Precedenti capitoli:
Sasso & Ghiaccio (scomparso) (1/2)
...Prosegue [....] con...:
Il Gioco dei 4 Elementi 'raggirati'... &
Il libro scomparso (5/7)
A una
bambina che lo fissava esterrefatta, Tita Piaz – il più singolare personaggio
delle nostre Alpi – domandò:
‘Perché mi
guardi così? Non hai mai visto un uomo più brutto di me?’.
E la
bambina:
‘No. Mai!’.
Nel suo
libro di ricordi Mezzo secolo di
alpinismo pubblicato ora da Cappelli, c’è a pagina 56 una fotografia
giovanile del ‘mostro’; gli è accanto Ugo
De Amicis, figlio dello scrittore e di Piaz
discepolo in alpinismo. Due begli uomini, dal volto simpatico e ragionevole, e
si sarebbe imbarazzati a fare la scelta.
Come è
possibile che fin da allora – si parla del principio del secolo – la faccia di Piaz fosse giudicata diabolica?
Eppure le
testimonianze, sue e dei biografi, sono d’accordo: i bambini erano spaventati e
qualche cliente, dopo averlo visto, disdiceva con improvvisi pretesti l’impegno
per l’escursione. In realtà nei suoi ritratti più recenti c’è qualcosa di
mefistofelico.
Ma il ‘satanismo’ di Tita Piaz ha probabilmente
più vaste origini. Il fatto è questo: un uomo deciso a essere genuino fino in
fondo, a non tradire la propria natura, a lottare contro ciò che gli sembra
ingiusto è destinato fatalmente a una vita difficile, a farsi coprire di
scomuniche.
…La
sincerità è un lusso che il mondo fa pagar molto caro….
I signori non erano più clienti da curare rispettosamente;
non erano più, nelle prime salite, i condottieri dell’impresa, che concepivano
e indicavano la via da seguire.
Il signore era lui, lui comandava, lui
stabiliva cima, itinerario e ora di partenza: bontà sua se alla corda poteva
legarsi l’ambizioso turista. Dedicava la Punta
Emma (di fronte alle Vajolet) a
una sguattera di rifugio, dava del tu – e copriva d’insolenze se nei punti
difficili stentavano a salire – a principi del sangue e ministri.
A un arciduca
di casa Absburgo gridava, tirando la
corda:
‘Su,
rinoceronte!’.
‘Carogna,
creatura infame, capra!’,
…urlava a
una signorina incrodata sotto il famigerato passo
di Winkler.
Eppure fu
uno degli uomini più amati: tenuto alla larga o addirittura perseguitato dalle
autorità (conobbe via via le prigioni di Cecco Beppe, di Vittorio Emanuele e di
Hitler), popolarissimo però tra i valligiani e gli alpinisti di tutto il mondo
fra cui… Preuss…
Circa la
nota disputa abbiamo già accennato…
Ed ora, giunti alle (due) ‘grandi Cime’ è bene
rimembrarne le dovute ‘geologie’ giacché alla loro vista possiamo pensare la
giusta Via per ‘consolidare’ la Vetta nella 'pretesa' d'ognuno del mancato rispetto che
ogni Elemento pretende…
…Molti altri (privi dello Spirito) affollarono ed
invadono medesimo desiderio (incarnato e di certo non ben ‘meditato’) giammai eguagliato
e per sempre tradito dalla ‘infruttuosa gara’ in cui la Natura perita…
Non debbo aggiungere molto altro!
Gli addetti ai lavori hanno compreso i molti modi
di intendere e condividere ugual medesimo Desiderio!
Il più
grande alpinista che sia mai esistito è l’austriaco Paul Preuss (1886-1913).
Questa la
ferma conclusione a cui arriva Severino
Casara al termine di un poderoso e illustratissimo libro (Preuss, l’alpinista leggendario, editore Longanesi)
che è costato molti anni di studi, di ricerche, di viaggi, di pazienti investigazioni
per rintracciare una testimonianza, un documento, una fotografia, un minimo
episodio a oltre mezzo secolo dalla morte.
Del medesimo
avviso è, nella prefazione, Aldo
Bonacossa, uno dei nostri più forti accademici della vecchia guardia, che
di Preuss fu compagno di cordata
nella memorabile prima salita dell’Aiguille
Blanche de Pétéret per la cresta
sudest.
Che cosa
autorizza ad attribuire a Preuss
questo primato?
Preuss realizzò meravigliose salite che a quei tempi
rappresentavano la massima vetta della difficoltà e che ancor oggi conservano
alto prestigio. Ma anche altri – come Angelo Dibona, Duelfer, Redlich, Fichtl, Piaz – negli stessi anni
compivano imprese altrettanto ardue.
Perché
dunque considerarlo in testa a tutti?
Possibile
che non sia stato eclissato dalle meraviglie del sesto grado?
La sua
prima e fondamentale virtù è la intransigente purezza dello stile.
Preuss destò quasi scandalo, provocò una clamorosa
polemica, e venne definito suicida perché si batteva strenuamente contro l’uso dei mezzi artificiali. I chiodi non li ammetteva, non dico allo
scopo di forzare un passaggio altrimenti insuperabile, ma neppure a titolo di
assicurazione. Negava pure l’uso della
corda doppia: non si doveva salire una parete se non si era in grado di
discendere coi propri soli mezzi per la stessa via.
Nel corso di
tanta prodigiosa attività egli piantò
soltanto due chiodi, ma vi fu costretto per evitare, sul pilastro della Trisselwand, un penoso bivacco a una
compagna di cordata.
Nelle
Dolomiti due sono i suoi più celebri capolavori: la parete est del Campanil Basso di Brenta e la Piccolissima di Lavaredo. Su per la
muraglia sommitale del Campanil Basso, che
a quei tempi pareva sinonimo di follia, egli si avventurò da solo, e vinse in
due ore: dopodiché discese per la stessa strada senza ricorrere alla corda
(exploit che nessuno ha mai più ripetuto).
Su quei
duecento metri di secco quinto grado Preuss
non piantò neppure un chiodo;
adesso ce ne sono infitti venticinque. E quindici chiodi costellano oggi la via Preuss, tracciata, con uguale
castità, sulla Cima Piccolissima di
Lavaredo, che per molti anni, anche dopo la prima guerra mondiale, metteva
un quasi superstizioso terrore.
In fatto di
pura arte ‘arrampicatoria’, senza intervento di attrezzi, sembra proprio che
nessuno sia andato più in là. E per valutare fino in fondo le sue imprese va
tenuto conto anche del progresso psicologico, di estrema importanza in
alpinismo come in quasi tutti gli sport, per cui io stesso a cinquant’anni
riuscivo a fare delle cose che a vent’anni, quando ero molto più forte, mi
parevano assurde.
Eccezionale
era in Preuss anche la rapidità di
salita. In sole due ore e tre quarti, con una nuova variante, scalò da solo la
parete ovest del Totenkirchl, ritenuta
allora la più difficile delle Alpi, che pochissime cordate avevano fatta, con
largo uso di mezzi artificiali, impiegando più di dieci ore: e tutto il mondo
alpinistico ne restò sbalordito. Val poi la pena di ricordare la traversata da
solo in dodici ore delle quattro cime più alte del Sassolungo, seimila metri di difficile arrampicata, e la doppia
traversata in poche ore della Cinque Dita
e della Piccola di Lavaredo per tutte le vie.
Di più.
La sua
meravigliosa abilità non si limitava alla roccia.
Anche in ghiaccio
era un campione; e Aldo Bonacossa ne
ammirò la ‘perfetta lieve tecnica di ramponista’. Si aggiunga la instancabile
attività di sciatore: le più lunghe e ardue traversate sopra i tremila e
quattromila metri, tra cui la prima del Gran
Paradiso. Basterebbero i dati numerici a farne un ‘essere quasi
soprannaturale’. Oltre duemila ascensioni,
per lo più molto difficili – cinquecento
da solo – in una decina d’anni di vita alpinistica, in cui egli passò circa tremila giorni in montagna.
Bilancio che nessun altro scalatore è riuscito
soltanto ad avvicinare.
Ricostruire
quasi giorno per giorno l’esistenza di un uomo scomparso da oltre
cinquant’anni, con due guerre mondiali di mezzo, deve essere costata una bella
fatica a Severino Casara,
instancabile alpinista, scrittore, regista di film di montagna. La meticolosa
precisione del lavoro, le date, le cifre, i nomi, non mortificano però la luce
che viene da quella affascinante figura. Era di media statura, esile, elegante,
però tutto un fascio di muscoli scattanti (come Emilio Comici), benché fosse
stato dichiarato inabile dalla commissione militare di leva. Le numerose
testimonianze raccolte da Casara lo fanno apparire un giovane estremamente
educato, modesto, ottimo parlatore, ricco di humour, pronto allo scherzo. Non
si riesce a intravedere un difetto, per piccolo che fosse. Un primissimo della
classe dunque, incensurabile, ammirevole, ma nel complesso affliggente per
l’eccesso di virtù?
Sarebbe
ingiusto dirlo, anche se Severino Casara,
che per Preuss ha sempre avuto una
autentica venerazione, indulge qua e là al tono apologetico. Aveva avuto tutto
dalla vita; ottima famiglia (suo padre era musicista) ottima educazione,
salute, ingegno (si era laureato in scienze naturali) strabiliante successo in
ciò che più gli premeva nella vita (nel libro di Casara non si fa il minimo
cenno ad amori).
Il 3 ottobre 1913, nel tentativo solitario
di scalare la prima volta lo spigolo del Mandlkogel,
ed era giunto fin sotto la vetta, fu sorpreso da una bufera violentissima,
proprio in un delicatissimo traverso. Strappato via dalla rupe. Dieci giorni
dopo, sotto una coltre di neve, il suo corpo fu ritrovato ai piedi della
parete.
Nell’amaro
rimpianto per una giovane gloriosa vita troncata si mescola un dubbio: non fu
la sorte a lui misericordiosa?
Se quel
giorno fosse giunto in vetta sano e salvo, se avesse proseguito sulla strada
che sembrava protetta da una fortuna invincibile, se fosse sopravvissuto alla
guerra, a quali ignominie sarebbe andato incontro Paul Preuss, ch’era figlio di
un ebreo?
Se lo chiedeva il suo grande amico Tita Piaz.
La
proscrizione, il vituperio della stella gialla, l’esclusione da ogni attività
pubblica, le umiliazioni, la miseria, l’infamia, addirittura il campo di
sterminio, a lui ‘il grande Preuss, il sommo arrampicatore, il più grande di
tutti i tempi e di tutte le nazioni?’.
(D. Buzzati)
Nessun commento:
Posta un commento