Precedenti capitoli:
L'altro James (9/10) &
Il piano della Rinascita (11)
Prosegue in:
La Moltitudine (13)
…La
presenza di un serpente, di una talpa, di uno scorpione, una lucertola o una
salamandra non può farmi trasalire; e la vista di un rospo o di una vipera non
provo il desiderio di raccogliere un sasso per ucciderli.
Non trovo
in me quelle comuni antipatie che riesco a notare in altri. Quelle ripugnanze
nazionali non mi toccano, e giudico senza preconcetti i Francesi, gli Italiani,
gli Spagnoli o gli Olandesi; ché se anzi mi accorgo che le loro azioni
equivalgono a quelle dei miei connazionali, io li onoro, li amo e do loro la
mia amicizia nello stesso identico modo.
Io sono
nato nell’ottavo clima, ma è come se fossi configurato e posto sotto una stella
che a tutti si addice; non sono una pianta che non prospera se vien tolta da un
giardino. Non esiste cosa alcuna, insomma, né pianta, né animale, né spirito,
cui senta d’essere avverso; la mia coscienza mi smentirebbe se dicessi di
detestare o di odiare in modo assoluto una qualsiasi essenza che non sia il
Diavolo, o per lo meno di aborrire una qualche cosa a tal punto da non poter
giungere ad un accordo.
Se tra
quegli oggetti comunemente odiati uno ne esiste di cui io possa tranquillamente
affermare che lo guardo con disprezzo e con scherno, questo è quel grande
nemico della Ragione, della Virtù e della Religione, che è la moltitudine; quel
mostro numeroso, che preso nelle sue singole parti sembra composto d’uomini di
creature di Dio dotate della Ragione, ma confuso insieme forma un’unica grossa
bestia, e una mostruosità più prodigiosa dell’idra; non è mancanza di carità
chiamare stolti costoro, tale è l’appellativo che ricevono da tutti gli
scrittori sacri, inserito da Salomone nella Scrittura canonica, ed è un punto
di fede per noi pensarla così.
E nel
nome della moltitudine non includo solo la gente di qualità bassa e inferiore:
vi è una plebaglia perfino tra la gente ben nata, una specie di menti plebee,
la cui fantasia si muove con l’identica ruota; uomini proprio al livello stesso
dei lavoratori manuali, sebbene la loro fortuna in un certo modo indori le loro
infermità, e la loro borsa compensi la loro balordaggine.
Ma come
alla resa dei conti tre o quattro uomini riuniti risultano inferiori ad un
unico uomo posto più in basso di loro, ugualmente un gruppo di questi ignoranti
indorati non ha certo lo stesso pregio e valore di più di un disgraziato che la
posizione sociale sotto i loro piedi. Se vogliamo esprimerci da uomini accorti,
esiste una nobiltà senza l’araldica, una dignità naturale mercé la quale un
uomo vien posto sullo stesso piano di un altro, e un altro elencato prima di
lui, secondo la qualità del suo merito e la preminenza delle sue doti.
Benché la
corruzione del nostro tempo e la tendenza ora manifesta seguano un altro
indirizzo, così avveniva negli stati di un tempo, e ancora avviene
nell’integrità iniziale dei governi bene ordinati, finché non prende piede la
corruzione, adoperandosi per i desideri più volgari per ottenere ciò che i
ragionamenti più saggi disprezzano, e ciascuno essendo libero di ammassare e
accumulare la ricchezza, che costituisce la licenza o la facoltà di fare o acquistare
qualsiasi cosa (la qual cosa non si può né acquistare né rendere propria senza
il dovuto dono di Natura, eccetto e per l’appunto, la detta licenza nella falsa
facoltà acquisita eterno problema del passato quanto presente Tempo…).
Questo
mio nobile temperamento versatile ed imparziale mi rende più disposto ad
accostarmi a quella nobile virtù, sì che posso raggiungerla con più facile
misura di grazia. È una felicità esser nato già formato alla virtù, e crescere
dai semi della Natura, anziché dell’inoculazione e dai forzati innesti
dell’educazione; pure, se siamo unicamente guidati dalla nostra particolare
natura, e regoliamo le nostre tendenze secondo una legge che non sia più alta
della nostra Ragione, siamo nulla più che moralisti; la Teologia ci chiamerà
ancora Pagani.
Io
ritengo inoltre che esista una fitonomia, ovvero fisionomia, non solo degli
uomini, ma delle piante e dei vegetali; ed in ciascuno di essi alcune figure
esteriori, che se ne stanno esposte come insegne o frasche delle loro forme interiori.
Il dito di Dio ha apposto un’iscrizione su tutte le sue Opere, una grafica o
composta di lettere, ma fatta delle loro varie forme, costituzioni, parti e
operazioni; e queste poste accortamente insieme, formano una parola che esprime
la loro Natura.
Mediante
queste lettere Dio chiama le stelle col loro nome, e mediante questo alfabeto
Adamo assegnò a ciascun essere un nome peculiare alla sua natura. Esistono,
ora, oltre a questi caratteri del nostro viso, certe linee e figure mistiche
sulle nostre mani che non oso definire come semplici segni o tratti à la volée, ovvero frutto del caso,
essendo essi tracciati da una matita che mai opera invano; ed io le osservo con
cura più particolare, dato che porto nella mia mano quello che non potrei mai
leggere o scoprire.
Nessun commento:
Posta un commento