CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 24 maggio 2015

IL VOLO DI JONATHAN: dialogo con l'eremita (17)


















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I sentieri di Jonathan (1/16)

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Il volo di Jonathan (18):   ..... Dialogo con l'eremita













Ora riprendo il volo, confesso che la Terra dall’alto di questo cielo oggi mi pare più limpida, più facile la Via proprio quando pensavo averla smarrita, in questo mese ove giù da basso si sente la Rima di tanti miei amici, mi sia concessa in questa Primavera di una Resurrezione così lieta anche a me la dolce strofa della poesia che allieta la Vita. Quando costretto, dalle terrene esigenze, volare in basso dalle alte stratosfere prive di quella materia che il popolo divora. So i miei amici farmi compagnia lungo la via ed allietare la strofa della terrena sofferenza. Udirli la mattina nel loro Canto e Poesia al Girone ove legata la strofa della Rima è una lieta novella che annuncia la Vita, ed il volo interrotto mentre alto nei cieli di una geografia così ricca al confine di una città che fa mostra di se nell’Esposizione della ricchezza, un Eretico mi ha narrato il suo Viaggio, mi ha confessato la pena della vita interrotta dal cacciatore della Rima.
La sua traversata, o per meglio dire, il volo terreno per questi ed altri cieli fu interrotto da uno o più uomini appostati con degli strani schioppi, cercavano la linfa della Vita per appagare il ventre del loro istinto al soldo di chi non ha ali per questa rotta. Inchioda l’Anima ad una verbo che vola con sicura e decisa traiettoria alla velocità di una mira che non conosce l’oracolo del Sogno che crea Parola. Poi il calore di un Tempo sconosciuto alla loro Memoria, da dove l’Universo si ricompone per espandersi alla velocità della luce, un minuscolo evento giammai quantificabile nello strappo di una antica simmetria che dal gelo apparente e senza vita, sboccia al calore della Vita. Così 




l’Universo è di nuovo nato in questo invisibile Creato, e se lo osservi con occhi diversi scoprirai dimensioni invisibili ai tuoi sogni terresti, la direzione del Tempo donde per il vero io provengo, dona a me la vista e il potere del Dialogo degli eventi, così riesco a scorgere un mondo invisibile comporsi in miriadi di Cieli e Universi dove la lotta talvolta si annuncia difficile e dura. Per lo stesso motivo il poeta Milarepa, aggrappato alla radice della vita quale suo unico nutrimento e verde come la foglia divenuto e nella terrena vita evoluto, dovette combattere una difficile strofa, una difficile guerra, fra il Bene che avanzava e il male che muta sembianza e crea quella materia a noi estranea e priva di ogni sostanza. Placare Dèmoni e angeli caduti in una lotta priva di ogni logica Divina: debbo tacitare questa invisibile crosta ove digerita la povera sostanza dell’umile via, incide la placca ove inciso l’araldo di lontana memoria antica.
Assiso sotto un albero meditai la Luce e la Vita.
… Ma nel profondo di un Oceano di fuoco fu intrappolata la vista, tartaro e fucina della Materia di chi vuole controllarne il Primo Sogno, strappo di un creato nato, minuscolo frammento più piccolo del Tempo misurato onde creo la Vita. La curvatura onde piego l’ala della mia venuta quando il vento indica alla mia Via l’orientamento dall’uomo smarrito nella rotta così ben miniata e dipinta di ciò che pensa composta la Regola pregata.
Quando si accorgerà che esistono altri Universi lontani e distanti miliardi di anni luce precedenti al piccolo Frammento di una Primavera della vita, capirà l’errore dell’infallibile parola coniata. Perché Dio assente al Tempo della loro venuta. Assente alla dimensione della piccola Natura sognata. Si espande in questa alba di Primavera e poi torna al gelo di un inverno ove il Dio prima di Dio nacque dal freddo di un Padre Straniero, e morì in un desiderio di vita incompiuto dopo aver creato la vita appesa al fucile. Traiettoria di un cacciatore appostato lungo la Via. Se fu delatore dell’Eretica Parola e Rima non so dirvi con precisione, il mio amico incontrato una mattina alle alte quote di un volo invisibile alla loro Vita, mi narrò la vita sacrificata all’ala di chi non conosce la Verità celata nel Sogno di una diversa vita, prigioniero di un pasto con cui pensa saziare l’ingordo appetito. 




Così sacrificano la Vita e Dio che compone la strofa, perché quell’essere che vola mostro antico a cui la Storia della sua Natura ha donato una morta prematura ad una meteora della sua venuta, un Tempo narrato dalla stessa strofa nuotava in un mare antico, ma tutto ciò è illusione di uno strano Dio, indecifrabile al Tempo di un Secondo calcolato e narrato dal loro Creato così misurato.
In un volo celato al loro cielo scrutato la dimensione di ciò che pensano Vita e Materia conosce diversa Luce e Tempo nella Rima che compone lo Spirito che si incarna per ogni foglia di questa invisibile via. E il ciclo della Vita si ricompone per ogni vita di nuovo prigioniera ed appesa alla traiettoria di una navicella che vola nell’assenza di ogni gravità cui pensano composta la vita. Gravità e Tempo che necessitano di una diversa vista all’angolo della loro vita, l’angolo ove si apre l’ala che vola pur prigioniera alla materia e gravità sospesa di questa vita. E l’amico incontrato una mattina mi narrò il volo spezzato all’orientamento della sua rotta. Il desiderio di Vita e l’amore della Natura sono divenuti altri Elementi e araldi dello stesso Creato. L’ho avvistato poi al freddo di una mattina mentre miravo il panorama alto di questa geografia, correva a braccare il gregge di un pastore che gli aveva rubato la compagna della sua vita.
Ed in una nuova Simmetria di quella geografia ove il cacciatore apostrofa la vita, vedo il riso della parola coltivata nell’araldo della terrena via, sazia la strofa della vita. Un campo di riso, e mentre loro ridono io vi narro brevemente del riso della vita in una lettera letta all’uscio di una antica dimora, perché il volo richiede giusto nutrimento allo Spirito privo di materia cui composta la terrena via.

Havendone lo Illmo duca de Ferrara facto richiedere per mezo del suo Ambassatore che gli vogliamo  compiacere sachi XII de riso quale desidera de haverne per seminare in Ferrarese Te scrivemo et commettemoti che al dicto Ambaxiatore o ad qualunche suo messo debbii subito far consegnare li dicti sachi XII de riso per lo urgentissimo bisogno per sui fratelli frati et eremiti dislocati in lontani confini ove lo Terra scalcia come uno somaro impazzito e lo companatico non se pote trasbordare per lo ordine de mare  o per per terra tanto le strade inaccessibili vi demorano Lo detto Ambassatore ha espletato penitenza terrena per talune hearesie dello quale perseguito dai suoi devoti nemici et alla Bolla dello presente Ordine Divino se accompagna penitentia terrena per li peccati commessi affinché detta  Lettera con lo riso richiesto non ne venga fatto sequestro dallo delegato Sanctissima e Benedectissima Inquisitio et affinché neanco io venga persecuito per istessa immonda et innominata haresiae per lo ventre della Beata Vergine e Benedecta Maria cui allego alla presente devota offerta per lo convento in costruzione et facio sollenne giuramento de onni precriera
Me firmo in fede alla devotissima Chiesa Galeazzo Maria Sforza duca de Milano…

Quanti campi così ben coltivati, quanti terreni e osteria della ricca parola alla dimora del riso della vita che sazia codesta Rima nutrita al ventre della vita. Quale geografia alimenta questa Preghiera al sor-riso di una antica poesia affinché il riso di un profeta che nacque alla retta Parola non perisca alla materia di una crosta indurita con cui saziamo la mortale vita.
Il segreto lo conservo nel ricordo coltivato e nutrito di un Eremita incontrato un mattino, volava alto nel limpido cielo. Non sono mai riuscito a imitarne il volo, perché diveniva una sol cosa con il Creato, prodigio del Nulla cui talvolta appariva nella caverna di un pensiero profondo cui custodiva il segreto della vita, cui nutriva la saggezza della Prima Rima. Da lui, per il vero, ho meditato e saziato l’evoluzione del mio volo. A Lui debbo qualcosa dal riso di una diversa venuta, e nel dialogo antico 




apprendo la saggezza della vita e contraccambio con il riso con cui condirono e inchiodarono la Vita all’osteria del Cacciatore della parola per sempre riccamente nutrita. Ognuno, saggio e devoto alla retta Via, sazierà e nutrirà la dura disciplina, sfamerà e condirà la terrena Vita. A noi sarà destinato il riso nella povertà nutrito e nella stessa ora condividerne il martirio. Leggerne la strofa che sazia lo Spirito di un profeta e poeta diviso fra il Bene ed il male di un mito specchio del Creato. E di un male giammai arrecato nell’Universo pregato ai piedi di un Buddha smagrito e mutilato alla vista di un nuovo Dio forgiato…

Jonathan: Disturbo signor Eremita? O forse preferisce che la chiami Ibis dal ciuffo?
Ibis: No, no, è troppo frivolo. Eremita ha un’aria più dignitosa. Ma a che cosa il piacere della sua visita?
Jonathan: Ero sopra queste risaie e ho pensato di venirle a far visita. Qui Eremiti come lei non si trovano più, so per l’appunto che è rimasto solo, ciò mi dispiace. Del resto, che altro può fare con quel nome, se non vive solo? Immagino che si stia dedicando alla meditazione.
Ibis: Dice bene, sto imparando a meditare, o almeno ci provo. Io non ero un contemplativo, tutt’altro, ma i guai la vita e la solitudine modificano il carattere. Se uno li prende male diventa nevrastenico, se li prende bene acquista saggezza, e siccome io sono un Eremita longevo il Tempo per maturare non dovrebbe mancarmi è questo il difetto di quegli uomini che camminano laggiù. Li vede? Non meditano mai le loro terrene parole, se solo meditassero sulla fragilità dell’esistenza terrena saremmo più eremiti e contemplativi. Pensi…, l’anno scorso quando siamo tornati dalla solita migrazione, eravamo ancora in Tre, ma Tre volte Grandi! Fortuna che non siamo transitati sopra l’Osteria del Cacciatore, quelli quando ci vedono sono spari e riso…
Jonathan: Lo so bene, non mi dica nulla mi rattrista la mattinata… E’ strano che vi siate ridotti a questo punto. Non siete mai stati molto numerosi, e poi lo ammetto fosse solo la cucina del vecchio oste, nulla al confronto della Lanterna ‘dal cinese Rosso’. Dal cinese dell’ultima dinastia l’Ibis dell’antica parola è un piatto prelibato e ben condito. Non lo cuoce allo spiedo dal fuoco nutrito come sa fare solo il Cacciatore Oste antico. Questo so di certo…, ma dal Rosso è tutt’altra salsa e l’Osteria così gestita rende la Vita 

(Prosegue....)
























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