Precedenti capitoli...:
Prosegue con...:
Lettere (10) (& Carteggio completo...)
& Delle brevi riflessioni... (12) & (13)
Caro signor
Freud,
La proposta
della Società delle Nazioni e del suo istituto internazionale di cooperazione
intellettuale di Parigi d’invitare una persona di mio gradimento a un sincero
scambio d’opinioni su un problema qualsiasi a mia scelta, mi offre la gradita
occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione
del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà.
Il problema
è il seguente: c’è un modo per liberare gli uomini dalla minaccia della guerra?
È risaputo
che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è
divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta; tuttavia,
nonostante tutta la buona volontà, nessuna soluzione proposta ha mai portato a
qualcosa.
Quanto a
me, il normale oggetto dei miei pensieri non m’aiuta a discernere gli oscuri
recessi della volontà e del sentimento umano. Pertanto, riguardo al problema
che Le propongo, dovrò limitarmi a cercare di esporlo nei giusti termini, consentendole
così, su un terreno sbarazzato dalle soluzioni più ovvie, di avvalersi della
Sua vasta conoscenza della vita istintiva umana per far luce sul problema.
Ogni Stato
dovrebbe assumersi l’obbligo di rispettare i decreti di questa autorità,
d’invocarne la decisione in ogni disputa, di accettarne senza riserve il
giudizio e di attuare tutt’i provvedimenti che essa ritenesse necessari per far
applicare le proprie ingiunzioni. Ma già all’inizio s’incontra la prima
difficoltà: un tribunale è un’istituzione fatta di uomini che, quanto meno è in
grado di far rispettare le proprie decisioni, tanto più soccombe alle pressioni
extragiudiziali.
Giungo così
al mio primo assioma: la ricerca della sicurezza internazionale implica che
ogni Stato rinunci incondizionatamente a una parte della sua libertà d’azione,
vale a dire alla sua sovranità, ed è assolutamente chiaro che non v’è altra
strada per arrivare a tale sicurezza. L’insuccesso, nonostante la loro
manifesta sincerità, dei tentativi volti nell’ultimo decennio a realizzare
questa meta ci fa concludere senz’ombra di dubbio che qui operano forti fattori
psicologici che paralizzano gli sforzi.
Alcuni di
questi fattori sono evidenti.
Tuttavia,
l’aver riconosciuto questo dato inoppugnabile ci ha soltanto fatto fare il
primo passo per capire come stiano oggi le cose.
Ci troviamo subito di fronte a un’altra domanda:
com’è
possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle proprie cupidigie
la volontà del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere?
(Parlando della maggioranza non escludo i soldati, di ogni grado, che hanno
scelto la guerra come loro professione, convinti di giovare alla difesa dei più
alti interessi della loro razza e che l’attacco è spesso il miglior metodo di
difesa).
Una risposta ovvia a questa domanda sarebbe che la minoranza al potere ha in mano la scuola e la stampa, e di solito anche la Chiesa.
Ciò le consente di organizzare e influenzare i
sentimenti delle masse, rendendoli strumenti della propria politica.
Eppure,
nemmeno questa risposta dà una soluzione completa, e fa sorgere
un’ulteriore domanda:
com’è possibile che la massa si lasci infiammare
con questi mezzi fino al furore e al sacrificio delle proprie vite?
Una sola risposta è plausibile:
perché l’uomo ha dentro di sé il desiderio di
odiare e distruggere.
Qui, forse,
è il nocciolo del complesso di fattori che cerchiamo di districare, un enigma
che può essere risolto solo da chi è esperto nella conoscenza degl’istinti
umani.
Arriviamo così all’ultima
domanda.
È possibile dirigere l’evoluzione psichica degli
uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della
distruzione?
Concludendo:
ho parlato
sinora soltanto di guerre tra Stati, ossia di conflitti internazionali. Ma sono
perfettamente consapevole del fatto che l’istinto aggressivo opera anche in
altre forme e in altre circostanze. (Penso alle guerre civili, per esempio,
dovute un tempo al fanatismo religioso, oggi a fattori sociali; o, ancora, alla
persecuzione di minoranze razziali.)
Cordiali saluti,
A. Einstein
Nessun commento:
Posta un commento