O morte della vita privatrice,
o di ben guastatrice,
dinanzi a cui porrò di te lamento?
Altrui non sento ch'al divin fattore,
perché tu, d'ogni età divoratrice,
se' fatta imperatrice,
che non temi nè fuoco, acqua nè vento,
non ci vale argomento al tuo valore:
tuttor ti piace eleggere il migliore
e 'l più degno d'onore.
Morte, sempre dai miseri chiamata,
e da' ricchi schifata come vile
troppo se 'n tua potenza signorile,
non provvedenza umile,
quando ci togli un uom fresco e giulivo,
o ultimo accidente destruttivo.
O morte nata di mercè contrara,
o passione amara,
sottil ti credo porre mia questione
contra falsa ragion de la tu' avra;
perchè tu fatta nel mondo vicara
ci vien senza ripara
nel die giudicio avrai quel guiderdone
che a la stagione converrà ch'io scovra.
Oi, com'avrai in te la legge povra!
Ben sai chi morte adovra
simil deve ricever per giustizia,
poi tua malizia sarà refrenata
ed a orribile morte giudicata;
come se' costumata
in farla sostenere ai corpi umani,
per mia vendetta ivi porrò le mani.
O morte, fiume di lacrime e pianto
o nemica di canto,
desidero visibili che ci vegni,
perchè sostegni sì crudel martire?
Perchè di tanto arbitrio hai preso manto
e contra tutti ha 'l guanto?
Ben par nel tu' pensier che sempre regni
poi ci disegni lo mortal partire.
Tu non ti puoi, maligna, qui covrire
nè da ciascun disdire,
chè non trovasi più di te possente:
fu Cristo onnipotente a la sua morte
che prese Adamo ed ispezzò le porte
incalzandoti forte:
allora ti spogliò de la virtute
ed a lo 'nferno tolse ogni salute.
O morte, patimento d'amistate,
o senza pietate,
di ben matrigna ed albergo del male!
Già non ti cale a cui spegni la vita,
perchè tu, fonte d'ogni crudeltate,
madre di vanitate,
se' fatta arciera e di noi fa' segnale,
di colpo micidial sì se' fornita.
O come tua possanza fia finita
trovando poc'aita
quando fia data la crudel sentenza
di tua fallenza dal Signor superno!
Poi fia tuo loco in foco sempiterno:
lì sarai state a verno
là dove hai messo papi e 'mperadori
re e prelati ed altri gran signori.
O morte oscura di laida sembianza,
o nave di turbanza
che ciò ch'è vita congiunge e notrica,
nulla ti par fatica scieverare,
perchè radice d'ogni sconsolanza
prendi tanta baldanza:
d'ogni uom se' fatta pessima nemica,
nova doglia ed antica fai creare,
pianto e dolor tutto fai generare;
ond'io ti vo' blasmare,
chè quando un uom prende diletto e posa
di sua novella sposa in questo mondo
breve tempo lo fai viver giocando,
chè tu lo tiri a fondo,
poi non ne mostri ragione, ma usaggio
d'onde riman doglioso vedovaggio.
Morte, sed io t'avessi fatta offesa
o nel mio dir ripresa,
non mi t'inchino a piè mercè chiamando;
chè disdegnando non chero perdono.
Io so ch'i' non avrò ver te difesa,
però non fo contesa,
ma la tua lingua non tace, mal parlando
di te e rimproverando cotal dono.
Morte, tu vedi quanto e quale io sono
che con teco ragiono,
ma tu mi fai più muta parlatura
che non fa la pintura a la parete.
Oh, come di distruggerti ho gran sete!
che già veggio la rete
che tu acconci per voler coprire,
cui troverai o vegghiare o dormire!
Canzon gira' ne a que' che sono in vita,
di gentil core e di gran nobilitate;
di' che mantengan lor prosperitate
e sempre si rimembrin de la morte,
in contrastarla forte,
e di' che se visibil la vedranno
ne faccian la vendetta che dovranno.
(La prosa completa in: http://www.interbooks.eu/poesia/duecento/lapogianni/ballatecanzoni.html)
Prosegue in:
http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2011/09/26/colui-che-scelse-il-ritiro.html &
http://paginedistoria.myblog.it/archive/2011/09/26/il-prodotto-dell-officina-dell-essere.html
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