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Costanza, 8-9 ottobre 1580
Costanza, quattro leghe, dove arrivammo verso le quattro. E’ questa una
città della grandezza di Chalons, soggetta all’arciduca d’Austria e cattolica;
poiché appartenne un tempo – trent’anni fa – ai luterani, ma l’imperatore Carlo
V li espulse con la forza, le chiese ne risentono ancora nelle immagini.
Il vescovo, nobiluomo del luogo e cardinale, restandosene a Roma ne
ricava ben 40.000 scudi di rendita; mentre certi canonicati, nella chiesa di Nostra Signora, fruttano 1500 fiorini e
son retti da nobili.
Ne vedemmo uno di questi, che veniva da fuori a cavallo, vestito con
ogni libertà come un uomo d’armi. Si dice pure che in città vi sian molti
luterani.
Salimmo sul campanile, che è assai alto, e vi trovammo un uomo di
guardia, che non ne viene mai via per qualsiasi motivo e si trova là rinchiuso.
Sulla sponda del Reno stanno costruendo un grande edificio coperto, lungo cinquanta passi e largo quaranta circa; vi sistemeranno dodici o quindici grandi ruote per mezzo delle quali si potrà sollevare ininterrottamente un’enorme massa d’acqua a un livello pari all’altezza d’un piano, e altre ruote di ferro (mentre le prime son di legno) in numero uguale, per farla salire da quel livello a uno superiore.
Quest’acqua, dopo che sarà su, all’altezza di circa cinquanta piedi,
verrà scaricata, mediante un ampio, lungo condotto artificiale, e fatta
giungere in città per far muovere parecchi mulini.
Il maestro che costruiva tale edificio riceveva 5700 fiorini solo per
il proprio lavoro, e in più era provvisto del vino. Sul fondo del fiume elevano
un assito fissato torno torno per rompere – dicono – la forza dell’acqua, sì
che scorra placida nel condotto e la si possa attingere più agevolmente.
Si stanno approntando anche dei congegni per mezzo dei quali si possa
alzare e abbassare l’insieme delle ruote a seconda che l’acqua sia su oppure
giù di livello.
Qui il Reno non conserva il suo nome, ché all’inizio della città si espande, formando come un lago di quattro leghe tedesche in larghezza e di cinque o sei per il lungo. Prospiciente questo lago, c’è un terrapieno a punta dove raccolgono le merci; a cinquanta passi dalla sponda si trova una graziosa casina dove monta di continuo una sentinella, e vi hanno posta una catena con cui sbarrano l’accesso al porto dopo aver collocati parecchi pali che ostruiscono ai due lati parte di lago dove s’arrestano e vengono scaricati i natanti.
Dalla chiesa di Nostra Signora si diparte un condotto, al di sopra del
Reno, va a finire nei sobborghi della città. Ci rendemmo conto di star
abbandonando il territorio svizzero dal fatto che, poco prima di giungere alla
città, scorgemmo varie dimore di nobili, quali non se ne vedono affatto in
Isvizzera. Ma in quanto alle case private, sulla strada che percorremmo sono
senza confronti più belle che in Francia (specie le locande, dove il
trattamento è migliore), sia in città sia in campagna; non sono a corto che di
ardesia, giacché ciò di cui mancano, per soddisfarci, non deriva da povertà:
ben lo si comprende dalle altre suppellettili, tanto che chiunque potrebbe bere
in grandi tazze d’argento, e le più dorate e lavorate, ma non ne hanno
l’abitudine.
Per ritornare a Costanza, ci trovammo alloggiati male all’ ‘Aquila’, e dall’oste avemmo una prova del senso di libertà e della barbarica fierezza germanica a proposito d’una lite fra uno dei nostri uomini appiedati e la guida di Basilea; siccome la cosa giunse fino dinanzi ai giudici, dai quali essa (guida) era andata a lagnarsi, il primo magistrato del luogo – un nobile italiano avvezzo al paese, quivi sposato e avente da gran tempo diritto alla cittadinanza -, al signor de Montaigne che gli aveva chiesto se si sarebbe prestato fede ai servitori di esso signore quali testimoni per noi, rispose di sì, purché li licenziasse salvo riassumerli in servizio subito dopo. Era una sottigliezza degna di nota.
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