CHI DELLA FOLLA, INVECE,

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LA LIBRERIA DELLA LIBERA IDEA

sabato 20 gennaio 2024

PREDICA DELLA DOMENICA, ovvero, I DUE "BOSCHI"

 








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circa un rigido clima






Protetto da una scintillante sfera di cristallo e circondato dal mare, il disco terrestre si stende a coprire l’emisfero oscuro del mondo sotterraneo. 

 

Al di sopra, un cielo crepuscolare carico di nuvole; pochi, pallidi raggi di sole rischiarano la terraferma. La pace dell’ora mattutina regna sulla terra in penombra: essa è tutta impregnata d’una umidità creatrice, che scende dal cielo in una pioggia appena percettibile, e fa ritorno alle nuvole in forma di nebbia.




Solo un olandese il cui occhio avesse studiato attentamente il gioco fugace e sottile dei grigi nel cielo nuvoloso del suo paese sarebbe stato capace di concepire un’immagine del cielo e della terra così vivida. Troviamo qui il primo capolavoro di quella che Cari Gustav Carus chiamava l’arte della ‘natura viva’. Tuttavia, l’importanza dell’opera non è solamente nella matrice pittorica dell’immagine, ad un tempo intensa ed evanescente, ma anche nella sua comprensione spirituale del racconto della Genesi.


Bosch ha scelto il ‘momento fecondo’ della storia dei sei giorni della Creazione: l’istante in cui la prima pioggia si diffonde sulla terra, sino ad allora arida, facendovi nascere i primi alberi e cespugli. Questo paesaggio scintillante di pioggia sembra scosso da una repentina esplosione di fertilità. Sulle rive, là dove l’acqua penetra la terra, si ergono imponenti ma chie di vegetazione. Nei pressi, una roccia cava sorge a e acque: vi cresce un albero.




Abbiamo appurato quanto necessaria la tutela non solo del Bosco, inserito in un più vasto Paesaggio, ma quanto altrettanto vitale sia che tal Paesaggio ammirato e disquisito necessiti dell’evoluto ‘fattore umano’ (…imparando anche da ciò che taluni ritengono materia morta, o bestia..) nell’universale principio adottato (e giammai alla fine), nel saperne valutare e sondare la profondità dell’Ideale unito all’antica volontà…

 

Come abbiamo letto e ancora leggeremo attraverso la Visione del mondo creato, e non solo da questo Ambasciatore dell’Arte, nello specchio o simmetrico parallelismo da cui dedotta la corretta Via - il corretto Sentiero – da cui ancora apprendiamo, non solo il presunto beneficio della momentanea conquista, non distinguendo l’alpinista dall’acrobata di Borsa; bensì la vista che questa conferisce all’Anima estasiata da più nobile Opera dalla Natura ispirata in medesimo ugual atto creativo, giammai al di sopra, ma inerente ed in accordo a quanto osservato, non più conquistatori dell’inutile, ma l’utilità del benessere che tal vista ispira nel tutt’Uno con la Natura e quanto ammirato. Dio ovunque e in ogni luogo così ammirato per ogni sua Opera può dirsi sommamente pregato e in tal Pensiero rinato…




Le montagne stesse prendono un aspetto vegetale, e ne sono testimonianza le ne protuberanze della collina, turgide come gemme. Una sorda sessualità sconvolge il grembo terrestre nel profondo e spinge verso la luce nascente del giorno una vegetazione già quasi animale. L’immagine stessa del globo suggerisce l’idea di un atto originario di generazione. Giacché il globo terrestre di Bosch è, senza possibilità di equivoci, l’immagine di un uovo ove la terra, seme fecondato, fluttua nell’elemento liquido del mare e del cielo piovoso.

 

Immagini mitiche del mondo originale, queste pale della Creazione attestano una profonda conoscenza alchemico-scientifica e costituiscono l’approccio ad un campo sino ad allora inaccessibile per un pittore. L’unicità dell’opera ci dà la misura della perdita che la storia dell’arte ha subito con la distruzione del dipinto della cattedrale di San Giovanni che rappresentava, secondo una testimonianza di J. B. Gramayes risalente al 1610 (‘tabulae singulari arte Hieronymi boss delineatae referentes illud opus Creationis Hexameron mundi’), tutto il ciclo della Genesi.




Con la scomparsa di quest’opera si è perso un capolavoro della cosmogonia. Queste due pale - tutto ciò che ci resta - ci pongono, loro soltanto, davanti a prodigiosi problemi di storia delle idee; ma con il dipinto scomparso s’è spezzato uno degli anelli di quella catena che ci avrebbe condotto alla Morgenròte di Jakob Bohme, al mito dell’Uomo di William Blake, ai Tageszeiten di Philipp Otto Runge e al magico universo di Novalis. La verifica del passo biblico a cui l’immagine si riferisce ci porta a una scoperta interessante: Bosch, nella sua rappresentazione della Genesi, si ricollega al principio, caro al Rinascimento, del ritornar al segno.

 

Infatti l’immagine centrale del dipinto - il paesaggio immerso nella nebbia - non è riconducibile alla Vulgata, dove non si fa cenno all’atmosfera nebulosa.

 

‘Queste sono le origini del cielo e della terra, quando furono creati, nel giorno che il Signore Dio fece il cielo e la terra, ed ogni virgulto del campo prima che sulla terra nascesse, ed ogni erba della campagna prima che germogliasse. Perché il Signore Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, né v ’era uomo che la lavorasse; ma una fonte saliva dalla terra, e ne irrigava tutta la superficie’(Vulgata). ‘Ecco le origini dei cieli e della terra, quando furono creati, al tempo in cui Dio creò terra e cielo. Nessun arbusto dei campi era ancora sulla terra, e nessuna erba dei campi germogliava; giacché il Signore Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, e non vi erano uomini per coltivare il suolo. Ma un vapore si levava dalla terra e ne inumidiva tutta la superficie’ (Bibbia Luterana). 

 


…Altrettanto umana (derivata, quindi evoluta…) ispirazione di saper conferire alle future generazioni che sopraggiungeranno, il Diritto di riconoscere il proprio ed altrui volto, sia nel ‘Bosco’ ammirato, per comprendere l’antico ‘parallelo’ Linguaggio (e non solo - superiore o inferiore - lignaggio stirpe della Terra, giacché siamo tutti figli di questa Selva e del Dio che così bella l’ha donata); sia per constatarne l’oltraggio subito (la Storia ne è colma) di tanti troppi profughi, e non più abitanti bensì clandestini, che lo attraversano come bestie per la dovuta sopravvivenza.

 

Dacché ne deduciamo, l’avidità umana comune fattore sin qui studiato, anche in quella dottrina politica avversa al principio democratico - inteso come valore adottato e non aggiunto - nella salvaguardia della Terra (e non solo l’armata Difesa dai nemici che in accordo con un altrettanto falso principio tendono a creare la guerra per l’economia e il presunto benessere che ne deriva. Vediamo constatiamo e raccogliamo ovunque i fenomeni naturali altrettanto simmetrici transitare da un bosco ad una riva e viceversa), la quale deve assumere Coscienza giammai rimossa del danno, così come assistiamo e rileviamo circa il fenomeno del ‘disboscamento umano’, come dell’intero ecosistema abitato e partecipato dal presunto fattore altrettanto umano…




Saremmo privi di Ragione e non all’altezza del compito sin qui intrapreso per l’intero cammino, se non distingueremmo il Bosco uniformemente ammirato, tanto quello che delimita un delicato Confine, dato da un presunto ‘equilibrio’ geopolitico, tanto quello dato e rilevato da un suo ritratto per ciò da cui il comune Creato che ne conferisce il Diritto di essere ed appartenere al suo Linguaggio.

 

In entrambe i casi, come troppo spesso leggiamo nei trascorsi come odierni accadimenti accompagnati da altrettanti disastri e non solo storico-ambientali, l’unica specificità rilevata sarà un generalizzato disordine dell’intero ecosistema studiato, e non più separato dalla nostra comune Terra. Chi tende a privilegiare una determinata politica che tende e tenderà a mutare l’intero Ecosistema per un proprio momentaneo beneficio conferito da una approssimata economica dottrina, non all’altezza del proprio e altrui mandato, e neppure per questo, dell’Ecosistema da cui presunto ambasciatore dell’approssimazione involutiva non confacente con l’Evoluzione da cui non per ultimo la dottrina economica stabilirne propriamente o non i valori rimossi nel principio della vita per le future generazioni.  




Ovvero l’uomo nel senso metaforico qui adottato, quale valido principio del Bosco non meno della Natura da lui modificata, deve prendere Coscienza del globale danno, quindi assumere in ogni luogo comportamenti atti a riconciliare il valore e universale benessere della Pace, la quale, se la provate nella quiete del Bosco privato della furiosa lotta - così come nei secoli di Dominio lo distinguiamo e tuteliamo, riflettendolo di conseguenza, nell’armonia civile che tal senso ci ispira derivato dal Secolare Linguaggio  per la sua Ombra proiettata in ogni civile luogo, ove in suo nome tal principio dimora e non più impera.   

 

Ovvero, in cotal simmetrica preghiera da cui la materia della Scienza - compresa l’economica - riflessa nel Beneficio d’ognuno come Universale Dottrina, si impari e rifletta con dovuta Coscienza, così quando - il Bosco la Foresta - veniva arbitrariamente ed inconsapevolmente sottratta al beneficio da cui la Vita.  

 



Le due traduzioni si contraddicono nell’ultima frase: nella Vulgata l’umidità creatrice viene designata come ‘fonte’, mentre la Bibbia di Lutero traduce ‘vapore’, ‘nebbia’. Bosch sceglie la versione protestante e questo, da un punto di vista artistico, merita la massima attenzione.

 

Infatti in entrambi i Paradisi delle pale interne egli raffigura, al centro dei giardini, delle fonti. Dunque, se egli ha rinunciato nelle pale esterne al potente motivo elementare di una colonna d’acqua centrale, sgorgante dalle viscere della terra, deve aver avuto delle ragioni particolari. L’idea pittorica di Bosch è influenzata dal testo ebraico originale, ove l’umidità creatrice è designata dalla parola ed, un termine che riappare solo un’altra volta nell’Antico Testamento (Giobbe xxxvi, 27).




 Secondo i commentari rabbinici medievali, seguiti in questo caso da Lutero, la parola ha un significato simile a ‘nebbia’ o ‘nube di vapore’. Questo motivo pittorico, che non ha potuto essere ispirato che dal testo originale, ci pone di fronte a tutta una serie di questioni. All’epoca non si poteva acquisire la conoscenza dell’ebraico che attraverso il contatto personale con dei rabbini. Prima che comparisse la grammatica lessicografica De rudimentis linguae hebraicae, stampata nel 1506, con la quale Reuchlin ha gettato le basi dell’umanesimo ebraico, una tale conoscenza era cosa rara: nei Paesi Bassi ciò era appannaggio di una ristretta cerchia di teologi eruditi quale, ad esempio, il precursore della Riforma Wessel Gansfort (1420-1489). Nel Vecchio Testamento, è la Sophia onnipotente a concretizzarsi in un vapore creatore. Essa era, secondo i proverbi di Salomone, l’assistente di Dio e l’ordinatrice della Creazione.




Con il Tempo apprendiamo alla rinascita della comune Vita circa i valori mortificati essenziali per la stessa, così come l’Economia la quale ha adottato e ancora adotta tal forma impropria di momentaneo benessere. Ebbene i due ‘Boschi’ attraversati come ammirati nella loro specifica bellezza donata nell’Atto creativo insegnano proprio questo, la necessità e l’opportunità di conferire ai futuri anelli del comune Albero da cui la Vita, le possibilità generazionali di poter goderne come usufruirne il più a lungo con il Beneficio di Cristo, inerente al principio circa al diritto di transito per Ognuno nel poter attraversarlo. Non dettato dall’antico privilegio di falsi principi accompagnati da distorti Ideali da cui l’inutile e più breve profitto muteranno il Bosco in antica bellicosa selva, ma Foresta per e nel bene d’ognuno in cui leggere non più gli anelli per ogni tronco abbattuto, ma dagli anelli di questa come una Scienza precisa, imparare a rifondare le perse e mutate Stagioni d’una comune vita, ed appartenenza nella certezza d’una rinascita alla sua Linfa… 

(Giuliano)




Il Signore mi ebbe con sé dall’inizio delle sue imprese, prima di compiere qualsiasi atto, da principio. Ab eterno sono stata costituita anteriormente alla formazione della terra. Io ero già generata e gli abissi non esistevano e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti ancora sorgevano con la loro grave mole; prima dei colli fui generata; non aveva ancora creato la terra né i fiumi né i cardini del mondo. Quando disponeva i cieli ero presente, quando accerchiava gli abissi nel giro regolare dei loro confini, quando fissava in alto le atmosfere e sospendeva le fonti delle acque, quando segnava intorno al mare il suo confine e poneva un limite alle acque affinché non oltrepassassero le sponde, quando gettava i fondamenti della terra, insieme a lui disponevo tutte le cose e mi deliziavo in tutti quei giorni trastullandomi dinanzi a lui continuamente, trastullandomi nel cerchio della terra e la mia delizia era vivere coi figli degli uomini’ (Proverbi, 22-31). 




La sfera di cristallo che ingloba il singolare ibrido ‘teobiologico’ che è il disco terrestre solleva dei problemi non meno vasti. Negli studi dei pittori, alla fine del Medioevo, l’immagine corrente della terra era quella di una sfera dalle dimensioni ridotte posta al centro di un’altra sfera più vasta, cava, che rappresentava il firmamento delle costellazioni; questo firmamento era circondato obliquamente da un cerchio che includeva i dodici segni dello zodiaco, nelle loro rispettive posizioni in rapporto all’orbita solare. Rompendo con questa visione accettata e definita dalla Chiesa, Bosch è ricorso a un sistema cosmologico abbandonato da molto tempo: l’ orbis’ della filosofia arcaica della natura, che fluttua simile a un disco all’interno della sfera.




 Vi sono buone ragioni per credere che la superficie della terra abitabile, in tutti i climi e le regioni che sono state dimore di popolazioni dense e civilizzate, fosse, con poche eccezioni, già ricoperta da una crescita forestale quando divenne la prima dimora di uomo.

 

Questo lo deduciamo dagli estesi resti vegetali - tronchi, rami, radici, frutti, semi e foglie di alberi -  spesso trovati abbinati con opere d’arte primitiva, nel terreno paludoso di distretti dove non sembrano esistere foreste all’interno del epoche attraverso le quali giungono gli annali scritti; è comprovato da antichi documenti storici, che le grandi province, dove la terra è stata a lungo completamente priva di alberi, erano coperte di boschi vasti e quasi ininterrotti quando furono conosciute per la prima volta dalla civiltà greca e romana.

 

Si possono annoverare tra le testimonianze storiche su questo punto, se non tecnicamente tra i documenti storici, antichi nomi geografici e terminazioni etimologicamente indicanti bosco o boschetto, così comuni in molte parti del Continente Orientale ormai del tutto spoglie di boschi - come, nel sud Europa, Breuil, Broglio, Brolio, Brolo; in Northern, Bruhl, e le desinenze -dean, -den, -don, -ham, -holt, -horst, -hurst, -lund, -shaw, -shot, -skog, -skov, -wald, -weald, -wold, -wood.

 

E dallo stato di gran parte del Nord e del Sud America, nonché di molte isole, quando furono scoperte e colonizzate dalla razza europea.




 L’influenza complessiva della Foresta sulla temperatura globale dell’intero pianeta abitato dall’uomo è fondamentale per ristabilirne un rapporto compromesso con la Natura e cicli delle stagioni da cui la Vita, nonché i benefici che da Lei derivano, circa il clima e la sua naturale stabilità - compresi ovviamente i frutti non solo materiali bensì spirituali - ovvero il linguaggio che da Madre Natura deriva, lo stesso antico linguaggio  che dobbiamo ristabilire odiernamente, dopo aver distrutto e modificato, con l’eccessivo inquinamento e disboscamento, il preesistente equilibrio irrimediabilmente mutato.  

 

Non è stato ancora possibile misurare, riassumere ed equiparare, l’influenza totale della Foresta, dei suoi processi e dei suoi prodotti, morti e vivi, sulla temperatura, e i ricercatori differiscono molto nelle loro conclusioni su questo specifico argomento. Sembra probabile che, in ogni caso particolare il risultato sia, se non determinato, almeno sicuramente modificato dalle condizioni locali che sono infinitamente variate, dacché odiernamente nessuna formula generale è applicabile alla questione, da me scientificamente riscontrata.

 

Solo il futuro saprà dirci se avevamo Ragione o torto!


La più importante influenza igroscopica oltre che termoscopica della Foresta è senza dubbio quella che essa esercita sull’umidità dell’aria e della terra, e questa azione climatica la esercita in parte come materia morta, in parte come materia vivente. Mediante la sua interposizione come una cortina tra il cielo e la terra frena sia l’evaporazione dalla terra, sia intercetta meccanicamente una certa proporzione della rugiada e delle piogge più leggere, che altrimenti inumidirebbero la superficie del suolo, e la restituisce all'atmosfera per espirazione.




Abbiamo mostrato che il Bosco, considerato come materia morta, tende a diminuire l’umidità dell’aria, impedendo ai raggi del sole di raggiungere il suolo ed evaporare l’acqua che cade in superficie, ed anche stendendo sulla terra un manto spugnoso che aspira e trattiene l’umidità che riceve dall’atmosfera, mentre, nello stesso tempo, questa copertura agisce in senso contrario accumulando, in un serbatoio non del tutto inaccessibile agli influssi vaporizzanti, l’acqua di precipitazione, che altrimenti potrebbe improvvisamente sprofondare in profondità nelle viscere della terra, o fluire da canali superficiali ad altre regioni climatiche.


  Vediamo ora che, come organismo vivente, tende, da un lato, a diminuire l’umidità dell’aria assorbendone talvolta l’umidità, e, dall’altro, aumentare tale umidità riversando nell’atmosfera, sotto forma di vapore, l’acqua che essa aspira attraverso le sue radici. Quest’ultima operazione, contemporaneamente, abbassa la temperatura dell’aria a contatto o in prossimità del legno, per la stessa legge degli altri casi di trasformazione dell’acqua in vapore.




Secondo questa concezione arcaica, nel racconto della Genesi (I, 6-7) le acque sono ripartite al di sopra e al di sotto della massa solida della terra. Sembra dunque che il pittore abbia rinunziato alla visione del mondo comunemente ammessa, in favore della visione e della versione patriarcali della Genesi e che egli si sia attenuto allo stretto enunciato dal testo.

 

Nonostante la sua struttura arcaica, la rappresentazione di Bosch stupisce per la pienezza vitale che attraversa il mito della Creazione con la sua potenza ontogenetica. Il racconto della Genesi si sviluppa per stadi successivi e statici. La ripetizione regolare delle tre formule: ‘Così fu sera poi fu mattino’, ‘Questo avvenne’ e ‘Dio vide che era buono’ (Genesi 1, 8-9-10), stabilisce una distanza tra i differenti avvenimenti della Creazione. In confronto a questa placida staticità, la rappresentazione di Bosch appare animata da un vibrante fermento creativo: nella penombra la massa pulsante emerge dal vapore e prende forma.




Di fronte a queste onde ribollenti di fermenti pensiamo alle ‘sette Qualità’ di Jakob Böhme che, in quanto deducibili dal verbo sgorgare (quellen) e inglobanti gli stati di sofferenza (Qual-Zustände) della materia in gestazione, egli denomina ‘Quallitäten’. Böhme onora in queste qualità gli ‘spiriti sorgenti’ divini (Quellgeister) delle pulsioni e delle pulsazioni dell’esistenza cosmica e individuale. Per misurare a qual punto questa concezione di Bosch sia rivoluzionaria sul semplice piano artistico, basta un rapido esame dello schematismo astratto di una Creazione contemporanea al nostro dipinto: le xilografie della Weltcbronik di Hartmann Schedel. Michael Wolgemut, l’autore di queste incisioni austere e pie, si è strettamente attenuto al testo sacro.

 

Egli descrive la Creazione giorno per giorno, illustrandone ogni stadio, come se si fosse attuata in un lampo, per incantesimo. Bosch rappresenta l’ora palpitante in cui le forme emergono le une dalle altre, in cui il divenire ribolle ancora nel crogiuolo. Sul piano delle idee annuncia Jakob Böhme; sul piano pittorico Rembrandt.




Come ho più volte detto, non si può misurare il valore di nessuno di quegli elementi di perturbazione climatica, innalzamento o abbassamento della temperatura, aumento o diminuzione dell’umidità, né si può dire che in una stagione, in un anno o in un ciclo fisso, lungo o breve che sia, si equilibrano e si compensano a vicenda. A volte, ma certamente non sempre, sono contemporanei nella loro azione, sia che la loro tendenza sia nella stessa direzione o in direzioni opposte, e quindi la loro influenza è a volte cumulativa, a volte conflittuale; ma, nel complesso, il loro effetto generale è quello di mitigare gli estremi del caldo e del freddo atmosferici, dell’umidità e della siccità.

 

Servono come equalizzatori di temperatura e umidità, ed è molto probabile che, in analogia con la maggior parte delle altre opere e lavori della natura, essi, in periodi certi o incerti, ristabilire l’equilibrio che, sia come masse senza vita, sia come organismi viventi, possono aver temporaneamente turbato.




Con la questione dell’azione delle Foreste sulla temperatura e sull’umidità atmosferica è intimamente connessa quella della loro influenza sulle precipitazioni, che possono influenzare aumentando o diminuendo il calore dell’aria e assorbendo o esalando gas non combinati e vapore acqueo. Essendo il bosco un assetto naturale, si presume che eserciti un’azione conservativa, o almeno compensativa, e di conseguenza che la sua distruzione debba tendere a produrre perturbazioni pluviometriche oltre che variazioni termometriche.

 

E questa è l’opinione forse del maggior numero di osservatori.




Infatti, è quasi impossibile supporre che, in determinate condizioni di tempo e di luogo, la quantità ei periodi di pioggia non dipendano, più o meno, dalla presenza o meno di Foreste; e senza insistere sul fatto che la rimozione della Foresta ha diminuito la somma totale di neve e pioggia, possiamo ben ammettere che ha diminuito la quantità che cade annualmente entro limiti particolari.

 

Diverse considerazioni teoriche rendono questo probabile, l’argomento più ovvio, forse, essendo quello tratto dal fatto generalmente ammesso, che l’estate e anche la temperatura media della foresta è inferiore a quella dell’aperta campagna alla stessa latitudine.




Una interpretazione cosi personale, così vitalistica della Genesi si fonda forse su una ragione più profonda che non quella di una semplice volontà di aderenza letterale al testo biblico. Noi proponiamo questa interpretazione: per la sua struttura sferica, questo antico globo celeste tagliato trasversalmente dal disco terrestre è la forma perfetta, il puro concetto del ‘cosmos’. La sua trasparenza cristallina lo eleva alla più alta spiritualità, ne fa il riflesso stesso di Dio, mentre la forma ovale del disco simboleggia il divenire eternamente creatore. Infine, l’ordine tutto proiettato verso la volta carica di nubi rappresenta il sacro principio originale del Libero Spirito: la Sophia. Il significato di questa triplice relazione simbolica va ben oltre lo sforzo della fedeltà letterale alla Bibbia e costituisce il nucleo centrale del pensiero che informa tutto il dipinto. 

(Wilhelm Fraenger)




Con l’estirpazione della Foresta, tutto è cambiato, in una stagione, la terra si separa con il suo calore per irraggiamento in un cielo aperto, in un’altra riceve un calore smodato dai raggi non ostruiti del sole. Quindi il clima diventa eccessivo, e il suolo è alternativamente arso dai fervori dell’estate, e bruciato dai rigori dell’inverno. I venti cupi spazzano senza resistenza sulla sua superficie, portano via la neve che lo riparava dal gelo e asciugano la sua scarsa umidità.

 

La precipitazione diventa tanto irregolare quanto la temperatura; le nevi che si sciolgono e le piogge primaverili, non più assorbite da un terriccio vegetale sciolto, si precipitano sulla superficie ghiacciata e si riversano nelle valli verso il mare, invece di riempire un letto ritentivo di terra assorbente e accumulare una scorta di umidità per nutrirsi primavere perenni. Il suolo è spogliato della sua copertura di foglie, spezzato e allentato dall’aratro, privato delle radichette fibrose che lo tenevano insieme, essiccato e polverizzato dal sole e dal vento, e infine stremato da nuove combinazioni.




La faccia della Terra non è più una spugna, ma un mucchio di polvere, e le piene che le acque del cielo riversano su di essa si precipitano veloci lungo le sue pendici, portando in sospensione grandi quantità di particelle terrose che ne accrescono il potere abrasivo e la meccanica forza della corrente, e, accresciuta dalla sabbia e dalla ghiaia degli argini cadenti, riempiono i letti dei torrenti, li deviano in nuovi canali e ostruiscono le loro uscite. I rivoli, mancando l’antica regolarità di approvvigionamento e privati dell’ombra protettrice dei boschi, si riscaldano, evaporano, e così si riducono nelle loro correnti estive, ma si gonfiano a impetuosi torrenti in autunno e in primavera.

 

Da queste cause, vi è un costante degrado degli altipiani, ed un conseguente innalzamento dei letti dei corsi d’acqua e dei laghi per la deposizione delle sostanze minerali e vegetali trasportate dalle acque. I canali dei grandi fiumi diventano impraticabili, i loro estuari sono ostruiti e i porti che un tempo riparavano grandi flotte sono intasati da pericolosi banchi di sabbia. La Terra, spogliata della sua gleba vegetale, diventa sempre meno produttiva e, di conseguenza, meno capace di proteggersi tessendo una nuova rete di radici per legare insieme le sue particelle, un nuovo tappeto erboso per ripararla dal vento e dal sole e pioggia battente.

 

A poco a poco diventa del tutto sterile.

 

Il lavaggio del suolo dalle montagne lascia spoglie creste di roccia sterile, e la ricca muffa organica che le ricopriva, ora spazzata giù nei terreni umidi e bassi, promuove un rigoglio di vegetazione acquatica, che genera febbre, e forme più insidiose di malattie mortali, con il suo decadimento, e così la terra è resa non più adatta all’abitazione dell’uomo.









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