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Prosegue in:
L'orrore dei ghiacci e delle tenebre (23)
& Nell'eterna fuga (24)
L’ultima estate di Mazzini e la sua partenza
erano state precedute da mesi di corrispondenza che, all’idea che egli si era
fatto degli scenari del viaggio di Weyprecht e Payer nel Mar Glaciale,
contrappose gradualmente vaghe immagini della realtà artica contemporanea.
La corrispondenza avuta con il governatore di
Spitsbergen, con i rappresentanti dell’Istituto polare norvegese e gli uffici
della Store Norske Spitsbergen Kulkompani era iniziata senza alcun impegno, quasi
per gioco, e aveva infine condotto a degli accordi precisi trasformando le
fantasie di Mazzini in piani ben definiti.
Non credo che egli fosse fin dall’inizio
determinato a intraprendere questo Viaggio e che lo abbia proprio voluto
realmente. Sembrò che le cose avessero effettivamente preso il loro corso e che
Mazzini soltanto in un secondo tempo avesse cercato di spacciare questo Viaggio
come una sua decisione.
Anche quando alla fine della sua corrispondenza
preliminare c’era non solo la rassicurante conferma di un alloggio in
foresteria a Longyearbyen, ma anche la certezza di un posto in cabina a bordo
della ‘Cradle’ - un peschereccio di 3200 cavalli vapore e di media tenuta
contro il ghiaccio, l’Artico, nella stessa misura in cui diventava più
raggiungibile e vicino, gli pareva però anche più inospitale, respingente e
talvolta persino minaccioso.
Nei deserti di ghiaccio creati dalla sua
immaginazione e dalle sue elucubrazioni mentali, Josef Mazzini non aveva avuto
bisogno di vestiti imbottiti di piuma, né di alcuna protezione contro la luce
abbagliante e neppure di un fucile. Ma ora... man mano che si avvicinava al
mondo insulare artico, finora mero palcoscenico o sfondo alle sue fantasie,
questo cominciava ad assumere forme aspre e bizzarre che lo spaventavano e lo
attraevano allo stesso tempo.
E così procedeva nell’attuazione del suo
proposito.
“Caro signor Mazzini”,
….aveva scritto il governatore Ivar Thorsen
nella sua prima lettera di risposta da Long-yearrbyen,
“con tutta la stima per il suo interesse per la
storia polare, dubito però che lei sia sufficientemente informato sulle
condizioni dell’Artico norvegese. Le conviene dimenticare al più presto l’idea
di spingersi con un peschereccio nel Mare di Barents settentrionale partendo da
Spitsbergen. Un simile proposito sarebbe molto avventato e rischioso in qualsiasi
stagione. Inoltre qui da noi non esistono né pescatori né pescherecci. Quanto
alla sua domanda in merito a un’eventuale partecipazione a uno dei viaggi di
ricerca dell’Istituto polare norvegese, la rimando agli uffici competenti di
Oslo. Ma non si faccia troppe illusioni. Come lei sa, Novaja Zemlja, come del
resto la Terra di Francesco Giuseppe, è territorio sovietico...”.
Con il giorno della sua partenza Mazzini mi
diventa distante proprio come l’equipaggio della ‘Admiral Tegetthoff’.
Vicende che si intrecciano entro
la sottile trama della Storia…
Uomini che fuggono dall’abisso
del terrore…
Apostrofati per pazzi salutiamo
questo mondo da cui ghiaccio tenebre e dolore.
Klotz diventa sempre più taciturno.
….Nessuno più riesce a confortarlo.
…Vuole tornare a casa!
Deve tornare a casa!
Ma la terra!
In fondo, hanno scoperto una terra, delle
belle montagne. Ora hanno una terra.
La terra?
Ah, questa terra.
Ma le montagne non hanno boschi di abeti né
di pini silvestri, né abeti nani, niente. E le valli sono colme di ghiaccio. A
casa vuole tornare, Klotz.
A casa!
E’ un buon pomeriggio di… dell’anno 1873,
il freddo è atroce, ed è in quel pomeriggio che il cacciatore Alexander Klotz, appena
ritornato con Payer e Haller da una delle loro escursioni sulla costa, getta
via la pelliccia congelata, i guanti, il berretto di pelo, il copriviso di
pelle, getta via tutto e poi indossa i suoi abiti estivi.
Là dove sta andando non ha bisogno di una
pelliccia pesante. Gli inverni a Sankt Leonhard, gli inverni nella Val Passiria
sono nevosi e miti. Klotz svuota la propria cuccetta, poi però lascia lì il
sacco di tela con tutti i suoi averi. Prende con sé soltanto le cose più
preziose, l’orologio con scappamento a cilindro, che ha vinto all’ultimo tiro a
segno in onore del compleanno di sua maestà, le banconote elargitegli da Payer
per particolari servigi prestati al signor tenente e, infine, un rosario di
legno...
…Poi, serio e maestoso, Klotz si presenta
ai suoi compagni e stringe la mano a ciascuno:
ADDIO!
– Klotz! Sei impazzito?
…chiede Haller.
– Addio anche te, Haller,
dice Klotz e sale sul ponte di coperta.
Chi lo segue lo vede ritto al parapetto con
il fucile in spalla, immobile come in un quadro, non risponde a nessuno e
guarda nel buio, sopra i ghiacci. Forse lo si deve solo lasciar stare, Klotz.
Tornerà sicuramente in sé.
Tornerà sicuramente in sé.
Bisogna solo lasciarlo stare.
– Ma quello si è preso una sbornia, dice il
fochista Pospischill.
– Solo una sbornia; si è scolato tutta la
sua razione di rum e vodka.
– D’accordo. Lasciamolo stare. Tornerà sotto
coperta da solo. Lasciamolo stare.
Ma quando,
due ore dopo, Weyprecht viene dal
quadrato ufficiali dove i signori
hanno ancora una volta discusso del
futuro della spedizione senza accorgersi della follia di Klotz, e quando il
comandante ordina di andare a recuperare il cacciatore e… Johann Haller sale
obbediente sul ponte, al parapetto Klotz non c’è più; il tirolese è scomparso.
Quella non era follia. Quella non era una
storia, quello era un congedo. Il cacciatore e conducente dei cani Alexander
Klotz è andato a casa. Adesso il tempo fugge come non mai. Ora, che non c’è
nemmeno un minuto da perdere, il tempo improvvisamente vola. Ed essi lo rincorrono!
Klotz, che morirà congelato nel giro di poche ore, se non lo ritrovano. Quel
maledetto passiriese! Uscire con questo gelo in abiti estivi! Si dividono in
quattro gruppi e si precipitano in tutte le direzioni dei punti cardinali;
l’aria tagliente li colpisce alla gola come un coltello. Non fermarsi.
Più veloci!
Klotz!
Ma che muoia congelato, QUEL PORCO!
Vuole morire congelato! Ma quello è già
morto. Deve essere morto già da un pezzo.
Invece, non lo trovano così. Dopo cinque
ore, finalmente lo rintracciano: lento e solenne, a capo scoperto, con il volto
ormai quasi completamente congelato, Alexander Klotz marcia verso sud, la sua
terra natia, la grande madre Russia. Lo fermano; cercano di convincerlo; gli
gridano addosso dei rimproveri. Egli però non dice una parola. Lo riportano
sulla nave, lo conducono via. Non oppone resistenza.
Nella sala dell’equipaggio scongelano il
fuggiasco russo, gli strappano i vestiti di dosso, gli immergono le mani e i
piedi congelati in acqua frammista ad acido muriatico, lo frizionano con la
neve, che è dura come polvere di vetro, gli fanno bere acquavite e imprecano per
la disperazione.
Klotz lascia fare e rimane impassibile,
ogni tanto ride. Poi lo coricano nella sua cuccetta, lo coprono e lo vegliano. Egli
giace lì con lo sguardo fisso, non prende più parte alla loro vita, alle loro
feste, ai balli, alle bevute. Sta solo disteso e li fissa....
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