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Prosegue nell'...:
Armonia della... 'materia' (22)
Il pensiero
pitagorico è per noi il grande mistero della civiltà greca. Lo si ritrova
dappertutto. Esso imbeve quasi tutta la poesia, quasi tutta la filosofia - e
soprattutto Platone, che Aristotele considerava come un puro pitagorico -, la
musica, l’architettura, la scultura; tutta la scienza ne deriva, aritmetica,
geometria, astronomia, meccanica, biologia; quella scienza che è
fondamentalmente la stessa della nostra. Il pensiero politico di Platone (nella
sua forma autentica, vale a dire quale è esposto nel Politico), ne discende.
Esso abbracciava quasi tutta la vita profana. Vi era allora, fra le diverse
parti della vita profana e fra l’insieme della vita profana e della vita
soprannaturale, tanta unità quanta separazione vi è oggi.
Le radici
del pensiero pitagorico risalgono molto lontano nel passato. Platone, esponendo
nel Filebo la concezione che è al centro della dottrina, evoca una rivelazione antichissima, che è forse addirittura la
rivelazione primitiva. Erodoto dice che i Pitagorici hanno ripreso dall’Egitto
almeno una grande parte delle loro credenze. Un altro storico antico, Diodoro
Siculo, credo, segnala analogie fra il pensiero pitagorico e il pensiero
druidico, il quale, secondo Diogene Laerzio, era considerato da alcuni come una
delle fonti della filosofia greca; e questo, sia detto per inciso, obbliga a
considerare la religione druidica come di origine iberica, poiché la parte metafisica
e religiosa della civiltà greca viene dai Pelasgi.
Tra
parentesi: Iberi, Pelasgi - vale a dire Egeo-Cretesi - Troiani e affini,
Fenici, Sumeri, Egiziani, sembrano aver formato, prima dei tempi storici,
attorno al Mediterraneo, una civiltà omogenea imbevuta di una spiritualità
soprannaturale e pura. La maggior parte di questi popoli sono nominati nella
Bibbia fra i discendenti di Cam. Gli Elleni sono arrivati in Grecia, secondo la
testimonianza degli scrittori greci, ignoranti di ogni spiritualità; forse se
ne può trarre una conclusione valida per la massa degli Indo-Europei. La Bibbia
mostra che vi fu ben poca spiritualità in Israele fino all’esilio...[…]
…Oggi si
può scorgere qualcosa del fondo del pensiero pitagorico solo esercitando una
specie di divinazione, e non si può esercitare una tale divinazione che dall’interno,
cioè se si è veramente attinta vita spirituale nei testi che si studiano.
I testi
fondamentali sono due o tre frammenti di Filolao, un passo del Gorgia, due del
Filebo e uno dell’Epinomis. Vi sono anche alcune formule trasmesse da
Aristotele o Diogene Laerzio. A tutto questo si deve aggiungere una formula di
Anassimandro, sebbene non sia pitagorico. E bisogna aver presente allo spirito,
per quanto possibile, la totalità della civiltà greca.
Ecco taluni
Frammenti…
«Necessariamente
tutte le realtà sono limitanti o illimitate, oppure limitanti e illimitate.
Solo illimitate è impossibile. Poiché dunque è manifesto che le realtà non
procedono solo da ciò che limita né solo da ciò che è illimitato, evidentemente
l’ordine del mondo e le cose che esso contiene sono state poste in armonia
cominciando da ciò che limita e da ciò che è illimitato...
«Dall’origine
non ci sarebbe nemmeno qualche cosa che sia suscettibile di essere conosciuta
se tutto fosse illimitato...
«Tutto ciò
che è conosciuto contiene il numero. Perché senza numero nulla può essere
pensato né conosciuto...
«L’unità è
il principio di ogni cosa...
«L’essenza
del numero e dell’armonia non ricevono assolutamente il falso, perché esso non
è loro proprio. La menzogna e l’invidia appartengono all’essenza di ciò che è
illimitato, impensabile e senza proporzione. Il falso non invia mai il suo
spirito nel numero, perché gli è essenzialmente nemico e ostile. La verità
appartiene alla produzione del numero, è della stessa radice. L’essenza del
numero è produttrice di conoscenza, guida e maestro per chiunque è nell’imbarazzo
o nell’ignoranza rispetto a qualunque cosa. Perché non ci sarebbe niente di
chiaro nelle cose, né in loro stesse né nelle loro mutue relazioni, se non ci
fossero il numero e la sua essenza. Ma ecco che esso, adattando attraverso
tutta l’anima tutte le cose alla sensazione, le rende conoscibili e mutuamente
accordate e dà loro un corpo e separa con forza ogni rapporto di cose
illimitate e limitanti...
«Ed ecco
che cosa sono la natura e l’armonia. Ciò che è l’essenza eterna delle cose e la
natura in sé stessa non può essere conosciuto che dalla divinità e non dall’uomo,
eccetto questo soltanto. Nessuna delle realtà potrebbe neppure essere
conosciuta da noi se non ci fosse come supporto l’essenza delle cose da cui è
composto l’ordine del mondo, le une limitanti, le altre illimitate. Poiché i
principi che sostengono tutto non sono né simili né della stessa radice,
sarebbe impossibile che, cominciando da essi, ci fosse un ordine del mondo, se
l’armonia non vi si aggiungesse in un modo qualunque. Perché le cose simili, o
della stessa radice, non hanno alcun bisogno di armonia; quelle che non sono
simili, né della stessa radice né dello stesso rango, è necessario che siano
chiuse insieme sotto chiave da un’armonia capace di mantenerle in un ordine del
mondo...
«L’armonia
è l’unificazione a partire da un miscuglio. Essa è il pensiero comune di ciò
che pensa separatamente». (Filolao)
La nozione
di numero reale, fornita dalla mediazione tra un numero qualsiasi e l’unità,
era materia di dimostrazioni altrettanto rigorose, altrettanto evidenti quanto
quelle dell’aritmetica, e allo stesso tempo incomprensibili per l’immaginazione.
Questa nozione obbliga l’intelligenza a cogliere con certezza dei rapporti che
essa è incapace di rappresentarsi. È questa un'introduzione mirabile ai misteri
della fede.
Per questa via
si può concepire un ordine di certezza, a partire da pensieri incerti e
facilmente afferrabili che concernono il mondo sensibile, fino ai pensieri del
tutto certi e del tutto inafferrabili che riguardano Dio. La matematica è due
volte una mediazione tra le une e le altre. Essa ha il grado intermedio di certezza,
il grado intermedio di inconcepibilità. Essa contiene la sintesi della
necessità che governa le cose sensibili e le immagini delle verità divine.
Infine essa ha per centro la nozione stessa di mediazione…
…L’esigenza
di rigore perfetto che abitava i geometri greci è scomparsa con loro, e da cinquant’anni
soltanto i matematici vi tornano. Per essi, oggi ancora, non è che un ideale
analogo a quello dell’arte per l’arte nei poeti parnassiani. Ma è una delle
falle attraverso le quali il vero cristianesimo può di nuovo filtrare nel mondo
moderno.
L’esigenza del rigore non è qualcosa di materiale!
Quando
questa esigenza è assoluta, è troppo evidentemente sproporzionata, nella
matematica, al suo oggetto, vale a dire semplici rapporti di quantità, e alle
sue condizioni, vale a dire un’assiomatica che riconduce tutti i teoremi a
pochi assiomi scelti arbitrariamente.
Nella matematica questa esigenza si distrugge da
sé.
Essa dovrà
apparirvi un giorno come un’esigenza che si esercita a vuoto. Quel giorno, essa
sarà vicina all’esaudimento. Il bisogno di certezza incontrerà il suo vero
oggetto.
La
misericordia di Dio impedisce alla matematica di affondare nella semplice
tecnica. Perché là dove si coltiva la matematica solo sul piano tecnico, non si
riesce neppure sul piano tecnico; ne è stata fatta l’esperienza in Russia
quanto all’opposto in America. Le applicazioni tecniche sono, in rapporto alla
scienza pura, nel numero di quelle cose che si ottengono soltanto per soprappiù
e che non si trovano mai se si cercano direttamente.
Questa
disposizione provvidenziale ha fatto sussistere, nel cuore della nostra civiltà
così bassamente materiale, un
nocciolo di scienza teorica, rigorosa e pura. Questo nocciolo è uno dei fori
per i quali possono penetrare il soffio e la luce di Dio. Un altro foro è la
ricerca della bellezza nell’arte. Un terzo foro è la sventura. Bisogna entrare
per questi fori, non attraverso gli spazi pieni.
La formula:
«L’amicizia è un’eguaglianza fatta di armonia»
…è colma di
meravigliosi significati, riguardo a Dio, riguardo all’unione di Dio e dell’uomo
e riguardo agli uomini, a condizione che si tenga conto del senso pitagorico
della parola «armonia». L’armonia è proporzione. È anche l’unione dei contrari.
Per
applicare questa formula a Dio, bisogna accostarla a una definizione dell’armonia
a primavista stranissima:
«il pensiero comune dei pensanti separati»
Pensatori
separati che pensano insieme: una sola cosa realizza ciò con pieno rigore, ed è
la Trinità.
La formula
di Aristotele:
«Il pensiero è il pensiero del pensiero»,
…non
contiene la Trinità, perché il sostantivo può esser preso ugualmente in senso
attivo e passivo. La formula di Filolao la contiene perché il verbo è all’attivo.
La mediazione di questa formula indica nel modo migliore come render conto all’intelligenza
del dogma della Trinità…
Se si pensa
Dio come Uno soltanto, lo si pensa o come una cosa, e allora non è atto, o come
un soggetto, e allora per essere atto ha bisogno di un oggetto, di modo che la
creazione sarebbe necessità e non amore. Dio non sarebbe esclusivamente amore e
bene.
Noi, esseri
umani, essendo soggetti che sono tali solo per il contatto perpetuo con un
oggetto, non possiamo concepire Dio come perfetto se non concepiamo come
soggetto e oggetto al tempo stesso.
Ma Dio è
essenzialmente soggetto, pensante e non pensato. Il suo nome è «Io sono». È il
suo nome in quanto soggetto è anche il suo nome in quanto oggetto, è anche il
suo nome in quanto contatto del soggetto e dell’oggetto.
Ogni
pensiero umano implica tre termini, un soggetto che pensa e che è una persona,
un oggetto pensato, e il pensiero in se stesso, che è il contatto dei due. La
formula di Aristotele: «Il pensiero è il
pensiero del pensiero», designa questi tre termini, a condizione che si
prenda la parola «pensiero» ogni volta in un senso diverso.
Per
rappresentarci Dio come un pensiero pensante e non come una cosa, noi dobbiamo
rappresentarci questi tre termini nel pensiero divino, ma la dignità divina
esige che questi tre termini siano ciascuno una Persona, sebbene vi sia un Dio
solo. La dignità divina impedisce che la parola «pensiero», quando si tratta di
Dio, sia mai presa al passivo; il verbo «pensare» in relazione a Dio non può esser
preso che all’attivo. Ciò che Dio pensa è ancora un essere che pensa. È per questo che si dice che è il Figlio, o
l’Immagine, o la Saggezza di Dio.
Tale è il
pensiero perfetto, tale che noi uomini possiamo coglierne il carattere
inconcepibile. Ogni altra rappresentazione che possiamo farcene è più facile da
immaginare, ma è infinitamente lontana dalla perfezione. Per questo l’intelligenza
può aderire pienamente e senza alcuna incertezza al dogma della Trinità,
sebbene non possa comprenderlo.
Se si interpreta la definizione dell’amicizia come una eguaglianza
perfetta di armonia per mezzo della definizione dell’armonia come il pensiero
comune dei pensanti separati, proprio la Trinità è l’amicizia per eccellenza. L’eguaglianza
è l’eguaglianza tra uno e diversi, tra uno e due; i contrari la cui armonia
costituisce l'unità sono l’unità e la pluralità, che sono la prima coppia di
contrari. Per questo Filolao parla da
un lato dell’uno come prima origine, dall’altro dell’unità come primo composto.
Questa, egli la chiama Estia, il focolare centrale, il fuoco centrale; e il
fuoco corrisponde sempre allo Spirito Santo. La formula: «L’amicizia è un’eguaglianza
fatta d’armonia», racchiude d’altronde le due relazioni indicate da sant’Agostino
nella Trinità, eguaglianza e connessione. La Trinità è la suprema armonia e la
suprema amicizia.
L’armonia è
l’unità dei contrari. La prima coppia di contrari è uno e due, unità e
pluralità, e costituisce la Trinità. (Anche Platone aveva senza dubbio nel
pensiero la Trinità come armonia prima, quando chiamava i termini della prima
coppia di contrari ‘lo Stesso’ e ‘l’Altro’, nel Timeo.) La seconda coppia di
contrari è l’opposizione tra creatore e creatura. Nel linguaggio pitagorico,
questa opposizione si esprime come correlazione tra ciò che limita e ciò che è
illimitato, vale a dire ciò che riceve la sua limitazione dal di fuori. Il
principio di ogni limitazione è Dio. La creazione è materia messa in ordine da
Dio, e questa azione ordinatrice di Dio consiste nell’imporre dei limiti.
Proprio
questa è anche la concezione del Genesi.
Questi
limiti sono o quantità o qualche cosa di analogo alla quantità. Così, prendendo
la parola nel suo senso più ampio, si può dire che il limite è numero. Di qui
la formula di Platone: «Il numero è mediatore tra l’uno e l’illimitato». L’Uno
supremo è Dio ed è lui a limitare.
Nel Filebo Platone indica le due prime
coppie di contrari nel loro ordine e segna la gerarchia che le separa quando
scrive: «La realtà detta eterna procede dall’uno e dal diverso e porta radicati
in sé il limite e l’illimitato». «Il limite e l’illimitato» è la creazione, la cui radice è in Dio.
L’uno e il molteplice è la Trinità, origine prima. Il numero appare nella
Trinità come il secondo termine dell’opposizione e, se lo si identifica con il
limite, appare nel principio della creazione come il primo termine. È dunque
necessariamente qualcosa come una media
proporzionale. Non bisogna dimenticare che in greco arithmos e logos sono
esattamente sinonimi.
La
concezione esposta da Platone all’inizio del Filebo, concezione di una
profondità e di una fecondità meravigliose, è che ogni studio e ogni tecnica,
per esempio lo studio del linguaggio, dell’alfabeto, della musica, e così via,
devono riprodurre al loro livello l’ordine di quella gerarchia primordiale,
vale a dire unità, numero nel senso più ampio e illimitato. Così l’intelligenza
è un’immagine della fede.
Poiché vi è
in Dio in quanto creatore una seconda coppia di contrari, vi è in Dio anche un’armonia
e un’amicizia che non è definita dal solo dogma della Trinità. Bisogna che in
Dio vi sia anche unità fra il principio creatore e ordinatore di limitazione e
la materia inerte che è indeterminazione. Per questo bisogna che non solo il
principio di limitazione ma anche la materia inerte e l’unione tra i due siano
Persone divine, poiché non può esservi in Dio relazione i cui termini non siano
Persone così come il rapporto che li lega. Ma la materia inerte non pensa; essa
non può essere una persona.
Le
difficoltà insolubili sono risolte con il passaggio al limite. Vi è un’intersezione
tra una persona e la materia inerte; questa intersezione è un essere umano nel
momento dell’agonia, quando le circostanze che precedono l’agonia sono state
brutali al punto di farne una cosa. È uno schiavo agonizzante, un po’ di carne
miserabile inchiodata su una croce.
Se questo
schiavo è Dio, se egli è la seconda Persona della Trinità, se è unito alla
Prima per mezzo del legame divino che è la terza Persona, si ha la perfezione
dell’armonia quale la concepivano i Pitagorici, l’armonia in cui si trova tra i
contrari il massimo di distanza e il massimo di unità. «Il pensiero comune dei
pensanti separati». Non può esservi pensiero più uno del pensiero del Dio
unico. Non possono esistere esseri pensanti più separati che il Padre e il
Figlio nel momento in cui il Figlio getta il grido eterno: «Mio Dio, perché mi
hai abbandonato?». Quel momento è la perfezione incomprensibile dell’amore. È l’amore
che trascende ogni conoscenza…
…Si è sorpresi a leggere che il numero dà alle
cose un corpo…
Ci si
aspetterebbe piuttosto una forma.
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