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Eckhart e Sankara
ovvero: l'Infinito [11]
l'Infinito Dio del 'nulla' (13) &
icone per chi 'nulla' avesse compreso
Zero e infinito furono in senso stretto al centro del Rinascimento. Allorché l’Europa si riscuoteva dal sonno dei Secoli Bui, questi concetti – il nulla e il tutto – avrebbero demolito le fondamenta aristoteliche della Chiesa e aperto la strada alla rivoluzione scientifica.
Sulle prime
la Curia romana non avvertì l’insidia, e alti dignitari ecclesiastici si
cimentarono con le pericolose idee, benché queste minassero il fulcro medesimo
di quella filosofia tanto grata alla Chiesa; lo zero fece capolino al centro di
ogni dipinto rinascimentale, e un cardinale dichiarò che l’Universo era
infinito, senza limiti.
Ma d’infatuazione
si trattava, e non era destinata a durare. Come la Chiesa si sentì minacciata,
si trincerò nuovamente dietro la vecchia dottrina filosofica che così bene
l’aveva affiancata per tanto tempo. Ma era troppo tardi: lo zero aveva ormai
preso piede in Occidente e, nonostante le pontificie obiezioni, la sua forza
era tale da non consentire più un nuovo esilio – Aristotele dovette piegarsi di
fronte all’infinito e al vuoto, e con lui si sfilacciò la prova dell’esistenza
di Dio. Alla Chiesa restava aperta un’unica via: accettare lo zero e
l’infinito; i credenti, a ogni buon conto, avrebbero sempre potuto trovare
Iddio anche celato dentro l’uno e l’altro.
Nei primi tempi del Rinascimento non risultava evidente che lo zero avrebbe posto una minaccia nei confronti della Chiesa; esso appariva uno strumento pittorico, un infinito nulla che annunciava lo straordinario rifiorire delle arti figurative. Prima del XV secolo i dipinti e i disegni erano sostanzialmente immobili e privi di rilievo; le immagini vi erano rappresentate fuori proporzione e costrette in due dimensioni, con piatti cavalieri che spuntavano da deformati castelli in miniatura. Nemmeno i migliori artisti sapevano ritrarre con verosimiglianza – non conoscevano il potere dello zero.
Fu un
architetto italiano, Filippo Brunelleschi,
che per primo mostrò le possibilità di uno zero infinito, usando un punto di
fuga per creare un dipinto realistico. Considerato dal punto di vista
dimensionale, un punto è uno zero geometrico per definizione. Nella vita di
tutti i giorni abbiamo a che fare con oggetti tridimensionali (per la verità, Einstein ha rivelato la tetra-dimensionalità
del mondo in cui viviamo, come si vedrà in un successivo capitolo); l’orologio
che teniamo sul cassettone, la tazza di caffè che prendiamo ogni mattina, lo
stesso libro che stiamo leggendo ora, sono tutti oggetti a tre dimensioni.
Nel 1425 Brunelleschi collocò un tale oggetto al centro del disegno di un famoso edificio fiorentino, il Battistero. Questa entità di dimensioni nulle, il punto di fuga, è un’impercettibile macchiolina sulla tela che rappresenta un punto infinitamente lontano lungo la direzione di osservazione. Più gli oggetti raffigurati sono distanti da chi guarda, più sono prossimi al punto all’infinito e risultano, quindi, progressivamente ridotti in proporzione, fino a che ogni figura sufficientemente remota – persone, alberi, edifici – finisce in pratica per collassare in un punto a zero dimensioni e scomparire con esso.
Lo zero al
centro del dipinto contiene un’infinità di spazio.
Questo
oggetto in apparenza contraddittorio conferì, come per magia, al disegno del
Brunelleschi una così perfetta aderenza al tridimensionale edificio sacro da renderlo
indistinguibile dall’originale. Tant’è vero che, quando l’autore mise a
confronto la propria opera con l’autentica costruzione architettonica
(traguardando quest’ultima da dietro la tavola del dipinto attraverso un foro,
e interponendo o meno uno specchio), l’immagine riflessa si sovrappose
esattamente ai contorni geometrici dell’edificio. La tecnica della fuga
prospettica aveva trasformato un disegno bidimensionale nella perfetta simulazione
di un corpo a tre dimensioni.
Non è per caso che zero e infinito sono tra loro legati nel punto di fuga; come la moltiplicazione per zero determina il collasso della retta di rappresentazione dei numeri sulla posizione 0, così esso fa sì che la gran parte dell’universo si addensi in un minuscolo puntolino.
È ciò che accade in una ‘singolarità’,
concetto che diverrà assai importante in un successivo momento della storia
della scienza, mentre a questo precoce stadio di sviluppo i matematici non sapevano,
delle proprietà dello zero, granché di più degli artisti.
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