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Alla ricerca del 'Monte Analogo' (30) (31) (32)
Il Lha Chu, il Fiume degli spiriti, ci guida per otto chilometri lungo il corridoio di
arenaria via via più pallida.
Le pareti della valle si dispiegano in svettanti cortine rosa e ramate per un'altez-
za di mille metri su entrambi i lati. Una certa morbidezza della pietra modella in
terrazze crepate che tagliano le fenditure verticali dei dirupi frantumando l'intera
parete rocciosa in cubi ciclopici ininterrottamente per centinaia di metri.
Poi, in alto, sferzati dal vento, gli strati si assottigliano, separandosi.
S'innalzano in una filigrana di torrette e di balze, forate dall'illusione di altre porte
ad arco, riempiendo l'orizzonte di templi e palazzi diroccati. Dove la roccia si fa
rosa conchiglia, in particolare, tali sagome sembrano ardere in un altro etere.
Tra l'una e l'altra, cascate gelate gocciolano dai canaloni o si rovesciano sulle ci-
me delle rupi in vampate di ghiaccio. Quando queste infine raggiungono la valle
ai nostri piedi, si sciolgono in affluenti che scorrono a fatica, intasando di scheg-
ge il Lha Chu.
Naturalmente i palazzi in cima alle montagne sono le residenze dei Buddha, e
ogni singolarità nei picchi o nei massi diventa un segno della loro presenza o è
la formazione spontanea di un prodigio sacro.
Nel versante della valle opposto al Choku, i monaci scorgono sedici santi rag-
gruppati nella roccia, mentre sulla sommità fluttua la tenda di seta di Kangri
Latsen.
Più avanti, mentre procediamo nel cammino, una corrente mistica porta giù dal-
la montagna la luce dell'arcobaleno, e una cupola di roccia a est è la fortezza
del demone indù Ravana, convertito al buddhismo, con tanto di yak e di cane.
Il masso che sporge nelle vicinanze è il reliquario di cristallo del santo Nyo
Lhanangpa che racchiude la sua visione del Buddha, e al di là di questo, il dio
scimmia Hanuman s'inginocchia per offrire incenso al Kailash.
Alle nostre spalle, a est, la coda del meraviglioso cavallo di Gesar di Ling, l'-
epico re del Tibet, spunta dalle cime in una cascata ghiacciata, e e i suoi sette
fratelli abitano sette pinnacoli rocciosi lungo la via.
A ovest, su tre picchi torreggianti alti 6000 metri, dimorano i tre grandi Bodhi-
sattva della longevità, e un masso di granito accanto al nostro sentiero è la ma-
nifestazione di un Buddha che doma un serpente.
Ovunque, per coloro che sanno vedere, la pietra pulsa di vita.
E sullo stesso Kailash brillano i portali glaciali che danno accesso al cuore del-
la fortezza di Demchog.
In questa complessa topografia, divinità buddhiste, induiste e bon impenitenti
affollano il percorso in schiere che si sovrappongono. Ve ne sono migliaia, let-
teralmente.
Spesso riesco a individuare un sito solo grazie a un pellegrino solitario, disteso
a terra dove la mano o il piede di Buddha, bruciando come zolfo, ha lasciato
un'impronta nella roccia.
Alcuni dèi e Bodhisattva volano tra le dimore in modo disorientato.
Altri risiedono su diverse cime allo stesso tempo.
Ma, in un certo senso, sono sempre presenti fisicamente nelle loro dimore
pietrificate, verso le quali i pellegrini si girano a pregare.
In ogni punto in cui una grotta scava un dirupo e vi è memoria di un eremita,
gesta di passata devozione impregnano la roccia, e i santi continuano a essere
presenti in corpo mistico anche molto tempo dopo la morte.
....Schierati in file sui pendii del Kailash, i lha, gli dèi celesti, combattono i lha-
ma-yin circostanti (destinati all'inferno), e le loro passioni li condannano infine
a dolorosi cicli di rinascita. I demoni che affliggono i tibetani - i sa-bdag, 'si-
gnori della terra', i lu, serpenti neri in agguato sotto le acque, i terribili btsan
con l'armatura sui loro cavalli volanti rossi - sono degradati a servi buddhisti
all'ombra del Kailash, ma l'umore capriccioso della montagna - le frane e le
tempeste improvvise - suscitarono paure compensative e nervosi riti propizia-
tori.
I pellegrini che ci superano ormai sono pochi.
Procedono veloci, assorti e sorridenti.
Molti percorrono l'impegnativo tragitto di circa 50 chilometri in 36 ore; alcuni
lo completano in un giorno solo.
E la fatica è un elemento essenziale.....
Quando il sentiero piega a nord-est, l'eterea arenaria ...scompare.
I pendii divengono neri di granito, e i crinali più bassi della montagna si frantumano
in punte e contrafforti instabili.
Le creste sono squarciate in chiaroscuro, e gli ultimi affioramenti si riversano nella
valle nelle forme fluide e antropomorfe amate dai pellegrini.
La spina dorsale e le natiche di una massiccia bestia di pietra che guarda il Kailash
vengono salutate come il toro Nandi, sacro a Siva; un'altra roccia è vista come la
torta votiva di Padmasambhava.
A ovest, sotto gli ultimi dirupi neri e arancioni del bacino dell'Amitabha, il secondo
'chaksal gang' (piattaforma per le prostrazioni) si apre sotto le bandiere lacerate
dal vento nel punto in cui il Buddha inchiodò il Kailash alla terra con la propria im-
pronta, che è ancora impressa nella pietra.
Poco dopo, il sentiero, ridotto ad una striscia sottile, attraversa i prati di Damding
Donkhang, e lungo il fiume sono piantate tende di nomadi.
A poco a poco la strada comincia a piegare a est.
Un affluente gelato risale la Valle degli yak selvatici lasciando il Lha Chu ridotto
quasi a puro ghiaccio. Ora la parete occidentale della montagna sta sparendo alla
vista e si intravede un altro versante più impressionante e assoluto, addolcito per
un po' dalla rupe di Vajrapani che si erge tra noi e il Kailash.
Nel giro di un'ora Iswor e io - lui, esausto sotto il doppio carico, senza lamentarsi
ci stiamo arrampicando verso il Drira Phuk Gompa, il 'Monastero della grotta del-
le corna di yak'.
Piccolo e di pietra grezza come gli altri, quest'ultimo è abbarbicato sul desolato
versante della valle di fronte al Kailash, in mezzo a enormi massi.
A metà della salita, Iswor si gira, solleva curiosamente il pollice verso di me e grida:
- Sei felice?
Non lo so.
- Sì, e tu?
gli rispondo, ma per qualche ragione sono turbato.
- Se tu sei felice, io sono felice!
Un monaco ragazzino ci sollecita a entrare, e il vento forte ci tiene lontani dal cortile
e dalle terrazze con le bandiere che sventolano.
Non possiamo fermarci qui.
Le stanze per i pellegrini sono piene, anche se non vediamo nessuno, e Ram ha pian-
tato le nostre tende ancor più in alto, sullo sfondo della neve, dove ci acclimateremo
ai quasi 5200 metri cercando di dormire.
Nel tempio, il consueto profilo orlato di 'thangka' si sta oscurando all'arrivo della sera.
L'altare è pieno di stupa in miniatura fatti d'orzo o di grano saraceno, alcuni dei quali
dipinti, lasciati dai pellegrini che se ne sono andati.
I tavoli splendono di fiori artificiali, e file di nicchie a conchiglia riempono le pareti di
oro e giallo sbiadito. Qui le divinità siedono nella penombra, ammassate nelle loro
finestrelle.
Ne intravedo i sorrisi olimpici e le mani alzate di benedizione, le collane che ricadono.
Le gambe piegate e i torsi luccicano dorati. Ogni nicchia è contornata dal denaro la-
sciato dai pellegrini.
Un tempo Drira Phuk era il più ricco dei piccoli monasteri intorno al Kailash.
All'arrivo di Kawaguchi ospitava parecchi lama di grado elevato, e qui, nel 1935, l'-
orientalista Giuseppe Tucci si imbatté in un torchio xilografico con il quale i monaci
copiarono per lui una rara guida del pellegrino.
Ora trovo i monaci raggomitolati tra cuscini al caldo di una stufa a sterco di yak.
Iswor prova a parlare con loro in tamang, e io in cinese, ma non parlano nessuna del-
le due lingue. Due di loro sonnecchiano mentre un altro - un giovane di una bellezza
inquietante con capelli lunghi e mani da ragazza - ci porta del tè con sale e burro di
yak e poi si addormenta.
(Colin Thubron, Verso la montagna sacra)
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