Precedenti capitoli:
L'imbarbarimento del sapere (a detta di un barbone) (24/3)
...Anche in formato: PDF...
Prosegue in:
Quando l'Anima era pura (26/7)
...Mi astengo pur citando taluni suoi
passaggi, che l’Impero donde scrive, artefice della remota rimozione dottamente
trascritta violando come nel tempo che pensiamo passato Biblioteca e cultura in
nome di ben altra materia ricercata; per cui elevandomi e in qual tempo
sottraendomi dall’atto o numero nella materia divina e dalla materia dedotto mi
astraggo e lievito naufragando nell’apparente nulla di ben altro primordiale
istinto e medesimo ugual atto di conoscere e oggettivare non solo il mistero,
ma anche l’Uno di cui calco e non solo materia tratta e nel tempo numerato…
…E conseguentemente rimosso per ogni
città o biblioteca dalla stessa (autrice) dedotta e narrata…
…Così mi par logico e doveroso in
merito alla comune Memoria nello scontro o evento tellurico in cui medesima
Anima dibattuta, riportarla e non certo regredirla ai primordiali argomenti in
cui disquisita, ed in cui una Scuola enunciava ma non certo la ‘finalizzava’
attraverso la ‘materia’ dall’immateriale donde tratta…
Per cui come detto, non approfondisco
il capitolo circa l’Anima dalla seconda autrice disquisita e citata e non a
sostegno, semmai astenendomi approfondendo conoscenza e non certo dotta
ignoranza, seppur talvolta o troppo spesso da medesimi ignoranti pur dotti, ben
ignorata o peggio sottratta a favore di un Sacro la cui storicità antropologica
rimossa a beneficio di altro; altro che nella medesima (anche odierna) teurgia
tende a riproporre quel senso così caro al volgo e di cui necessita ed abbisogna
seppellito nell’ignoranza, e di cui il Rossetti ben ne intende ed esplicita il
senso, qual desiderio appagato di cui taluni si avvalgano non tanto per celare
sacro e mistero, semmai per meglio beneficiare i favori dei sudditi del dio
pregato, riponendolo indistintamente all’altare della materia trattata se pur
contrastata.
Ma sappiamo bene che la materia per
sua natura essendo un pensiero o una volontà di un dio e più dei, non certo può
intendersi o essere esplicitata nella stessa, talché e mi ripeto, solo in
talune note fra l’altro ben rimosse dal sapere collettivo la possiamo al meglio
armonizzare intendere decifrare e
coltivare, soprattutto non escludendo nulla di quanto lungo il Sentiero nei
secoli percorso per la dovuta Cima approfondito e negli scalini della dura
crosta, composta da morti e sacrifici, scavati nel ghiaccio per la Vetta.
Compresi tutti i Demoni della
Terra!
…Nel nono capitolo del De mysteriis,
procedendo dall’ottavo cui l’autrice sopra-citata espleta l’Anima come dal
prezioso tomo coniugata, e volgendomi invece al…
…presente capitolo in cui si sposta
l’attenzione sui rapporti tra l’estasi, la musica e l’entusiasmo. È il capitolo
nel quale Giamblico offre uno spaccato sull’estasi dei Coribanti, degli
invasati da Sabazio e sui seguaci della Grande Madre: la trance avviene grazie
all’ausilio di flauti, cimbali e timpani, la musica essendo espressione
dell’armonia divina. Tuttavia, si affretta a precisare Giamblico, nessun
fenomeno acustico che possa alterare la natura del corpo o quella dell’anima
presenta alcun rapporto con l’entusiasmo, il cui elemento divino rimane
trascendente. Però si può affermare che le musiche consacrate a ciascun dio
godano di certa connaturalità con lui, e che da suddetta affinità possa
scaturire la presenza degli dèi, la quale è in grado di provocare un
invasamento perfetto. In altre parole corpo ed anima non comunicano tra loro
per simpatia, ma dal momento che l’ispirazione degli dèi non è separata
dall’armonia divina, l’influsso del canto può, effettivamente, placare l’uno e
l’altra. Ancora una volta, però, sarebbe sbagliato ritenere che tali fenomeni
sorgano in noi per effetto di una malattia: essi sono di origine divina e
discendono dall’alto. Inoltre l’anima non consiste naturalmente di armonia e di
ritmo, ciò che impedisce all’entusiasmo di appartenere principalmente ad essa.
L’affermazione corretta dice che l’anima, prima di concedersi al corpo, aveva
ascoltato l’armonia divina. Poi divenuto Inno. Pertanto, anche dopo la sua
venuta nel corpo, tutte le volte che essa gode di un certo tipo di musica sacra
che abbia conservato l’armonia divina, l’anima si muove verso di lei, le
diventa affine e ne partecipa per quanto le è possibile.
Proseguo verso il Quindicesimo
capitolo dello stesso Libro… (ringraziando fin d’ora per la dovuta traduzione
nonché interpretazione [in merito a questi due capitoli] dal greco della
brillante tesi di dottorato su Giamblico il cui mistero mi par compiuto…)
Con il presente capitolo Giamblico
inaugura la trattazione sulla divinazione che si compie attraverso l’arte
umana. Porfirio ricorda le tecniche mantiche più diffuse nel mondo antico, vale
a dire la divinazione mediante le viscere, gli uccelli e gli astri. Giamblico
spiega che in virtù dell’affinità e esiste tra le cose e i segni mostrati,
l’arte congettura e inventa i propri responsi. Gli dèi fanno i segni mediante
la natura, che in tal modo produce i fenomeni, oppure mediante i demoni, i
quali presiedono agli elementi dell’universo, agli animali e a tutto ciò che si
trova nel mondo. I demoni manifestano simbolicamente il pensiero degli dèi e la
rivelazione del futuro, ma esercitano anche la facoltà di muovere
l’intelligenza umana ad una acutezza maggiore…
In nome mio non aggiungo altro!
E riprendo dal libro a voi ‘riportato’…
]
Se è vero che il cristianesimo aveva conquistato
in modo trionfale le anime, la cultura classica teneva ancora in pugno le
menti.
Rifulgeva in ogni suo aspetto, dalla genialità dei concetti e la finezza degli argomenti
alla bellezza della lingua e l’eleganza della grammatica, laddove i primi
scritti cristiani erano notoriamente maldestri, con notevole imbarazzo degli
ecclesiastici. Per dirla con uno scrittore del VI secolo:
Dobbiamo dotarci di una formazione cristiana e di
una formazione pagana: l’una per recare profitto all’anima, l’altra per apprendere
le magiche arti della parola.
Ma un conto
era riconoscere il valore della formazione classica, un altro proteggere le scuole
che la fornivano dalle turbolenze di un mondo in mutamento. Qualche scuola era
riuscita a sopravvivere all’invasione ostrogota dell’Italia del V secolo, e
Giustiniano intendeva consolidare la riconquista di Roma ripristinando gli
studi superiori nella città. Il dotto Cassiodoro accarezzò il sogno di fondare nell’Urbe
un’università di teologia, ma i suoi piani non approdarono a nulla.
Con l’invasione longobarda del 568, in Italia la tradizionale attività delle scuole, che per una piccola
minoranza di maschi giovani e abbienti era rimasta pur sempre a disposizione,
cessò.
I pochi privilegiati
che potevano permetterselo cominciarono a far istruire i propri figli a casa,
ma il campo della formazione scolastica divenne sempre più appannaggio dei
monasteri, dove l’accento finiva inevitabilmente per essere posto sulla
letteratura e la dottrina cristiana. La
produzione libraria nel mondo mediterraneo del IV e del V secolo seguì più o
meno le stesse sorti. Nei grandi centri, come Roma, una relativa produzione
di volumi destinati al commercio continuò, anche se su scala molto più ridotta rispetto
al passato.
La maggior parte
della produzione libraria, però, consisteva in copie realizzate privatamente da
persone che, tramite amici o reti di studiosi, riuscivano ad accedere ai testi
desiderati.
Intorno al 500 la fabbricazione di libri a tema
profano era ormai ridotta al lumicino; cresceva invece in modo impressionante la
produzione degli scriptoria monastici,
legata alla creazione di opere a tema religioso improntate a generi
assolutamente nuovi, come per esempio l’agiografia, la storia delle vite dei
santi.
Vista
l’impossibilità di fondare la sua università a Roma, Cassiodoro si ritirò nelle
tenute di famiglia a Squillace, sulla costa ionica della Calabria, e vi fondò
un monastero, il Vivarium, ispirato alla scuola di Nisibi, in Siria, di cui
aveva sentito parlare e che forse aveva visitato quando viveva a
Costantinopoli. Oltre che un devoto cristiano, Cassiodoro era anche un
appassionato sostenitore del curriculum
studiorum classico, in seguito organizzato nelle discipline del Trivio (retorica,
logica e grammatica) e del Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e
musica). Riempì dunque la biblioteca del Vivarium di testi su questi argomenti,
avendo cura di conformare la produzione di manoscritti del suo scriptorium a parametri
e metodi di copiatura adeguati. Cassiodoro fu uno dei pochi letterati degni di
nota del periodo, e in tale veste svolse un ruolo cruciale per la sopravvivenza
della cultura classica in Italia: sottraendo
numerosi libri alle rovine fumanti delle biblioteche romane, mettendoli in
salvo e facendoli ricopiare, assicurò alle generazioni successive le opere
destinate a costituire il fondamento del sistema scolastico medievale. Poiché
aveva vissuto vent’anni a Costantinopoli, egli fu inoltre uno degli ultimi
uomini di studio in grado di superare il divario che andava facendosi sempre
più marcato tra Oriente e Occidente e di riportare in Italia la cultura e la
lingua greca, grazie agli innumerevoli manoscritti in greco custoditi in un apposito
armadio nella biblioteca del Vivarium.
I personaggi della Scuola di Atene
…di
Raffaello leggono, o reggono, libri, mentre in realtà alla loro epoca si
scriveva su rotoli di papiro. Il libro, o più precisamente il codice, entrò in
uso soltanto a ridosso del V secolo. Le sue pagine non erano realizzate in
fibra di canna di papiro, bensì in pergamena, pelle animale opportunamente
trattata. Quanto alla produzione della carta, in Europa occidentale sarebbe approdata
soltanto nel XIII secolo, quando nel mondo islamico era già diffusa da qualche
secolo. Il papiro resiste al massimo duecento anni, dopodiché il testo
dev’essere ricopiato su un nuovo rotolo. La pergamena dura più a lungo, ma solo
se viene conservata nelle giuste condizioni, al riparo da umidità, roditori,
vermi, tarme, fuoco e una miriade di altri potenziali nemici. Nato in seno al
mondo cristiano, il codice fu in auge tra il IV e l’VIII secolo. Per ridurre il
processo di trasmissione a una singola, ipotetica linea, possiamo immaginare
che originariamente Tolomeo, nell’Alessandria del II secolo, abbia scritto l’Almagesto
su un rotolo di papiro; questo sarebbe stato ricopiato, sempre su papiro,
almeno due volte, in modo da arrivare al VI secolo ed essere quindi trascritto
su pergamena e rilegato in un libro; a sua volta quest’ultimo sarebbe stato
ricopiato ogni poche centinaia di anni, così da sopravvivere (bestie, danni e
disastri permettendo) fino al 1500 e diventare accessibile agli studiosi
dell’epoca.
È quindi verosimile
supporre che tra il 150 e il 1500 l’Almagesto sia stato ricopiato almeno cinque
volte. Ci si può allora chiedere: chi sono coloro che lo hanno copiato, e dove
lo hanno trovato?
Il destino
di ogni testo era deciso da ciò che accadeva oltre i muri della biblioteca o
dell’abitazione privata in cui era custodito. Nei turbolenti anni della tarda
antichità, le placche tettoniche della vita politica, sociale e religiosa
conobbero slittamenti e riassestamenti di enormi proporzioni. Il mondo della
cultura abbandonò gradualmente la dimensione pubblica e secolare per ritirarsi
nei silenziosi chiostri del monachesimo. Lo stesso fenomeno si manifestò anche
in altri ambiti. Prese a mutare l’assetto delle città, dove la Chiesa si
incaricò di riempire il vuoto lasciato dalla res pubblica, lo stato romano. Da quest’ultimo
il potere passò nelle mani di soggetti privati e capi religiosi. Gli antichi
fori videro sorgere enormi chiese, i templi furono distrutti o convertiti, gli
spazi pubblici della città furono progressivamente cristianizzati e i vescovi
occuparono il centro della scena.
Come le
scuole, anche le biblioteche pubbliche rimasero vittime di questo processo:
senza qualcuno che pagasse per il loro mantenimento, caddero in disuso e
andarono in rovina. Coloro che nutrivano interesse per discipline come la
matematica e l’astronomia si videro costretti a coltivarle in privato, e così
le labili reti d’interscambio tra gli studiosi si contrassero ulteriormente…
(V. Moller, la mappa dei libri perduti)
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