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Esule a 'Tomi' (16/1)
Prosegue in:
Il Lupo... (18) (anche in formato fotoblog...) &
Con il secondo accademico, ovvero: 'Chi nel viso degli uomini legge omo' (19) &
Salviamo il mondo (20)
Che vuoi intendere se
non ciò che pur anch’io ho ben compreso, seppur abdicando all’intuizione
concernente il disquisito il dovuto e velato sottinteso non men de’l celato
ritmo; oppure per meglio intendere, introduzione di sì vasto Dialogo.
Impensabile giacché ai
più incomprensibile, certo non in questo regno non ancor trapassato a miglior
‘vita’ ove la morte ne canta l’esistenza e questa aspira ad annullarne l’essenza.
Dialogo celebrato qual inno fra due ‘cattedrati’ ben esiliati e
tacciati non men del Lupo trasfigurato a me così caro, giacché svela l‘(in)canto’
precedere l’attuale pecunia intonata.
E da un lupo attentata (oppure svelata)!
Può esser un monito, dacché
come hai pur apostrofato nel giusto tono e dovuto intendimento, “chi suona il tamburo non udendone il suono”,
dispiega, svelando e nel qual-tempo violando pur non volendo, un’intera
polifonia profanata, restituita all’orecchio sordo non men dell’ocolu nel
chiostro ove ogni nota ben custodita e celata qual inno della Memoria
preservata…
Pur non avendone decifrata
la Rima…
Il primo accademico…:
Uno degli
errori più gravi commessi dagli storici delle religioni del secolo XIX e dai
loro seguaci fu indubbiamente il tentativo di spiegare l’origine del fatto
religioso risalendo anzitutto alla paura che l’uomo prova di fronte alle forze
naturali e, di conseguenza, il ritenere che la richiesta d’aiuto sia il vero
nucleo delle relazioni fra gli Dèi e gli uomini. I teologi, attingendo
argomenti alla loro tradizione, hanno sempre combattuto una tesi del genere.
D’altra parte, anche ricerche più accurate da parte di non teologi sono giunte
almeno all’ammissione che, in effetti, un fenomeno così solidamente e minutamente
articolato come quello religioso era stato precedentemente racchiuso in formule
così grossolane da rendere impossibile un giudizio esatto sull’effettiva realtà
delle cose.
Con una
metodologia tanto carente, anche il fenomeno dell’amore che una donna prova per
un uomo potrebbe essere fatto risalire unilateralmente al senso di impotenza di
fronte alla lotta della vita. Come abbiamo or ora accennato, in ambedue i casi
la situazione è troppo complessa da poter essere liquidata con una riflessione
sbrigativa e utilitaristica.
Nel campo
religioso la richiesta angosciosa è certamente un elemento primario. Se però
l’ansia della vita fosse realmente la base della Religione, il nostro secolo
dovrebbe essere la più religiosa di tutte le epoche. Il timore caratterizza
l’amore e l’adorazione che l’uomo presta a Dio; soltanto se negli strati
profondi di questo fenomeno ciò che è amato è anche temuto.
È evidente
che tale situazione – causata dall’antinomia dei sentimenti – dovette essere
preclusa ai ‘razionalisti positivi’ e fondamentalmente pessimisti del secolo
passato. Ora, ciò che lega insieme tanto strettamente ‘amore e religione’ è
appunto il loro presupposto comune: la capacità di abbandonarsi nella fiducia.
Direi che dalla fiducia, terreno fecondo che alimenta tutta la dignità
dell’uomo, sgorgarono le tre grandi correnti del fenomeno religioso. L’una, in
certo senso femminile, nasce dal bisogno di protezione; l’altra, maschile, si
esprime nella lotta e nell’esaltazione; la terza è la gratitudine che le altre
due hanno in comune.
Queste tre
componenti sono ovviamente presenti in ogni individuo, anche se prevalgono in
diversa misura ora l’una ora l’altra. La ‘religiosità’ è realmente affine
all’amore, tanto che in ogni tempo il lamento amoroso e il pianto religioso,
viatico delle anime trapassate, toccò prevalentemente le donne, mentre l’inno – inteso sia come canto
d’amore profano che come lode innalzata a Dio – fu di competenza soprattutto
dell’uomo. Pertanto, senza pericolo di confondere le idee, possiamo parlare di un
atto amoroso della religiosità e di un carattere religioso dell’amore, mentre
la gratitudine è sempre il vero e proprio elemento vincolante, la religio.
Queste
nostre affermazioni hanno ovviamente valore soltanto se, resistendo allo
Spirito della nostra epoca, diamo il posto di onore alla dignità per cui l’uomo
è nato, evitando che essa sia offuscata dall’esasperazione grottesca delle
forme sotto umane dell’uomo stesso. I fatti dimostrano che l’atto amoroso
specifico della religione, vale a dire la lode e l’esaltazione, è almeno
altrettanto importante e rilevante della richiesta. È ovviamente possibile,
considerare la grande letteratura ‘innografica’
come un’adulazione, in definitiva ‘tendenziosa’, degli Dèi da parte degli
scrittori.
Anche prescindendo
dall’esattezza o inesattezza di fondo di tale pur ragionevole ipotesi, resta il
dubbio se essa non contenga un grave errore di giudizio. Siffatto giudizio nei
confronti di chi innalza la lode ci costringe comunque a rilevare un’altra forma mentis, forse alquanto penosa, che
riguarda la relazione tra l’oggetto
studiato e lo studioso. In effetti, al dio supremo o a quello più
importante fra gli dèi sono normalmente riconosciute l’onniscenza e la capacità
di vedere tutto, per cui è praticamente impossibile ingannarlo con l’ipocrisia,
cosa che d’altra parte è per sua natura
sacrilega.
Non si può
certamente negare che tali tentativi vengano fatti, tuttavia la rivelazione
documentata di un tentativo di inganno non dovrebbe significare per il
ricercatore la scoperta di una caratteristica essenziale specifica del fatto
religioso, ma unicamente la constatazione
di un’evidente deviazione causata dalla dimenticanza del principio supremo
dell’onniscenza divina.
Pur essendo
imprescindibili per la ricerca, i documenti possono provare qualcosa soltanto
se sfruttati con presupposti giusti. E, se proprio vogliamo soffermarci sulla
tendenziosità, va pur detto con la massima franchezza che in tutte le religioni
e in ogni epoca esistono uomini (non esclusi gli scienziati e i ricercatori) i quali sono mossi unicamente dall’idea
utilitaristica, come ne esistono
altri che si entusiasmano per un significato
superiore della vita.
A questo
riguardo la ricerca obiettiva naufraga spesso semplicemente a causa della
mancata verifica dei propri presupposti umani. Basterebbe l’universalità
dell’idea del sacrificio a provare come la spontaneità del dare e del lodare
sia insita nella natura delle cose. Spesso è effettivamente più facile
riconoscere negli uomini primitivi, che non negli abitanti delle città moderne,
una capacità di sacrificio che supera tutte le altre forze umane. Ma ciò non
toglie valore al fatto incontestabile che ogni autentico miglioramento esige
sempre al principio una certa disposizione al sacrificio o all’impegno, anzi,
di più, la capacità di riconoscere pienamente e volentieri l’esistenza di
qualcosa che è superiore a noi stessi…
(…Possiamo altresì affermare che tale prospettiva,
ieri quanto negli odierni svolgimenti storici muta l’intera ipotesi dell’‘umano’
mutandone irreversibilmente tratto e principio (da cui nato), e ancor peggio, ogni
Elemento da cui evoluto e in cui ‘scritta’ ogni possibilità futura […divergendo nel punto in cui la stessa Storia scissa,
ovvero se questa fosse scritta da un Albero su cui leggere la nota della vita
respirata per ogni foglia alla fotosintesi del principio per cui evoluta e
donata, o meglio, ‘restituita’, potremmo meglio intendere e certamente
coniugare un mondo evoluto secondo i veri principi della Spirale quindi della Vita;
se invece, all’opposto, la corteccia funge solo da limitato scopo quale elemento
su cui incidere o tracciare impropri avverbi nell’errata grammatica della storia,
allora ne avremmo vilipeso il principio costringendola al ‘soffocato’ balbettante
limite, non più suono né parola disquisita, quindi ‘evoluti’ entro i termini
della morte…: ‘la morte canta la vita dei morti…]...
...entro quella stessa ‘spirale’ divenuta ‘pensiero parola e verbo’,
e simmetrico istintuale ‘inno per la vita’ nata, ma certamente né udita né
compresa. Se non addirittura irrimediabilmente naufragata nella contraria falsa
aspirazione divenuta miraggio dell’antica quanto nuova Apocalisse celebrata
qual vita (di nuovo) (ri)creata, rinnegare la spiritualità dell’uomo con
l’indubbio intento di fondare - e successivamente innestare - il falso mito del
progresso (o ancor peggio - come sovente ciarlano e dicono: dell’armonia),
esulare dalla superiore sacralità donde ogni ‘armonia’ affine al Mistero seppur
apparentemente ‘della e nella’ Vita svelato, privato però della dovuta Memoria
(e non solo genetica) donde (e come) nato. Ogni Verbo Pensiero e con loro
Intelletto e Spirito ‘evoluti’ nella sacralità naufragata ove indistintamente
leggere mito o sacrificio qual tratti comuni d’un’antica grammatica, o
antropologicamente parlando, qualsivoglia frammento raccolto e studiato ma
quantunque da ogni Elemento nato, fondare nella Spirale - specchio
dell’Universo - un messaggio un gene un tratto comune, il quale, anche se
specificato o circoscritto ‘dalla e nella’ ‘materia’ ‘con ed in cui’ svelarne
il ‘canto’, e mi ripeto, se pur questa...
...evoluta, (quantunque)
impossibilitata dell’atto; al più circoscritta nella ‘limitata limitante’ deduzione
(fors’anche rara intuizione) di talune specifiche condizioni, ma quantunque
impossibilitata, se privata della immateriale (opposta) spiritualità da cui
nata, esulare dal vero ‘significato-significante’ ragion del Sacro dell’oggetto
studiato. Se tale condizione non svelata dovesse ‘cantare’ il proprio Inno, il
proprio motivo, il proprio sacrificio, il proprio o altrui gene entro la
propria (ed altrui) Spirale, superiore (invisibile nota) di quanto studiato,
ricreerebbe la condizione limitante (e materiale) dell’umano (il quale evoluto
e specificato entro i termini dell’atto divenuto grammatica e sintassi: tempo e
materia), escludendo e rimuovendo l’immateriale o Divino ragion del Sacro e
compiendo (o celebrando unitamente ed indistintamente) il sacrificio limite (e
simbolo) dell’umano. Questa importante nota nonché ‘Enunciato’ trascritto nei
termini propri di una ‘equazione’ tradotta e specificata nella ‘materia’ con i ‘pittogrammi’
definirne il tratto comporterebbe sempre e quantunque il simbolo della ‘croce’
successiva allo zero (nulla) da cui nata...
....e nell’Uno progredita; affinché si
possa al meglio far comprendere e demotivare tutti coloro che aspirando alla
vetta, di qualsiasi natura essa appaia: competitiva cima della dovuta
conquista, o olimpio di un dio o tanti dèi, difettando e non riconoscendo i
gradi, in cui e per cui, l’immateriale Spirito ed il Sacro manifestano e
compongono l’aspirata ambita conquista di superiore ingegno e cima fondamento
della Via, prodigandosi e cimentandosi ‘artificiosamente’ nei gradi
dell’impresa - e in qualtempo rinnegando gli stessi - giammai ne potranno
comprendere la Genesi dell’intera salita - della difficile salita scolpita ed
intagliata negli scalini della dura crosta e sacrificata - nel Golgota della
materia solo per comprenderne la bellezza… Pur convinti della Vetta
precipiterebbero (con essa) nel crepaccio della materia se esulano dalla
comprensione dell’atto ‘metafisico’ del Sé risalire ed ascendere la primordiale
armonia…)…
…Sia l’uomo
primitivo religioso che il ricercatore moderno possono ovviamente considerare
anche il sacrificio come una specie di corruzione del dio, ma facendo ciò si
dimentica che il sacrificio non è soltanto un dono materiale, bensì soprattutto
un atto spirituale e… vocale…
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