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Le sfide della Natura: un nobile viaggiatore....
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L'orientamento (1) & (2)
Negli uccelli, a differenza di altri mammiferi, l’orientamento per
mezzo dell’olfatto è meno diffuso ed è noto solo fra berte e uccelli delle
tempeste. In queste specie pelagiche, in cui l’olfatto è più sviluppato che in
tutti gli altri uccelli, le narici sono protette da una sorta di doppio tubo
che si protrae lungo il becco.
L’importanza di questo olfatto particolarmente sviluppato è
probabilmente relativa quando l’animale si trova in mare aperto e viene
presumibilmente utilizzato solo per identificare le carcasse putrefatte di
pesci e cetacei.
Uccelli delle tempeste e berte devono però avvicinarsi alla costa per
riprodursi; ogni anno questi uccelli abbandonano le loro abitudini
eminentemente pelagiche e si raggruppano in colonie costituite da migliaia di
coppie. Arrivati alla costa di qualche isola, essi si predisporranno a
nidificare in cavità scavate dai conigli o da loro stessi.
Durante le ore diurne una colonia di questi uccelli appare come un
luogo quasi deserto. Qualche adulto è in mare a cacciare, mentre gli altri sono
al sicuro nelle cavità a incubare le uova o ad accudire ai pulcini. Questi
uccelli alimentano i loro pulcini con le sostanze oleose che ricavano cibandosi
di pesci e altri animali marini; questa sostanza, di odore molto intenso, viene
anche utilizzata per allontanare i predatori, e i dintorni del nido ne sono
spesso cosparsi.
L’odore dei rigurgiti, unito a quello delle deiezioni e a quello degli
uccelli stessi, fa sì che l’ambiente circostante la colonia risulti molto
puzzolente e, sulla base di questa constatazione, alcuni ricercatori hanno
avanzato l’ipotesi che l’orientamento degli uccelli avvenga grazie alla loro
grande sensibilità olfattiva.
In ogni caso, molti altri sistemi di riferimento per l’orientamento
possono essere utili ai nostri ‘amici con le ali’, e forse anche più
affidabili. Il campo magnetico terrestre, ad esempio, non viene oscurato dalle
nuvole, né scompare durante la notte; è inoltre fisso e assicura quindi un
punto di riferimento costante per gli animali che in base ad esso si orientano.
Fra questi, il piccione viaggiatore è forse la specie più conosciuta.
La varietà selvatica di questa razza, il piccione selvatico, è un animale
piuttosto sedentario, che permane per tutta la vita in un territorio piuttosto
ridotto. Gli uomini scoprirono però, fin dall’antichità , che questa specie, se
trasportata lontano dal suo ambiente, ha una sorprendente capacità di
ritornarvi, anche se deve attraversare territori completamente sconosciuti.
La varietà domestica della specie fornisce agli scienziati odierni la
possibilità di studiare le cause di questo fenomeno. Alcune osservazioni hanno
permesso di appurare che gli animali osservano attentamente l’ambiente
circostante prima di allontanarsi, quasi a rinfrescarsi le idee sulle sue
caratteristiche. Per capire se questo tipo di ricognizione visiva gioca un
ruolo nella loro capacità di orientarsi, gli occhi degli uccelli sono stati
coperti di lenti a contatto affumicate, che limitano il campo visivo a pochi
metri. I risultati mostrano che i piccioni sono comunque in grado di far
ritorno al luogo di partenza.
Si è allora pensato che essi si orientino tenendo conto della posizione
del sole, in modo simile alle api, ma uccelli trasportati lontano dalle
piccionaie in presenza di cielo coperto sono invariabilmente tornati al luogo
di partenza.
Al contrario, se durante questi esperimenti venivano applicati piccoli
magneti al capo degli uccelli, essi smarrivano la via del ritorno. Talvolta,
allora, il campo magnetico terrestre serve a questi uccelli per l’orientamento,
e subito sorge spontanea una domanda: come fanno a percepirne la presenza?
Questo meccanismo non è ancora perfettamente conosciuto: recentemente
sono state scoperte, nel cranio e nei muscoli del collo, particelle magnetiche
che probabilmente giocano un ruolo importante in questo processo.
L’orientamento è condizione indispensabile per codesti figli di ‘Madre
Natura’, oltre che per la sopravvivenza nella difficile sfida della vita, anche
per la migrazione, che per milioni di uccelli rappresenta una condizione di
sopravvivenza da milioni di anni. Ogni autunno la metà delle specie che hanno
nidificato nell’Europa settentrionale si sposta verso sud. Con l’approssimarsi
dell’inverno, infatti, l’abbondanza di anfibi, insetti e piccoli mammiferi
comincia a declinare e la temperatura a scendere.
La migrazione di alcune specie sarà solamente a corto raggio, e il
viaggio si interromperà in prossimità delle coste meridionali. Altre specie
attraverseranno invece il Mediterraneo e il Sahara e arriveranno fino
all’Africa meridionale. Spostamenti simili avvengono nelle Americhe, con specie
che si portano dal nord all’America Meridionale per sfuggire al freddo
invernale.
I minuscoli colibrì, per esempio, discendono la Nuova Inghilterra e la
Florida per intraprendere un lungo viaggio di 900 chilometri che li condurrÃ
attraverso il Golfo del Messico e la penisola dello Yucatà n fino alle
accoglienti foreste dell’America Centromeridionale.
La migrazione più lunga è senza dubbio quella compiuta dalla Sterna
Artica; questa specie nidifica a nord del Circolo Polare Artico e, dopo avere
allevato i pulcini, migra lungo la costa occidentale americana per raggiungere
la Patagonia. Alcuni individui migrano invece verso l’Europa occidentale e,
attraversando la costa occidentale africana, raggiungono la zona del Capo di
Buona Speranza. Molte continueranno la migrazione attraverso l’Oceano
Antartico, dove troveranno un lungo periodo di illuminazione continua, mentre i
territori di nidificazione sono coperti da una lunga notte.
Entrambe le rotte sono lunghe circa 18.000 chilometri e vengono
percorse senza interruzioni da parte delle sterne, che sopravvivono
alimentandosi dei pesci che riescono a catturare in mare. Effettuando questi
lunghi e sorprendenti viaggi, gli uccelli utilizzano sensi che ben conosciamo,
insieme a qualche altro sistema di orientamento che non conosciamo ancora del
tutto. Molte specie elaborano certamente mappe visive dei territori che devono
sorvolare e riescono ad orientarsi osservando attentamente la geomorfologia dei
territori; valli, catene montuose e fiumi rappresentano i probabili punti di
riferimento per i migratori.
In questo modo i migratori europei valicano il Mediterraneo nel suo
punto più stretto, lo stretto di Gibilterra, o lo costeggiano scendendo il
Bosforo e la costa occidentale della Palestina. Un’altra rotta abituale, anche
se meno frequentata, è quella che attraversa la penisola italiana.
Gli scienziati si sono chiesti a lungo come abbiano fatto gli uccelli a
sapere che in altri parti del globo le situazioni climatiche e alimentari erano
migliori di quelle dell’ambiente in cui sostavano. Alla fine dell’era glaciale,
circa 11.000 anni fa’, la calotta di ghiaccio si estendeva attraverso l’Europa
e gli uccelli africani trovavano molto facile raggiungerne i margini
settentrionali durante l’estate, periodo in cui trovavano un’ampia
disponibilità di cibo e pochi competitori. Alla fine del periodo glaciale i
ghiacciai iniziarono a ritirarsi, ma fra gli uccelli rimase l’abitudine di
portarsi in estate verso nord. Questo comportamento è rimasto fino ad oggi,
anche se gli spostamenti sono ora dell’ordine delle centinaia o migliaia e non
più di pochi chilometri.
(Prosegue)
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