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La scienza sacra (25)
Una duplice condizione domina lo sviluppo della filosofia tomista: la
distinzione tra ragione e fede e la necessità del loro accordo.
L’intero campo della filosofia dipende esclusivamente dalla ragione:
significa che la filosofia non deve ammettere che ciò che è accessibile alla
luce naturale è dimostrabile con le sue sole risorse.
La teologia, invece, si fonda sulla rivelazione, cioè in fin dei conti
sull’autorità di Dio. Gli articoli di fede sono delle conoscenze di ordine
soprannaturale, contenute in formule il cui significato non ci è interamente
penetrabile, ma che dobbiamo accettare come tali, benché non possiamo
comprenderle.
Un filosofo argomenta sempre cercando nella ragione i principi della
sua argomentazione; un teologo argomenta cercando i suoi principi primi nella
rivelazione. Delimitati così i due campi, si deve tuttavia constatare che essi
dominano in comune un certo numero di posizioni.
In primo luogo è cosa sicura l’accordo di diritto tra le loro ultime
conclusioni, anche se questo accordo non comparisse di fatto. Né la ragione,
quando ne usiamo correttamente, né la rivelazione, poiché ha Dio come origine,
potrebbero ingannarci. Ora, l’accordo della verità è necessario. E’ quindi certo che la verità della filosofia si collegherebbe con la
verità della rivelazione con una catena ininterrotta di rapporti veri ed
intellegibili, se il nostro spirito potesse capire pienamente i dati della
fede. Da ciò deriva che, ogni volta che una conclusione filosofica
contraddice il dogma, è segno sicuro che questa conclusione è falsa.
Toccherà alla ragione, debitamente avvertita, di criticare poi se
stessa e di trovare il punto in cui s’è verificato il suo errore. Ne deriva
inoltre che l’impossibilità in cui noi ci troviamo di trattare filosofia e
teologia con un unico metodo non ci impedisce di considerarle come idealmente
costituenti una sola verità totale.
Al contrario abbiamo il dovere di spingere il più lontano possibile
l’interpretazione razionale dei dati della fede, di risalire con la ragione
verso la rivelazione e di ridiscendere dalla rivelazione verso la ragione.
Partire dal dogma come dato, definirlo, svilupparne il contenuto, sforzarsi
anche con delle analogie ben scelte e ragioni convenienti di mostrare in che
modo la nostra ragione ne può afferrare il contenuto, questa è l’opera della Scienza sacra.
In quanto teologia essa quindi argomenta partendo dalla rivelazione e a
questo titolo noi non abbiamo da preoccuparcene. Ma tutto è ben diverso per
l’opera che compie la ragione partendo dai suoi principi. Essa può in primo
luogo decidere la sorte delle filosofie che contraddicono i dati della fede;
poiché il disaccordo in questione è indice d’errore e l’errore non può trovarsi
nella rivelazione divina, bisogna che esso si trovi nella filosofia.
Perciò, o dimostreremo che queste filosofie si sbagliano, oppure
mostreremo che esse hanno creduto di fornire delle prove in una materia in cui
la prova razionale è impossibile, e dove di conseguenza la decisione deve
restare alla fede. In simili casi la rivelazione interviene soltanto per
segnalare l’errore, ma non è in nome suo, è in nome della sola ragione che lo
stabilisce.
Un secondo compito, questo costruttivo e positivo, spetta alla
filosofia. Nell’insegnamento delle Scritture, c’è una parte di mistero e di
cose indimostrabili, ma ci sono anche delle cose intellegibili e dimostrabili.
Ora, è meglio capire che credere, quando ce n’è lasciata la scelta.
Dio ha detto: ‘Ego sum qui sum’.
Questa parola è sufficiente ad imporre all’ignorante la fede
nell’esistenza di Dio, ma essa non dispensa il metafisico, il cui oggetto
proprio è l’essere in quanto essere, dal cercare ciò che una simile parola ci
insegna a proposito di ciò che Dio è.
(Prosegue....)
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