CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 28 ottobre 2019

IL LUPO RIFONDA IL MITO (17)














Precedenti capitoli:

Esule a 'Tomi' (16/1)

Prosegue in:


Il Lupo... (18)   (anche in formato fotoblog...)  &

















Con il secondo accademico, ovvero: 'Chi nel viso degli uomini legge omo' (19) &






Salviamo il mondo (20)















Che vuoi intendere se non ciò che pur anch’io ho ben compreso, seppur abdicando all’intuizione concernente il disquisito il dovuto e velato sottinteso non men de’l celato ritmo; oppure per meglio intendere, introduzione di sì vasto Dialogo.

Impensabile giacché ai più incomprensibile, certo non in questo regno non ancor trapassato a miglior ‘vita’ ove la morte ne canta l’esistenza e questa aspira ad annullarne l’essenza. Dialogo celebrato qual inno fra due ‘cattedrati’ ben esiliati e tacciati non men del Lupo trasfigurato a me così caro, giacché svela l‘(in)canto’ precedere l’attuale pecunia intonata.

E da un lupo attentata (oppure svelata)!

Può esser un monito, dacché come hai pur apostrofato nel giusto tono e dovuto intendimento, “chi suona il tamburo non udendone il suono”, dispiega, svelando e nel qual-tempo violando pur non volendo, un’intera polifonia profanata, restituita all’orecchio sordo non men dell’ocolu nel chiostro ove ogni nota ben custodita e celata qual inno della Memoria preservata…

Pur non avendone decifrata la Rima…

Il primo accademico…:  













  
Uno degli errori più gravi commessi dagli storici delle religioni del secolo XIX e dai loro seguaci fu indubbiamente il tentativo di spiegare l’origine del fatto religioso risalendo anzitutto alla paura che l’uomo prova di fronte alle forze naturali e, di conseguenza, il ritenere che la richiesta d’aiuto sia il vero nucleo delle relazioni fra gli Dèi e gli uomini. I teologi, attingendo argomenti alla loro tradizione, hanno sempre combattuto una tesi del genere. D’altra parte, anche ricerche più accurate da parte di non teologi sono giunte almeno all’ammissione che, in effetti, un fenomeno così solidamente e minutamente articolato come quello religioso era stato precedentemente racchiuso in formule così grossolane da rendere impossibile un giudizio esatto sull’effettiva realtà delle cose.




Con una metodologia tanto carente, anche il fenomeno dell’amore che una donna prova per un uomo potrebbe essere fatto risalire unilateralmente al senso di impotenza di fronte alla lotta della vita. Come abbiamo or ora accennato, in ambedue i casi la situazione è troppo complessa da poter essere liquidata con una riflessione sbrigativa e utilitaristica.
Nel campo religioso la richiesta angosciosa è certamente un elemento primario. Se però l’ansia della vita fosse realmente la base della Religione, il nostro secolo dovrebbe essere la più religiosa di tutte le epoche. Il timore caratterizza l’amore e l’adorazione che l’uomo presta a Dio; soltanto se negli strati profondi di questo fenomeno ciò che è amato è anche temuto.




È evidente che tale situazione – causata dall’antinomia dei sentimenti – dovette essere preclusa ai ‘razionalisti positivi’ e fondamentalmente pessimisti del secolo passato. Ora, ciò che lega insieme tanto strettamente ‘amore e religione’ è appunto il loro presupposto comune: la capacità di abbandonarsi nella fiducia. Direi che dalla fiducia, terreno fecondo che alimenta tutta la dignità dell’uomo, sgorgarono le tre grandi correnti del fenomeno religioso. L’una, in certo senso femminile, nasce dal bisogno di protezione; l’altra, maschile, si esprime nella lotta e nell’esaltazione; la terza è la gratitudine che le altre due hanno in comune.
Queste tre componenti sono ovviamente presenti in ogni individuo, anche se prevalgono in diversa misura ora l’una ora l’altra. La ‘religiosità’ è realmente affine all’amore, tanto che in ogni tempo il lamento amoroso e il pianto religioso, viatico delle anime trapassate, toccò prevalentemente le donne, mentre l’inno – inteso sia come canto d’amore profano che come lode innalzata a Dio – fu di competenza soprattutto dell’uomo. Pertanto, senza pericolo di confondere le idee, possiamo parlare di un atto amoroso della religiosità e di un carattere religioso dell’amore, mentre la gratitudine è sempre il vero e proprio elemento vincolante, la religio.




Queste nostre affermazioni hanno ovviamente valore soltanto se, resistendo allo Spirito della nostra epoca, diamo il posto di onore alla dignità per cui l’uomo è nato, evitando che essa sia offuscata dall’esasperazione grottesca delle forme sotto umane dell’uomo stesso. I fatti dimostrano che l’atto amoroso specifico della religione, vale a dire la lode e l’esaltazione, è almeno altrettanto importante e rilevante della richiesta. È ovviamente possibile, considerare la grande letteratura ‘innografica’ come un’adulazione, in definitiva ‘tendenziosa’, degli Dèi da parte degli scrittori.

Anche prescindendo dall’esattezza o inesattezza di fondo di tale pur ragionevole ipotesi, resta il dubbio se essa non contenga un grave errore di giudizio. Siffatto giudizio nei confronti di chi innalza la lode ci costringe comunque a rilevare un’altra forma mentis, forse alquanto penosa, che riguarda la relazione tra l’oggetto studiato e lo studioso. In effetti, al dio supremo o a quello più importante fra gli dèi sono normalmente riconosciute l’onniscenza e la capacità di vedere tutto, per cui è praticamente impossibile ingannarlo con l’ipocrisia, cosa che d’altra parte è per sua natura sacrilega.




Non si può certamente negare che tali tentativi vengano fatti, tuttavia la rivelazione documentata di un tentativo di inganno non dovrebbe significare per il ricercatore la scoperta di una caratteristica essenziale specifica del fatto religioso, ma unicamente la constatazione di un’evidente deviazione causata dalla dimenticanza del principio supremo dell’onniscenza divina.   
Pur essendo imprescindibili per la ricerca, i documenti possono provare qualcosa soltanto se sfruttati con presupposti giusti. E, se proprio vogliamo soffermarci sulla tendenziosità, va pur detto con la massima franchezza che in tutte le religioni e in ogni epoca esistono uomini (non esclusi gli scienziati e i ricercatori) i quali sono mossi unicamente dall’idea utilitaristica, come ne esistono altri che si entusiasmano per un significato superiore della vita.




A questo riguardo la ricerca obiettiva naufraga spesso semplicemente a causa della mancata verifica dei propri presupposti umani. Basterebbe l’universalità dell’idea del sacrificio a provare come la spontaneità del dare e del lodare sia insita nella natura delle cose. Spesso è effettivamente più facile riconoscere negli uomini primitivi, che non negli abitanti delle città moderne, una capacità di sacrificio che supera tutte le altre forze umane. Ma ciò non toglie valore al fatto incontestabile che ogni autentico miglioramento esige sempre al principio una certa disposizione al sacrificio o all’impegno, anzi, di più, la capacità di riconoscere pienamente e volentieri l’esistenza di qualcosa che è superiore a noi stessi…




(…Possiamo altresì affermare che tale prospettiva, ieri quanto negli odierni svolgimenti storici muta l’intera ipotesi dell’‘umano’ mutandone irreversibilmente tratto e principio (da cui nato), e ancor peggio, ogni Elemento da cui evoluto e in cui ‘scritta’ ogni possibilità futura [divergendo nel punto in cui la stessa Storia scissa, ovvero se questa fosse scritta da un Albero su cui leggere la nota della vita respirata per ogni foglia alla fotosintesi del principio per cui evoluta e donata, o meglio, ‘restituita’, potremmo meglio intendere e certamente coniugare un mondo evoluto secondo i veri principi della Spirale quindi della Vita; se invece, all’opposto, la corteccia funge solo da limitato scopo quale elemento su cui incidere o tracciare impropri avverbi nell’errata grammatica della storia, allora ne avremmo vilipeso il principio costringendola al ‘soffocato’ balbettante limite, non più suono né parola disquisita, quindi ‘evoluti’ entro i termini della morte…: ‘la morte canta la vita dei morti…]... 




...entro quella stessa ‘spirale’ divenuta ‘pensiero parola e verbo’, e simmetrico istintuale ‘inno per la vita’ nata, ma certamente né udita né compresa. Se non addirittura irrimediabilmente naufragata nella contraria falsa aspirazione divenuta miraggio dell’antica quanto nuova Apocalisse celebrata qual vita (di nuovo) (ri)creata, rinnegare la spiritualità dell’uomo con l’indubbio intento di fondare - e successivamente innestare - il falso mito del progresso (o ancor peggio - come sovente ciarlano e dicono: dell’armonia), esulare dalla superiore sacralità donde ogni ‘armonia’ affine al Mistero seppur apparentemente ‘della e nella’ Vita svelato, privato però della dovuta Memoria (e non solo genetica) donde (e come) nato. Ogni Verbo Pensiero e con loro Intelletto e Spirito ‘evoluti’ nella sacralità naufragata ove indistintamente leggere mito o sacrificio qual tratti comuni d’un’antica grammatica, o antropologicamente parlando, qualsivoglia frammento raccolto e studiato ma quantunque da ogni Elemento nato, fondare nella Spirale - specchio dell’Universo - un messaggio un gene un tratto comune, il quale, anche se specificato o circoscritto ‘dalla e nella’ ‘materia’ ‘con ed in cui’ svelarne il ‘canto’, e mi ripeto, se pur questa... 




...evoluta, (quantunque) impossibilitata dell’atto; al più circoscritta nella ‘limitata limitante’ deduzione (fors’anche rara intuizione) di talune specifiche condizioni, ma quantunque impossibilitata, se privata della immateriale (opposta) spiritualità da cui nata, esulare dal vero ‘significato-significante’ ragion del Sacro dell’oggetto studiato. Se tale condizione non svelata dovesse ‘cantare’ il proprio Inno, il proprio motivo, il proprio sacrificio, il proprio o altrui gene entro la propria (ed altrui) Spirale, superiore (invisibile nota) di quanto studiato, ricreerebbe la condizione limitante (e materiale) dell’umano (il quale evoluto e specificato entro i termini dell’atto divenuto grammatica e sintassi: tempo e materia), escludendo e rimuovendo l’immateriale o Divino ragion del Sacro e compiendo (o celebrando unitamente ed indistintamente) il sacrificio limite (e simbolo) dell’umano. Questa importante nota nonché ‘Enunciato’ trascritto nei termini propri di una ‘equazione’ tradotta e specificata nella ‘materia’ con i ‘pittogrammi’ definirne il tratto comporterebbe sempre e quantunque il simbolo della ‘croce’ successiva allo zero (nulla) da cui nata...




....e nell’Uno progredita; affinché si possa al meglio far comprendere e demotivare tutti coloro che aspirando alla vetta, di qualsiasi natura essa appaia: competitiva cima della dovuta conquista, o olimpio di un dio o tanti dèi, difettando e non riconoscendo i gradi, in cui e per cui, l’immateriale Spirito ed il Sacro manifestano e compongono l’aspirata ambita conquista di superiore ingegno e cima fondamento della Via, prodigandosi e cimentandosi ‘artificiosamente’ nei gradi dell’impresa - e in qualtempo rinnegando gli stessi - giammai ne potranno comprendere la Genesi dell’intera salita - della difficile salita scolpita ed intagliata negli scalini della dura crosta e sacrificata - nel Golgota della materia solo per comprenderne la bellezza… Pur convinti della Vetta precipiterebbero (con essa) nel crepaccio della materia se esulano dalla comprensione dell’atto ‘metafisico’ del Sé risalire ed ascendere la primordiale armonia…)…

…Sia l’uomo primitivo religioso che il ricercatore moderno possono ovviamente considerare anche il sacrificio come una specie di corruzione del dio, ma facendo ciò si dimentica che il sacrificio non è soltanto un dono materiale, bensì soprattutto un atto spirituale e… vocale…    












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