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(i fiumi che risalgono...) la corrente (9)
Fuori
da questo mondo fatato, nel corso del tempo, sono apparse le linee calme e
sobrie del paesaggio settentrionale. Con un lavoro indicibile l’occhio dell’uomo
si è fatto strada gradualmente verso il nord, su montagne e foreste e tundra,
in avanti attraverso le nebbie lungo le sponde vuote del mare polare, il vasto
silenzio, dove tanta lotta e sofferenza, tanti amari fallimenti, tante fiere
vittorie, sono svanite senza lasciare traccia, attutite sotto il manto di neve.
Quando
i nostri pensieri ripercorrono i secoli in un sogno ad occhi aperti, davanti a
noi passa un’infinita processione, come una singola possente epopea del potere
di devozione della mente umana a un’idea, giusta o sbagliata: una processione
di figure in lotta, coperte di brina in abiti pesanti, alcune erette e potenti,
altre deboli e piegate in modo da poter a malapena trascinarsi davanti alle
slitte , molti di loro emaciati e morenti di fame, freddo e scorbuto; ma tutti
guardano davanti a sé verso l’ignoto, oltre il tramonto, dove sta la meta della
loro lotta.
Cosa cercavano nel ghiaccio e nel freddo?
Il
norvegese che scrisse lo ‘Specchio del re’ diede la risposta seicento anni fa: ‘Se
desideri sapere cosa cercano gli uomini in questa terra, o perché gli uomini vi
si recano in così grande pericolo per la loro vita, allora è la triplice natura
dell’uomo che lo attira là. Una parte di lui per l’emulazione e il desiderio di
fama, perché è nella natura dell’uomo andare dove c’è la probabilità di un
grande pericolo, e per questo rendersi famoso. Un’altra parte è il desiderio di
conoscenza, poiché è nella natura dell’uomo desiderare di conoscere e vedere
quelle parti di cui ha sentito parlare e scoprire se sono come gli è stato
detto o no. La terza parte è il desiderio di guadagno, poiché gli uomini
cercano ricchezze in ogni luogo dove imparano che si deve avere profitto, anche
se vi è un grande pericolo’.
Parliamo
della prima scoperta del Nord, ma come facciamo a sapere quando il primo uomo
arrivò nelle regioni settentrionali della terra?
Non conosciamo che pochi frangenti degli
ultimi passi nelle migrazioni dell’umanità. Che periodo di tempo deve essere
passato tra il periodo dell’uomo di Neanderthal in Europa e i primi Pelasgi, o
Iberi, o Celti, che vi troviamo nel neolitico, agli albori della storia. Come
diventa infinitesimale in confronto a questo tutto il periodo recente che
chiamiamo storia.
Ciò che accadde in quelle lunghe ere ci è ancora nascosto. Sappiamo solo che l’era glaciale coprì l’Europa settentrionale e in una certa misura anche l’Asia e il Nord America, con vasti ghiacciai che hanno cancellato tutte le tracce dei primi insediamenti umani di quelle regioni. Tra queste ere glaciali si verificarono periodi più caldi, quando gli uomini si diressero ancora una volta verso nord, per essere nuovamente cacciati dalla successiva avanzata della calotta glaciale. Ci sono molti segni che la migrazione umana verso nord dopo l’ultima glaciazione, in ogni caso in ampi distretti d’Europa.
Il
mondo dotto della prima antichità non aveva altro che una vaga premonizione del
Nord. Lungo le direttrici di traffico si instaurarono sin dai tempi antichi
rapporti commerciali con le terre del nord. All’inizio questi correvano forse
lungo i fiumi della Russia e della Germania orientale fino al Baltico, in
seguito anche lungo i fiumi dell’Europa centrale. Ma le informazioni che
giungevano ai popoli mediterranei attraverso queste rotte dovettero passare
attraverso molti intermediari con varie lingue, e per questo rimasero a lungo
vaghe e incerte.
Ciò che gli antichi non sapevano, lo fornivano con concezioni poetiche e mitiche, e col tempo si formò ai confini esterni del mondo, specialmente al nord, un intero ciclo di leggende che avrebbe gettato le basi delle idee delle regioni polari per migliaia di anni, fino al Medioevo, e molto tempo dopo conoscenza affidabile era stata acquisita, anche dai viaggi degli stessi norvegesi.
Molto
prima che la gente sapesse se c’erano terre e mari lontani al nord, coloro che
studiavano le stelle avevano osservato che c’erano alcuni corpi nel cielo del
nord che non tramontavano mai, e che c’era un punto nella volta celeste che mai
mutava le proprie coordinate. Col tempo scoprirono anche che, spostandosi verso
nord, il cerchio che circondava le stelle sempre visibili si allargava, e
videro che queste nei loro movimenti quotidiani descrivevano orbite attorno al
punto fisso o polo celeste.
Gli
antichi caldei lo avevano già scoperto.
Da questa osservazione il passo fu breve alla deduzione che la terra non poteva essere piatta, come voleva l’idea popolare, ma doveva essere in un modo o nell’altro sferica, e che se si andava abbastanza a nord, queste stelle sarebbe proprio sopra la testa. Per i greci un cerchio disegnato attraverso la costellazione dell’Orsa Maggiore, che chiamavano ‘Arktos’, costituiva il limite delle stelle che erano sempre visibili. Questo limite fu quindi chiamato il Circolo dell’Orso, o il ‘Circolo Polare Artico’.
Secondo
la comune idea greca furono i paesi del Mediterraneo e dell’Oriente a formare
il disco della terra, o ‘œcumene’ (il mondo
abitabile). Intorno a questo disco, secondo i canti omerici (l’Iliade fu
scritta intorno al 900 a.C.), scorreva il
fiume onnicomprensivo ‘Oceanus’, la fine
della terra e il limite del cielo.
Questo
fiume profondo, instancabile, che scorre quietamente, il cui corso d’acqua
tornava su se stesso, era l’origine e la fine di tutte le cose; esso non fu solo
il padre degli Oceanidi e dei fiumi,
ma anche la sorgente da cui vennero gli Dèi e gli uomini.
Nulla di preciso si dice del confine più lontano di questo fiume, forse c’erano terre sconosciute appartenenti a un altro mondo su cui riposava il cielo; in ogni caso incontriamo più tardi, come in Esiodo, idee di terre al di là dell’Oceano, le Esperidi, l’Eritea e le Isole dei Beati, che erano probabilmente derivate da racconti fenici.
Originariamente
concepito come un fiume dalla corrente profonda, l’Oceano divenne in seguito l’oceano
vuoto onnicomprensivo, che era diverso dal noto mare (il Mediterraneo) con le
sue note coste, anche se ad esso collegate. Erodoto
(484-424 a.C.)* è forse il primo
ad usare il nome in questo senso, rifiuta decisamente l’idea di Oceano come fiume e nega che l’‘œcumene’ debba essere disegnato
intorno, come con un compasso, come pensavano i geografi ionici (Ecateo, per esempio).
[* In un noto passo di Erodoto si fa menzione del delfino che lascia il mare per rifugiarsi sulla Terra, in questo specifico caso tralasciamo la simbologia più o meno sacra del delfino con cui il nostro autore probabilmente si identifica, ovvero il delfino per eccellenza straniero nella propria Terra; là dove afferma che un tipo di organizzazione sociale ed economica, ovvero la tirannide, può rovesciare (come di seguito leggeremo) l’ordine stesso - più o meno divino - delle cose, ovvero siano esse facenti parte della Natura materiale e/o divina quanto spirituale dell’uomo; compromettendo, addirittura, l’ordine stesso da cui quest’ultimo nato ed evoluto, da un Oceano ad un Fiume ove l’uomo edifica, ad immagine della Natura, la propria ed altrui sopravvivenza nel lento scorrere della Vita. Ed allora (v.92), non solo ‘i pesci voleranno nell’aria’ ma, per legge di contrappasso, ‘gli uomini vivranno nei flutti del mare’, ‘il cielo sarà sotto la Terra, la terra sopra il cielo’. Alla nostra mente la visione suggerisce immagini apocalittiche.]
Riteneva dimostrato che il disco terrestre sul lato occidentale, e probabilmente anche sul lato sud, fosse circondato dall’oceano, ma disse che nessuno poteva sapere se questo fosse il caso anche al nord e al nord-est. In opposizione a Ecateo e ai geografi ionici (la scuola di Mileto) affermò che il Mar Caspio non era una baia dell’Oceano settentrionale, ma un mare interno indipendente. Così l’‘œcumene’ si estese nell’ignoto a nord-est. Menziona diversi popoli come abitanti più a nord, ma a nord di esse c’erano regioni desertiche e montagne inaccessibili; fino a che punto arrivarono non lo dice.
(Nansen)
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