domenica 1 giugno 2014
INQUISITORI (sosta a Roma)
Prosegue in:
Inquisitori (sosta a Roma) (2)
Inquisitori (sosta a Roma) (3)
Inquisitori (sosta a Roma) (4)
Vendo ancora e per sempre
la stessa parola,
ora quotata anche in borsa.
Ho accesso alle segrete stanze
del potere talare,
posso contore sulla compiacenza
tradotta di questa storia antica
in complicità segretezza
e discrezione...,
.. di una banca antica.
Non deve rendere di conto
né ad una strega né ad una zingara,
né ad un pazzo che scava la terra
e si crede... anche profeta.
(G. Lazzari, Frammenti in Rima,
Dialogo con il nobile che vende parola,
15/3)
- Ma che cosa ho fatto, Paolo? Se hai voglia di scherzare, non
tormentarmi più a lungo.
- Scherzare? Dico sul serio per Dio! Io non posso fare a meno
d'informarne l'Inquisizione, perché altrimenti sarei scomunicato!
- Inquisizione?
balbettò lei, e cominciò a tremare.
- Ma che ho fatto contro la fede, in nome di Dio?
- Questo è appunto il guaio peggiore,
dicevo io.
- Guardatevi dal prendervi gioco degli Inquisitori. Dite che siete
stata una sciocca e che vi ritrattate, ma non negare la bestemmia
e la profanazione.
Piena di spavento, mi domandò:
- E se mi ritratto, Paolo, mi puniranno?
Le risposi:
- No, perché in questi casi assolvono sempre.
- Oh allora mi ritratto. Ma dimmi tu di che cosa, perché io non
lo so, quanto è vero che voglio vedere in Paradiso le anime dei
miei morti!
- E' mai possibile che non ve ne siete accorta? Non so come
dirvelo, tanto il vostro sacrilegio mi spaventa. Non vi ricordate
che andavate facendo 'Pio, Pio' ai polli, e Pio è nome di papi, di
vicari di Dio e di capi della Chiesa? Un peccatuccio da nulla!
(Francisco De Quevedo, Il paltoniere Don Paolo)
C'è un aspetto non meno importante, dei luoghi dell'Eresia che coincidevano
con quelli della cultura laica e del sapere libresco - i luoghi del libro a stampa,
(quando ancora non vi era Internet), cioè le librerie.
E chi meglio di un uomo di lettere poteva spiare quel che si diceva in quei luo-
ghi? Il Muzio, letterato e amico di letterati, si prestava bene allo scopo.
Poteva così spiare i discorsi... di Vergerio e combatterli con gli stessi strumen-
ti: la stampa, le lettere.
Erano lettere di delazione pubblica, polemiche letterarie che avevano per ogget-
to la verità dottrinale e che servivano al duplice scopo di aiutare il lavoro segreto
dell'Inquisizione e svolgere una propaganda pubblica come controveleno.
E, da bravo letterato, poteva colorare di parole e di immagini le scene del duello,
che diventavano selvagge prove di forza contro la belva feroce dell'Eretico:
'Egli se ne stava nella libreria dalla insegna di Erasmo, e (secondo che dice il Sal-
mo) quasi leone in spelonca dava di branche a questo ed a quello'......
Tre uomini segnarono l'avvio dell'Inquisizione romana (del 500) e le conferirono
i tratti destinati a colpire l'immaginazione dei contemporanei e la memoria dei po-
steri: Gian Pietro Carafa, Michele Ghislieri, Felice Peretti.
Il primo, nel 1542, presiedette alla nascita della congregazione, che fu considera-
ta la sua creatura, il secondo ne fu il temuto commissario generale - il vero 'Gran-
de Inquisitore' -, il terzo ne consacrò la preminenza nel sistema di governo romano
mettendo il Sant'Uffizio al vertice delle congregazioni nel 1588.
Il loro stile si impresse sull'azione del tribunale che presiedevano.
Il più celebre e più temuto fu quello del Carafa: la furia del popolo romano, che
alla sua morte nel 1559 si scatenò distruggendo le carte processuali e liberando
i prigionieri del Sant'Uffizio, dette la misura del clima di terrore che si era instau-
rato. Del resto, il Carafa non aveva atteso il papato per far vedere come si dove-
vano trattare gli eretici secondo lui.
La durezza con cui aveva preteso da un esitante duca di Ferrara l'esecuzione ca-
pitale del faentino Fanino Fanini era stata un segnale per tutti: l'immagine dell'In-
quisizione romana nell'Europa riformata rimase fissata da allora in poi nei tratti
del tribunale spietato descritto da Francesco Negri e da Giulio da Milano nelle
loro narrazioni della morte eroica del Fanino.
Di quella fama di crudeltà che lo riguardava personalmente Gian Pietro Carafa
cercò di liberare se stesso e il suo tribunale. Nelle conversazioni con l'inviato
veneziano a Roma, Bernardo Navagero, il papa sostenne che nell'Inquisizione
si procedeva 'con molta pietà et misericordia, et se si peccava, si peccava in
esser tropo miti'; quanto a se stesso, il Carafa affermava 'che esso in particular
non era mai stato avido di sangue, et che se non fusse qualche eccesso scanda-
loso per il qual bisognasse satisfar a qualche comunità con la pena, esso non
vorria veder mai la morte di alcuno'.
Ma in quel momento il papa cercava di attirare nella rete una preda di prima
grandezza, il vescovo di Bergamo Vittore Soranzano. Ben più truce determina-
zione doveva mostrare parlando con quello stesso ambasciatore di altra 'peste
eretica' da bruciare - per esempio, gli odiatissimi Pole, Flaminio, Morone.
Dei tre papi inquisitori, uno solo però si identificava perfettamente con l'istitu-
zione, essendone stato insieme creatura e creatore. Fu sull'impianto del Sant'-
Uffizio di Paolo IV che si costruì la carriera di un oscuro frate piemontese;
carriera folgorante, da frate e cardinale a papa - e infine a santo.
Nominato inquisitore a Como dal capitolo provinciale di Lombardia, secondo
le regole antiche, al primo scontro coi potentissimi canonici della cattedrale di
Como il Ghislieri ricorse al Sant'Uffizio romano....
(Prosegue...)
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