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Il Segnalibro di Settembre (1) (2) (3)
Il sangue mi dice, bisogna che io ascolti il mio sangue, usa dire
questo lottatore pur così lucido…
‘E' inutile, io sono come le bestie: sento il tempo che viene. Se dò
retta al mio istinto, non sbaglio mai…’
Più tardi, un maestro di altro calibro, Vilfredo Pareto, dalla cattedra
dell'Università di Losanna gli confermò il valore ‘della somma degli
imponderabili’ anche quando si tratta di discipline scientifiche, basate sugli
uomini, attingono la bestia e sfiorano Iddio. Difatti, agli imponderabili egli
fa la parte larga, nel prevedere gli avvenimenti; e forse per questo sbaglia di
rado, la sola logica non basta a tanto, la fantasia devia e travia, occorre la
immaginazione creatrice, propria degli artisti.
L’uomo che prepara e prevede l'azione per via di ragionamenti serrati,
e al momento di oltrepassarne la soglia chiude gli occhi e si abbandona dai
fondi oscuri, non è solo un tattico ma uno stratega, è un uomo di Stato
singolarmente vigile, singolarmente intuitivo…
Una notte, nella quiete della sua alta casa dove i rumori di Roma
giungono come confusa marea, il Presidente si divorava le sue consuete
dozzine di giornali di ogni continente. Il Times, e le altre gazzette di
giornali di ogni paese. Il Times e le altre gazzette d'Inghilterra e d'America
riboccavano allora di fotografie e notizie su re Tutankhamen e la vana lotta di
Lord Carnarvon contro le esoteriche maledizioni egiziane. Ad un tratto, il
condottiero balzò al telefono chiamò, tempestò una fila d’ordini secchi e
concitati…
La mummia, fresca, scavata dalla tomba mille e donatagli poche
settimane prima, gli grandeggiava innanzi, nelle sottili bende e nelle dipinte
casse che la ospitavano, laggiù in un angolo del salone della Vittoria, fra gli
arazzi di Palazzo Chigi, accanto al suo monumentale tavolo di lavoro.
…Telefonò al tocco, ritelefonò alle due, di dieci in dieci minuti, per
assicurarsi che venissero subito eseguiti gli ordini. Gran trambusto, nel
placido mondo burocratico degli uscieri e custodi dei ministri di Roma
impassibile, dove il tempo ha un valore orientale e storico: chi se ne
incarica?
…Ma l’ombra di Benito era terrorizzante, specie in quei primi mesi del
923, per molte leggende e una parte di storia. Non era stato lui a inaugurar l’uso
del registro, che alle 8,30 viene ritirato con le firme dei presenti all’ufficio,
per cominciar a distinguere gli ‘imbecilli’ che si sacrificano a mandar avanti
la macchina burocratica, dai furbi che la sfruttano?
…E un mattino alle 10, si narrava, dopo una firma di presenza, il
commendatore X, scendendo le scale del suo ministero, lucido di pancetta e di
soddisfazione, aveva incontrato un giovane che saliva.
- Lei che fa, …andarsene dall’ufficio appena venuto?
- E lei che centra? Pensi agli affari suoi.
- Centro proprio, e son Mussolini (in bianco camice) non si vede? Fili
al mio gabinetto a spiegarsi; e si vergogni!
Perciò ai ministeri si rassegnarono a ubbidire.
…E alle 3 di quella notte, sacra ai faraonici mani, il furgone,
requisito in fretta ai depositi del ministero della Guerra, si fermava alla
porta di uno dei musei etnografici di Roma. Come in un cattivo romanzo d’appendice,
tinnivano campanelli, accorrevano guardiani, si svegliavano custodi e
ispettori.
- Ordine di ricoverare questa mummia, di urgenza, al sicuro e subito…
Gli egizii tenevano il teschio al banchetto, come mònito all’alacre
gioia, contro la vana tristezza, e contro l’orgia bestiale, simili entrambe
alla morte. Ma chi, non gaudente né asceta, non scettico né trappista, opera
nello spazio pel tempo, non può venir turbato da sottili, maligne influenze
dall’aldilà; né dal macabro simbolo della breve vita e della fatica
inutile.
…E dall’inutil strombazzar di un imbecille...e la sua mummia!
(M. Sarfatti, la Democrazia e Mussolini)
…Istintivamente sentivo che dovevamo allontanarci non lo amavo e
nemmeno lo desideravo… ma presentivo il pericolo,
la conseguenza di un momento di debolezza, l’influenza, l’insidio della terribile ‘ora sessuale’
consumata nella ‘camera’, e dopo, assistita compiaciuta da un ruffiano prestato
alla politica al senato della incompiuta venuta… mafia nutrita e protetta...
…E la lettera che, dopo tre giorni, ricevetti da lui mi turbò ben più del suo bacio. Una frase
stabiliva un’intesa d’amore accettato e voluto, così lontana dalla realtà, che
avrei voluto smentirla immediatamente con un’altra lettera. Mi diceva…
“Mia cara Leda, cielo grigio e lago di piombo oggi, a Lugano. Freddo.
Ho desiderato il tuo braciere aromato... Breve sosta e interminabile discussione....
tripolina col Tancredi. Più che parlare, ho ascoltato. Prezzolini, da Firenze,
mi ha mandato il suo ultimo volume con questa dedica (lo permetti?) che mi ha
un po’ lusingato: ‘Al carissimo Benito Mussolini che stimo, apprezzo e della
cui amicizia mi sento onorato’. E’ un libro sulla Francia e i francesi del
secolo XX. Ne dicono molto bene. Dopo quattro anni di quiete, apro - col tuo,
col nostro amore, - una parentesi nella mia vita. Stanotte ho avuto il sonno
più leggero del solito. Oggi verrò da te, un po’ tardi, forse. Ma aspettami,
che non mancherò. In questi due giorni ti ho troppo pensato. Ti abbraccio, mia
cara. Tuo Benito”.
…Se tale lettera fosse caduta nelle mani di chi amavo, sarebbe stata
per me la fine di tutto, la rovina della mia vita intera. Cosa avevo fatto per
far credere a Mussolini che lo amavo?
Feci un immediato ma profondo esame di coscienza. Mai gli avevo detto
parola che potesse fargli credere che io provassi un desiderio amoroso per lui.
Ricordavo piuttosto frasi che avrebbero dovuto disilluderlo, se si fosse
illuso. Rileggendo le ultime parole: ‘dal giornale (sono solo)’ ricordai certe
nostre discussioni sulla gelosia, certe mie sincere affermazioni.
‘Perché non siete gelosa di
me?’, mi chiedeva.
‘Perché non mi domandate ma chi
viene a trovarmi al giornale e se lavoro da solo? Potrei avere un’altra
amicizia come la nostra....’.
‘Potreste averne altre dieci di
queste amicizie’, gli dicevo del tutto serena.
‘Sapete bene che non vi amo né vi amerò mai. E sapevo - mi conoscevo
bene, - che in me l’assenza di gelosia era assenza di amore’.
‘Non pensate’, insisteva, ‘che dopo il mio lavoro posso andare dove
voglio? Perché non mi chiedete di vederci di sera?’.
‘Andate dove meglio vi piace, amico mio. Io ho dove passare la sera’.
…Queste, solo queste, le mie frasi intorno all’argomento amore. Avevo
colmo il cuore e l’anima dell’amore mio. Non davo alcuna importanza a quelle
parole, dette nella stanchezza di una visita troppo lunga. Pensai di scrivergli
che non venisse, ma non c’era il tempo. E poi non volevo dimostrargli che lo
temevo. Meglio era dirgli a voce, guardandolo senza turbamento, che ‘il mio, il
nostro amore’ non esisteva, e che se voleva essermi ancora amico non doveva
parlarne più.
Ma lo attesi con un certo turbamento…
Forse lo temevo davvero?
Ci pensai quando, vestendomi dopo il breve riposo del pomeriggio,
scelsi una veste che mai avevo indossato con lui. Giorni addietro, nel calore
della bella estate avevo indossato una leggera gelabiach bianca, stretta sulla
vita da una ascia ‘baiadera’, e quando mi era stato vicino sentivo, attraverso
la veste, lo sfiorare delle sue dita, il calore del suo contatto e -
istintivamente - sentivo che bisognava evitare quelle vibrazioni fisiche che,
quel giorno, non dovevano essere fra noi.
…Dovevo chiudermi isolarmi, essergli lontana, non con l’anima, ma con
la carne. Indossai una vecchia veste egizia, di seta nera, coperta di velo
ricamato da argento e serrata sul petto da un largo collare di pietre
brillanti, pesanti e pungenti. Una cintura ornata di scarabei mi cingeva la
vita e, per la pesantezza metallica, corazza dei tempi faraonici, mi faceva
assomigliare ad una… mummia… acconciata per sarcofago.
E’ difficile che ad un uomo venga il desiderio di abbracciare una mummia.
…Quell’abito di tempi remoti quasi funebre, sembrava fatto apposta
per tenere distanza qualsiasi audacia per frenare ogni desiderio, per impedire
ogni carezza….
Egli venne come aveva promesso e la sua visita fu lunga.
Dapprima dicemmo poche parole, sogguardandoci, come avversari che
misurano le proprie forze per un duello decisivo. Mi sembrò inutile dirgli che
la sua affermazione amorosa non trovava eco in me.
Pensai dovesse sentirlo.
Infatti, mai era stato così ‘poco comunicativo’, come soleva dire. Taceva,
con la fronte appoggiata alla mano. Sembrava portarmi rancore. La giornata era
calda e dava ai sensi uno strano torpore. Prendemmo il caffé in silenzio. Ero
nervosa, irritata contro me stessa perché non trovavo le parole per rompere
quell’atmosfera subdola, pesante. Mi pareva d essere veramente in Egitto, e in
un'altra epoca, lontana dalla mia vita presente. E lui, ad un tratto, quasi
sentisse il mio intimo pensiero, disse: ‘Mi sembra proprio d’essere in
Egitto....in altri tempi. Parlatemi un poco della vostra sfinge…’.
Il giorno dopo, nel pomeriggio, mi giunse una sua lettera, scritta
nella notte:
“Mia cara Leda. Sono ubbriaco... ore dodici di notte. Ubbriaco.
Sono uscito di casa tua con i nervi deliziosamente eccitati, col cuore che
batteva con una irregolarità inconsueta, col tumulto nel cervello. Così. Al
giornale buone notizie.... Ossigeno fino a tutto il 1914... E allora, per
mantenere i miei nervi esaltati, ho bevuto un gran bicchiere di vino… sai quel
tal liquore verde che esercita la sua dolce e diabolica influenza sulla
corteccia cerebrale e manda il 13 per mille dei francesi al manicomio... E
adesso, dopo quattro ore di vibrazioni, sono qui, tranquillo, e silenzioso a
guardare ....il Naviglio. Penso: ieri mi hai detto una cosa sulla quale
rifletto solo adesso. Mi accade spesso. Dov’eri per assistere a quella tal
discussione alla quale taluni illustri ignoti si disputavano il mio spirito d’uomo…
pubblico? E me lo ...laceravano? Dove vai alla sera? Domanda indiscreta? Perché
alla sera non potresti venire con me? Dalle 8 alle 11 non ho proprio
niente da fare. Ascolta. La notte è stellata. Domani ci sarà il sole. E anche
dopo e sempre. Io ti aspetto lunedì sera alle 9 a Porta Venezia. O ti vengo a
prendere alla porta di casa? Scegli. Passeremo bene il nostro tempo. Perché non
domenica sera? O prima? Troverai che questa mia lettera va a zig-zag.
Stasera non sono capace di scrivere. Com’è bello essere di tempo in tempo
idiota... Vogliami bene, cara Leda, ricordami e scrivimi.
Ti abbraccio forte. Tuo Benito”.
Lessi queste parole con
indifferenza…
Non lo amerò né più né meno degli altri giorni.
Ieri era già il passato: non esisteva più.
Gli scrissi brevemente che non era possibile vederci lunedì sera.
Gli mandai in omaggio il mio romanzo ‘Seme nuovo’ pubblicato in quei
giorni. Era un venerdì, lo ricordo, perché non andai a lavorare in tipografia.
Il venerdì per noi mussulmani, è come la domenica per i cattolici. Andai fuori
senza mèta. Sostai ai giardini.
Mi venne anche in mente di andare all’Avanti! ma non vi andai. Seppi
poi, della sua lettera, che anche lui aveva....
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