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.....Arved ed io eravamo viaggiatori, .......non turisti!
Almeno non lì....
Per quanto riguarda il turismo in Antartide, mi batto perché sia innanzi tutto
contenuto, e perché - in secondo luogo - avvenga soltanto a piedi.
Non si dovrebbe consentire a nessuno di 'vincere' il continente di ghiaccio
con una macchina.
La macchina costituisce il primo passo della rovina d'ogni paesaggio.
L'Antartide è la dimostrazione che il mondo, originariamente, era un paradiso.
Solo quando l'uomo ha cominciato a viaggiarci e a spartirsela, ha inventato
l' 'inferno'.
L'inferno è una conquista del progresso umano. E, nell'arco dei millenni, il
progresso umano ha confuso 'inferno' e 'paradiso'.
Mediante la tecnica, le macchine e le centrali nucleari, il paradiso cui si mira-
va è ridiventato un inferno. All'interno dell'Antartide dominava la condizione
ambientale primordiale.
Paradiso e inferno erano una cosa sola.
Partivo la mattina, ed era una giornata fantastica. Cielo terso. Dieci minuti
dopo scoppiava una tormenta, e l'inferno diventava una realtà.
Nell'arco di poche ore avevo sperimentato il paradiso e l'inferno.
La terra, esattamente come l'uomo, ha 'paradiso' e 'inferno' dentro di sé.
Quando l'uomo cerca di separarli, il paradiso scompare.
In Antartide è la natura che decide quando debba prevalere il paradiso e
quando l'inferno (mai l'uomo con le sue ridicole invenzioni...).
E fra questi due mondi, quello minaccioso e quello apportatore di felicità,
esiste una possibilità di approccio mitologico. Questa possibilità, di rac-
cogliere esperienze, è vecchia di centomila e anche più anni.
Ancor prima che esistessero l'arte e la scienza, l'uomo sapeva già che co-
sa significa un fulmine. Anche sapere che si trattava d'una scarica di elet-
tricità. Noi, questa possibilità d'esperienza istintiva, l'abbiamo perduta.
E questa è una delle ragioni fondamentali per cui l'Antartide deve essere
conservata.
Se l'Antartide sarà aperta all'accesso umano, se sarà spartita e sfruttata,
non vi sarà più spazio alcuno dove l'uomo possa vivere con immediatez-
za la natura.
Non abbiamo il diritto di parcellizzare, di coprire di costruzioni e di cavi
i paesaggi 'inutili', di cui l'Antartide costituisce uno dei tanti esempi...
....Quando camminavo in quei luoghi, davo via libera alla fantasia.
Non ero io che pensavo, lasciavo che i pensieri corressero da soli.
Mi lasciavo trascinare dal flusso dei pensieri. E così, spesso, ero lontano
dall'Antartide.
Di notte ero tormentato da incubi.
Mi perseguitavano vecchie storie maldigerite. Mi svegliavo spesso.
Il vento leggero che frusciava contro il telo della tenda sembrava una pia-
cevole musica.
Il mondo era silenzioso, eppure pieno di rumori.
Arved ed io ci eravamo messi in viaggio senza alcuna pretesa scientifica,
eppure ci sforzavamo di capire quella bianca immensità, di 'misurarla', di
stabilire un rapporto con lei. Per il momento ci affascinava, ma non erava-
mo ancora del tutto consapevoli di che cosa questo significava.
Quelle settimane di vita nella natura inviolata mi hanno restituito il senso
di serena consapevolezza che un tempo - prima che l'umanità si rendesse
'suddita' la terra con la tecnica -aveva colmato di sé ogni essere che vives-
se coscientemente.
Mi sembrava di essere stato trasportato nell'epoca e nella condizione in
cui 'dio' era soltanto la natura.
I nostri problemi ecologici vanno ricondotti alla frattura che si è verificata
fra l'uomo e la natura.
Al giorno d'oggi, dove s'incontrano ancora?
E con quale frequenza?
L'uomo ha necessariamente disimparato a rispettare la natura nel momento
stesso in cui ha cercato di affrontarla razionalmente, e non più emozional-
mente.
Non ho nulla contro la scienza: ma è è proprio necessario sacrificarle tutti
i miti?
(R. Messner, Antartide inferno e paradiso; le fotografie sono di Camille
Seaman)
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