CHI DELLA FOLLA, INVECE,

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30 MAGGIO 1924

martedì 30 gennaio 2024

I POST NAZISTI (dedicato ad Ilaria)

 










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Verso la prima udienza Intervista al difensore dell’antifascista italiana detenuta nelle carceri magiare. ‘Non c’era alcuna possibilità che le lesioni potessero essere mortali e lei non appartiene a nessuna organizzazione criminale’, afferma György Magyar. György Magyar è uno dei più noti avvocati penalisti ungheresi, oltre che attivista per i diritti civili e più volte impegnato in politica nella sua Budapest.

 

Nel 2014 ha vinto il premio antirazzista ‘Miklós Radnóti’ che ogni anno si assegna a chi, in Ungheria, si distingue ‘con il lavoro, la presa di posizione e l’esempio personale contro razzismo, antisemitismo e ogni forma di esclusione’. Magyar è anche l’avvocato chiamato a rappresentare Ilaria Salis davanti alla corte di Budapest il prossimo 29 gennaio.

 

La situazione carceraria in Ungheria è critica e, spesso e volentieri, il paese di Viktor Orbán è finito al centro delle polemiche per questioni legate al rispetto dello stato di diritto. Intervistate dal manifesto alcune settimane fa Zsófia Moldova ed Erika Farkas, due avvocate dell’Ong Helsinki Hungarian Committee, hanno descritto una situazione al limite: ‘Le leggi formulate dal 2010 hanno consentito un’attività amministrativa sostanzialmente incontrollata per più di dieci anni. Siamo stati testimoni di numerosi abusi ai danni dell’indipendenza della magistratura: campagne diffamatorie contro i giudici più critici, revoca dei premi, nomine irregolari di magistrati, iniziative disciplinari ingiuste e assunzioni dei più importanti dirigenti dei tribunali sulla base di criteri puramente politici’.

 

È in questo contesto che andrà in scena il processo a Ilaria Salis, accusata di aver aggredito due neonazisti il 10 febbraio di un anno fa, ai margini di una manifestazione in memoria di un battaglione delle SS.

 

Avvocato, Ilaria Salis è accusata di aver preso parte all’aggressione di due persone, le cui ferite sono state giudicate guarite in 6 e 8 giorni. Com’è possibile che rischia da 11 anni di carcere in avanti?

 

Ilaria Salis è accusata di aver tentato di ferire tre persone, causando loro lesioni personali, cosa che, secondo l’accusa, ha commesso da appartenente a un’organizzazione criminale. Le ferite non erano gravi, ma secondo la procura potenzialmente mortali. La pena per reati che mettono in pericolo la vita è elevata e qui la situazione è ulteriormente aggravata dal presunto coinvolgimento in un’organizzazione criminale, motivo per cui la procura ha proposto una punizione così severa. Tuttavia, a mio parere, non è stato dimostrato che Salis abbia commesso questi crimini, non vi era alcuna possibilità che le lesioni fossero mortali e non c’è alcuna organizzazione criminale coinvolta. Ne discuteremo in tribunale.

 

Ci sono altre persone accusate degli stessi fatti?

 

 Attualmente, oltre a Ilaria Salis, per questo caso è stato arrestato un cittadino tedesco e un altro, sempre tedesco, è soggetto a misure cautelari. Le indagini sul caso si sono già concluse, la procura ha già formulato le accuse e i procedimenti sono in arrivo davanti al tribunale di primo grado.

 

Salis si è detta estranea ai fatti e innocente rispetto alle accuse. Che prove ci sono contro di lei?

 

Non posso fornire informazioni sulle prove specifiche, ma posso dire che, a mio avviso, non esiste alcuna prova diretta e la signora Salis si è dichiarata non colpevole fin dall’inizio del procedimento.

 

Tra poche settimane sarà passato un anno di carcerazione preventiva.

 

Il tempo massimo della custodia cautelare in carcere in Ungheria dipende dalla gravità del reato di cui si viene accusati. Nel caso di specie, secondo la legge, la durata dell’arresto precedente al processo può arrivare fino a tre anni.

 

Cosa accadrà il 29 gennaio, quando avrà inizio il processo?

 

Quel giorno la Corte ha convocato una sessione preparatoria. In tale sede gli imputati dichiarano se ammettono la loro colpevolezza. Se la negano, insieme ai loro difensori, hanno la possibilità di presentare istanze probatorie e richiedere, ad esempio, l’audizione di testimoni o periti e la presentazione di documenti.

 

Crede sia possibile che i giudici di Budapest decidano di far scontare in Italia l’eventuale condanna?

 

Ilaria Salis si dichiara non colpevole. Se il tribunale ungherese la dovesse ritenere colpevole, in quanto cittadina dell’Ue, ha comunque la possibilità di chiedere il permesso di scontare la pena nel suo paese d’origine. Credo possibile che Salis possa ottenere questo permesso.

 

Ritiene ci sia un particolare accanimento contro questa donna in quanto antifascista?

 

Non posso parlare di accanimento giudiziario, non ne ho esperienza. Il conflitto tra fascismo e antifascismo viene da molto lontano e c’è chi trae conclusioni criminali sulla base di questo. 

(il manifesto)




 


I POST NAZISTI 

 

 

La Russia è nata nel 1500 con Ivan il Terribile (e partire con uno che viene chiamato “il terribile” già fa capire che non si tratta di una storia allegra), e con Ivan parte anche il processo di “russificazione”, perché la Russia era un paese sterminato popolato da decine e decine di tribù nomadi diverse, da popolazioni con diverse lingue, religioni e culture. Questo processo non è mai terminato, lo hanno proseguito tutti gli zar, e poi Stalin con deportazioni, eccidi e propaganda, ma ancora oggi circa il 20% (non si hanno statistiche ufficiali) della popolazione russa è mussulmano, e ci sono molte più minoranze etniche di quanto comunemente si pensi.

 

Non è probabilmente un caso se il congresso del 2019 si è svolto a Verona, nel Veneto di Salvini, né credo lo abbia voluto lui. Putin è un alleato ingombrante, e parte della sua strategia è l’esportazione in Europa del modello russo, ora che ne ha costruito uno. Quindi la sua propaganda si basa sui valori della famiglia e del cristianesimo, e la lotta al terrorismo, agli stranieri e all’islam; per questo trova alleati solo nei partiti di estrema destra.

 

In Europa Salvini dopo il successo elettorale si è posto a capo del gruppo dei nazionalisti euroscettici, “l’Europa delle Nazioni e della Libertà”. Ne fa parte il partito di Marine le Pen e vari altri partitini minori (gli austriaci del Fpo, Interesse fiammingo dei belgi, gli olandesi del Pvv e i polacchi del Knp), e che spera di attirare a sé anche i nazionalisti nordici (i Democratici svedesi, i Veri Finlandesi e il Partito del Popolo Danese) e Vox, il partito sovranista spagnolo.




Il piano iniziale di Salvini era quello di creare una unione di partiti di destra abbastanza moderati che potesse sperare di governare assieme al Partito Popolare Europeo, ma non ha funzionato; un po’ perché Salvini viene visto con sempre maggiore diffidenza da tutte le forze moderate europee, un po’ perché il presidente polacco Jarosaw Kaczynski ha rifiutato l’alleanza per via della vicinanza di Salvini con Putin (i polacchi ricordano ancora bene le volte che i russi li hanno invasi e dominati, e non hanno nessun amore per essi). Così Salvini ha aperto le porte a Alternative für Deutschland, il partito tedesco di estrema destra che ha saldi legami con movimenti neonazisti, allo stesso modo della Lega in Italia con quelli neofascisti.

 

L’interesse primario di Salvini è quello di diventare l’ago della bilancia del prossimo parlamento europeo, l’Europa in questi ultimi anni si è spostata a destra e si sa già che quasi certamente il Ppe avrà la maggioranza, ma per avere la maggioranza assoluta potrebbe avere bisogno dei voti di Salvini e dei suoi alleati. Questo consentirebbe a Salvini una certa protezione politica da possibili provvedimenti dell’Unione Europea contro l’Italia per i conti pubblici sempre disastrati e le finanziarie “fantasiose” come l’ultima.

 

In un certo senso ricorda come Mussolini divenne un personaggio internazionale in quanto inventore del fascismo, e la sua forma di governo sia stata poi copiata in Spagna e Portogallo e abbia ispirato Hitler. Però ci sono anche tante differenze: intanto il fascismo era un’idea originale di Mussolini, mentre l’anti europeismo e il nazionalismo non li ha inventati Salvini, e poi perché non c’è un reale contenuto politico nelle posizioni dei sovranisti. Certo pure il fascismo non aveva chissà quali contenuti, ma i vari partiti e partitini nazionalisti e sovranisti sono proprio delle scatole vuote, piene solo di xenofobia, rabbia e slogan.




Il più grande successo internazionale di Mussolini fu la conferenza di Monaco, in cui organizzò l’incontro tra Hitler e i leader di Francia e Inghilterra convincendoli a lasciare alla Germania parte della Cecoslovacchia senza iniziare una nuova guerra mondiale. Vista col senno di poi si sa che non fu un grande affare, perché diede solo un anno in più di tempo a Hitler per preparare la guerra, ma dimostrò che il fascismo poteva avere un grande prestigio e potere a livello internazionale, e che Mussolini era in grado di farsi ascoltare da tutti i grandi d’Europa. Salvini di certo non è a quel livello, e quasi certamente non lo raggiungerà mai; non è capace di cercare il dialogo, di avere posizioni pacate, di cercare soluzioni vere a problemi reali.

 

I partiti conservatori europei lo schifano perché fa paura, e non gli fa guadagnare voti farsi vedere con lui. Il Guardian e l’Observer, ad esempio, riguardo alla denuncia fatta contro Saviano intitolano “Gomorra writer faces jail threat in libel battle with Italy’s deputy PM” (‘lo scrittore di Gomorra affronta il rischio della prigione in un processo per diffamazione col vice premier italiano’).

 

All’estero Salvini lo vedono così: come quello che attacca i giornalisti antimafia, non si fa processare grazie all’immunità parlamentare, rende più facile sparare in casa ai ladri, rade al suolo baraccopoli come quella di San Ferdinando lasciando senza un tetto le persone che ci vivevano, blocca la missione europea Sophia per contrastare il traffico di persone e di armi nel Mediterraneo, partecipa a un congresso medievale sulla famiglia, e rivaleggia con Di Maio per dimostrare di essere uno stallone esibendo una nuova fidanzata. Tutte queste notizie sono state prese solo dai giornali inglesi di marzo 2019, figurarsi come può essere visto Salvini all’estero dopo quasi un anno di governo in cui fa parlare di sé in questo modo.




 Oltre che per la sua reputazione, l’esperimento europeo di Salvini è destinato al fallimento per la natura stessa dei suoi alleati: una alleanza tra nazionalisti che pensano ognuno prima alla propria nazione non ha un senso logico e non può durare. Possono essere d’accordo su alcune cose come far finire la politica economica di austerity e controllo delle spese, ma è troppo poco per riuscire a governare insieme; inoltre, se i due grandi partiti europei e le due grandi nazioni (la Francia e la Germania) avranno un minimo di intelligenza, riusciranno a mettersi d’accordo per alleggerire almeno un po’ le regole economiche stringenti attuali e per organizzare meglio la questione dell’immigrazione, tutto senza bisogno dell’appoggio e dei voti di Salvini.

 

(M. Pizzirani) 

 

È stato un negazionista austriaco contemporaneo di nome Gerd Honsik a manipolare e decontestualizzare alcune sue frasi per dare vita al presunto “piano”, che prevedrebbe la sostituzione della popolazione europea con immigrati. Un’invenzione che ha rapidamente fatto il giro del mondo e che, similmente a quella dei famigerati Protocolli dei savi di Sion, non ha stentato ad affermarsi in molte persone che non vedono l’ora di credere a un simile scenario. Una teoria “buona da pensare”, ma assolutamente fasulla.

 

L’immagine dell’invasione rimanda immediatamente e ovviamente a un pericolo.

 

Ecco allora la storia del popolo oppresso, tipica della nascita dei nazionalismi classici, che torna quanto mai utile per costruire un’immagine vittimista. Ciò che accomuna questi nuovi etnonazionalismi o sovranismi è la vittimizzazione della popolazione autoctona, con un classico rovesciamento della realtà.




Il vero razzismo sarebbe quello contro gli autoctoni, sfavoriti nell’assegnazione degli alloggi popolari e nell’accesso al welfare. È il ribaltamento dell’atteggiamento suprematista, secondo il quale loro sono la causa dei nostri mali. Il nuovo nazionalismo etnico si fonda su un’idea quasi primordiale: perché in fondo è vero che ‘l’ideologia nazionalista è una giustificazione per la difesa degli interessi personali’. Anche quella etnonazionalista lo è, ma ricorre a una narrazione nuova, che finge di appagare la richiesta di valori postmaterialistici, come l’identità etnica.

 

È questo lo scenario della nuova Europa identitaria, che non si configura come una sorta di internazionale nera, quanto piuttosto come una galassia gassosa in continuo movimento, che trova spazi politici riconosciuti in paesi come l’Ungheria e la Polonia, ma anche in Francia con il Front national (oggi Rassemblement national), in Italia con la Lega e in Germania con la rapida avanzata di Alternative für Deutschland, per non parlare dei sempre piú forti rigurgiti nazisti nella ex Ddr.

 

Una galassia in cui si mescolano toni populisti, antieuropeisti e pulsioni che possiamo definire, senza dubbio alcuno, fasciste. Tutte accomunate da un atteggiamento razzista nei confronti del nemico simbolico, che sta al centro della questione: il migrante contrapposto alla purezza della razza, della cultura, della Patria. Di fatto il vero nemico degli identitari sono in realtà i diritti umani.




In che modo i giovani identitaristi europei che si rifanno a Julius Evola o i gruppi di skinhead che, nella terza generazione dopo la Shoah, imitano tragicamente i rituali e il linguaggio nazifascisti, rappresentano una forma di memoria collettiva delle nostre società?

 

Si tratta di uno dei modi possibili in cui la memoria collettiva contribuisce a disegnare i parametri del razzismo attuale. Una memoria a un tempo corta e lunga: con la progressiva scomparsa della generazione che ha subito il razzismo più feroce e che ha combattuto il nazifascismo, svaniscono le ultime testimonianze dirette di quell’orrore; e l’avvento in Europa di molti governi di destra, che ben poco, se non nulla, fanno per mantenere vivo quel ricordo con rituali, celebrazioni, divulgazione, unito alle nuove paure nate con il fenomeno migratorio e alimentate ad arte da una certa politica xenofoba, ha finito per rendere sempre più evanescente e inconsistente quella memoria.

 

Come contraltare, la scomparsa di questa barriera morale, fondata proprio sulla volontà di impedire che certe cose si ripetano, ha lasciato campo libero al ritorno di quelle ideologie, vecchie per alcuni, nuove per i più giovani.

 

Al di là degli aspetti rituali, della riproposizione di simboli vecchi, il neorazzismo si fonda su principî diversi da quello storico, anche se alla base c’è sempre una forma di classificazione a cui segue una gerarchizzazione.

 

Classificazione e gerarchia sono operazioni di naturalizzazione per eccellenza o, più precisamente, di proiezione storica e sociale di differenze nel regno di una natura immaginaria.




In qualunque sua versione, il razzismo teorico rappresenta la sintesi ideale di trasformazione e fissità, di ripetizione e destino. Anche quando sostituisce la razza con la cultura, lo fa per attribuire a quest’ultima un retaggio di ancestralità immutata e immutabile.

 

È difficile pensare a un puro “differenzialismo”, perché i criteri utilizzati per differenziare non possono mai essere neutrali in un contesto reale. Qui, infatti, si impone una distinzione tra il differenzialismo proposto dai teorici delle nuove destre e la traduzione in pratiche quotidiane di tali idee, che finiscono poi per differenziarsi ben poco da quelle passate e per proporsi come espressioni del razzismo piú basso. L’obiettivo dei neorazzisti non è piú l’Altro in quanto esponente di una razza specifica, ma in quanto portatore di caratteristiche culturali, che grazie a una certa propaganda politica gli sono state assegnate. L’obiettivo non è l’arabo in sé, ma l’arabo in quanto terrorista, l’albanese in quanto stupratore e cosí via.

 

Se l’elaborazione etnodifferenzialista fa riferimenti consapevoli a valori universali, la sua traduzione pratica viaggia su piani ben diversi. Gli esponenti politici che portano avanti progetti cosiddetti sovranisti, fondati essenzialmente sull’avversione per i migranti, non si esprimono certamente con il linguaggio forbito dei teorici identitari e forse, in molti casi, ne ignorano persino le proposte.




I governi neorazzisti sono in genere connotati dal populismo, che si fonda essenzialmente sulla comunicazione, più che sulla politica e sull’azione.

 

Comunicazione urlata, diretta, semplificata all’osso, come abbiamo visto, perché anche questo fa parte dell’essere diversi da quelli di prima. Infatti, questi esponenti del “nuovo” riscuotono simpatie perché usano un linguaggio terra terra, simile a quello di chi li vota. In passato ci si attendeva che il politico fosse più capace del cittadino, oggi questo non vale più, conta essere nuovi e pertanto innocenti.

 

I nuovi politici piacciono perché non sono conformi al linguaggio abituale degli esperti. La retorica dell’uno-vale-uno trasforma l’incompetenza del singolo in virtù del popolo, degna di per sé del comando, perché incontaminata dal sapere elitario. Trionfa la medietà, non ci si vergogna più della propria ignoranza.

 

Il comportamento scanzonato, il linguaggio pesante ai limiti del volgare che vuole apparire ironico, servono ai nuovi protagonisti della politica per apparire come gente del popolo, del tutto diversi da quelli del passato.

 

Parlare in questo modo serve a fare apparire come più ‘naturali’ i politici che, liberati dagli obblighi della forma e dell’abilità retorica, considerate ormai indici di ipocrisia, possono lasciarsi andare a esprimersi senza peli sulla lingua, abdicando, in questo modo, a ogni principio di responsabilità nei confronti del ruolo ricoperto. L’introduzione della battuta pesante, l’abolizione di ogni remora formale, rievoca il ‘Me ne frego’ dei fascisti, espressione utilizzata anche allora per spezzare la retorica dominante. Il linguaggio greve, l’indifferenza se non addirittura il disprezzo quasi ostentati per la cultura diventano chiavi per la ricerca del consenso popolare più basso. 

(M. Aime)




Il populismo (propriamente detto dal punto di vista storico) nasce come movimento intellettuale e politico nella seconda metà dell’Ottocento in Russia in seguito all’abolizione della servitù della gleba voluta dallo Zar Alessandro II nel 1861. Questo movimento propugnava una forma di socialismo contadino legato alla tradizione delle obscine, comunità rurali autogovernate e autosufficienti, per migliorare le condizioni di vita delle classi contadine e dei servi della gleba appena affrancati.

 

Negli Stati Uniti un fenomeno simile, anch’esso improntato alla difesa delle classi più deboli, si manifestò nel 1892 con la nascita del Populist Party (Partito Populista). Questo partito, sopravvissuto fino al 1908, fu fondato a difesa degli interessi degli agricoltori, degli artigiani e dei piccoli imprenditori del Midwest e degli stati del sud degli Stati Uniti, danneggiati dalle concentrazioni politiche, industriali e finanziarie che sorsero in seguito alla vittoria nordista nella guerra di secessione.

 

Un’altra manifestazione del populismo statunitense degli albori fu la lotta iniziata dal presidente Andrew Jackson contro gli eccessi delle borse valori e contro il sistema bancario e monetario. Jackson, primo democratico ad essere eletto presidente, durante la sua presidenza, non solo si scagliò contro le élite finanziarie che al tempo dominavano il nord, ma riuscì anche nell’intento di rivoluzionare parte delle strutture politiche americane. Primo presidente americano di estrazione non aristocratica, Jackson divenne ben presto il beniamino di gran parte del popolo statunitense, principalmente perché percepito come uno di loro.




In Europa la prima manifestazione politica etichettabile come populista (tirando un po’ la corda), la si ebbe in Francia con Napoleone Bonaparte la cui politica fu ispirata ed influenzata dal pensiero politico di Jean Jacques Rousseau che teorizzò l’esistenza di una volontà generale del popolo e l’esigenza di una democrazia diretta, senza mediazioni o rappresentanza. Napoleone riuscì infatti ad imporsi e a legittimare la propria immagine agli occhi del popolo francese, non ricorrendo a strumenti di repressione, ma bensì basandosi sul largo consenso delle masse (esautorato il parlamento francese, fu un plebiscito ad incoronare Napoleone a leader della Francia).

 

Nel ventesimo secolo si torna a parlare di populismo con particolare riferimento ai movimenti latino americani e a quelli europei di breve durata come quello poujadista in Francia e quello qualunquista in Italia.

 

Trascurando le “meteore” europee, i movimenti latino americani come ad esempio quelli di Peron in Argentina, di Vargas in Brasile e di Cardenas in Messico, ebbero tutti un percorso di sviluppo comune e cioè: dal punto di vista economico essi videro la luce in un periodo di transizione segnato dal passaggio da un’economia prevalentemente agricola, ad una industriale, mentre dal punto di vista politico si svilupparono nel corso di un periodo storico che vide l’allargamento della base partecipativa popolare (fino a quel momento ancora molto limitata), segnando così l’ingresso delle masse nel gioco della politica.




Altro tratto comune dei populismi sudamericani, fu l’essere fondati e guidati da figure carismatiche, da leader che mobilitarono le masse esaltando (spesso retoricamente) i valori nazionali e facendosi portavoce delle esigenze popolari.

 

Il grande limite di questi populismi fu il basare il proprio consenso su una base sociale troppo eterogenea, che se in un primo momento risultò essere l’elemento vincente per l’ascesa dei leader, successivamente portò ad una limitata azione di governo a causa delle difficoltà di intermediare tra posizioni ed interessi a volte fortemente contrastanti.

 

Ma è negli ultimi decenni che il termine populismo comincia ad essere utilizzato sempre propriamente, ma in maniera difforme, dal punto di vista accademico, ed impropriamente dal punto di vista politico e comunicativo, come vedremo più avanti.

 

È sul finire del ventesimo e all’inizio del ventunesimo secolo che vengono accostati al populismo diversi movimenti e partiti.




I movimenti bolivaristi di ascendenza socialista sudamericani di Chàvez in Venezuela, di Correa in Ecuador e di Morales in Bolivia, la Lega Nord di Bossi e Salvini, Forza Italia di Berlusconi e il Movimento Cinque Stelle di Grillo e Casaleggio in Italia, il Front National di Jean Marie e di Marie Le Pen in Francia, l’Alternative für Deutschland di Lucke in Germania, in Ungheria il Fidesz di Viktor Orbán in Ungheria, l’UKIP di Nigel Farage nel Regno Unito, Syriza di Alexis Tsipras e gli estremisti di Alba Dorata in Grecia, il Movimento Socialista Democratico Podemos di Pablo Iglesias Turrión, in Spagna, e giocoforza il Partito Repubblicano di Donald Trump negli Stati Uniti.

 

Come osservato per i partiti populisti sudamericani della prima metà del ventesimo secolo, anche quelli recenti sono caratterizzati fortemente dalla presenza di leader che mobilitano le masse esaltando i valori nazionali e facendosi portavoce delle istanze popolari e del diffuso malcontento.

 

A ciò si aggiungono le dure critiche verso la politica e i partiti tradizionali, e verso le forme assunte dalla modernità a valle dei processi di globalizzazione.

 

Seppur con le dovute differenze, anche questi nuovi leader populisti si ergono ad unica alternativa valida rispetto ad un contesto socio-economico considerato ormai ai limiti dell’accettabile.




Recessione, terrorismo e fenomeni migratori incontrollabili, risultano essere i principali elementi che infervorano il dibattito pubblico odierno e allo stato attuale non esiste alcun partito o leader, che non abbia fatto o non faccia leva su tematiche affini.

 

L’inevitabile conseguenza di queste prese di posizione è l’appropriazione, direi indebita, di concetti apparentemente aleatori come popolo (e sovranità popolare), unicità e specificità nazionale (che non di rado sfocia in atteggiamenti marcatamente xenofobi), così come il mai sopito slancio di contrapposizione tra “popolo puro” ed élite “corrotte”.

 

Ulteriore novità per questo populismo di fine ventesimo secolo è poi il contesto dello sviluppo tecnologico: tutti questi “nuovi” populismi (chi prima chi dopo), si sviluppano in un periodo storico ben preciso che vede nella crescita “spropositata” dell’influenza dei media, il trampolino di lancio per la ridefinizione della dialettica comunicativa in ambito politico. Dalla discesa in campo di Berlusconi fino ad arrivare all’oramai ben noto Beppe Grillo, in Italia (così come in altre parti d’Europa), si è assistito ad un progressivo incremento della sfera d’influenza sia dei media tradizionali (televisione in primis), che dei più moderni “social media”, e dunque più in generale di internet.

 

In conclusione, ci troviamo di fronte ad una lunga lista di movimenti e partiti decisamente diversi tra loro per orientamento politico e geografia, nati in diversi momenti storici, ma tutti uniti da questa indefinita parola: populismo. 

(F. Casagrande)







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