottile divisione, l’impercettibile casualità non letta tantomeno compresa, allora torniamo al buco della
nostra umile inconsistenza, che sia ozono o il
fondo dell’Ade, c’è poca differenza nella inutile costanza chiamata ‘uomo’.
Cosa
possiamo leggere in medesimo evento.
Tanto!
Troppo!
Cosa ti potrei raccontare… Attilio, nella nostra solita passeggiata, strette le bisacce, immutata la via, fra questi cacciatori di lupi, orsi, del vento, del gelo, della segreta voce non vista né udita, ma percepita come un’intuizione di verità. Che canta le sue ragioni la mattina quanto la sera in un continuo tremore di un nuovo divenire. Cosa potrei raccontarti, che già non sia stato detto da una voce sconosciuta…
(Giuliano, Dialoghi con Pietro Autier)
[PROSEGUE CON L'ARTICOLO COMPLETO]
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