CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

mercoledì 12 giugno 2024

IL RITORNO DELLA BESTIA (siamo certi che... "Nofumomas")

 








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dell'Inganno  


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Passo del Lupo







La cornice che abbiamo definito è utile a capire i motivi per i quali, a quasi ottant’anni dalla sconfitta militare del regime, ci ritroviamo la Bestia in libertà. I conti mai fatti con il passato, con il fascismo ma nemmeno con il nazismo; l’epurazione e il rinnovamento falliti; la continuità ideale e ideologica tra postfascismo e neofascismo. Una continuità che, al netto delle smentite, la destra di governo sente nelle proprie corde.

 

Dopo la transumanza è giunto quindi il momento di affrontare l’‘allevamento’ della Bestia. Quel lavoro portato avanti con metodo e cinico calcolo da politici che – puntando su un elettorato liquido, permeabile a suggestioni leaderistiche, personalistiche, favorevole a una svolta autoritaria in parte già in corso – hanno ritenuto utile e politicamente vincente risvegliare pulsioni mai morte (semmai solo sopite o dormienti). O tenerle accese. O rinvigorirle sdoganando vecchi slogan, messaggi, battaglie. Facendo rialzare la testa a chi doveva abbassarla, ridando voce a chi prima certe cose le poteva solo pensare.




Forse la ragione principale di questo allevamento è il ‘calcolo’. Perché è per motivi di mero calcolo politico ed elettorale che Berlusconi prima, Salvini poi e Giorgia Meloni in forma definitivamente compiuta si ‘accorgono’ che in Italia gli ammiratori del fascismo non sono affatto pochi. Nelle piazze, a scuola, negli stadi, persino in parlamento. O comunque sono più di quanti vorrebbe una narrazione rassicurante. C’è poi chi lo dice in modo manifesto e chi lo pensa e basta.

 

È per lisciare il pelo a questo elettorato che i leader della destra fanno uso di linguaggi, artifizi retorici, riferimenti ora subdoli ora più diretti. Nessuno dei tre – Berlusconi, Salvini, Meloni – rinuncia alle ambiguità quando si parla di fascismo e antifascismo: anzi, in molti casi queste ambiguità le alimenta. È, appunto, una tecnica. Che punta ora a congelare (l’antifascismo) e ora a scongelare (il fascismo). A seconda delle occasioni e delle opportunità. E in base al vento politico che soffia sull’Europa.




Da quando nel 2013 Salvini viene eletto segretario federale, la Lega inizia un brusco spostamento a destra: anzi a destra della destra. È un’operazione che al Capitano viene congeniale. Appare a proprio agio, persino troppo. Anche se non viene dal mondo della destra, ma da quello dell’autonomia, del federalismo, della secessione padana.

 

Quando prende in mano le redini del Carroccio devastato e svuotato dal cerchio magico del fondatore Bossi, Salvini – un tempo nella corrente dei ‘comunisti padani’ – si presenta subito per quello che è: un politico scaltro, svelto, bifronte, spregiudicato, adesivo, contraddittorio. Talmente spregiudicato che in quattro e quattr’otto seppellisce gli ideali federalisti della Lega di Pontida, manda in soffitta il Nord e rianima il partito facendolo diventare un contenitore nazionale e nazionalista. Dentro tutti, anche i fascisti.

 

Tra i colonnelli incaricati di bucare nella galassia nera del post e neofascismo c’è Mario Borghezio, da sempre vicino a questi ambienti. Deputato ed europarlamentare, la storia di Borghezio è nota. Vive una nemmeno breve stagione di gloria e di visibilità proprio grazie al compito affidatogli da Salvini: la missione più importante è cucire un’alleanza con CasaPound Italia, i fascisti del terzo millennio, definizione loro.




Quelli che per simbolo hanno una tartaruga in bianco e nero su fondo rosso e dal 2003 occupano un edificio pubblico in pieno centro a Roma; quelli che si ritengono eredi e continuatori ideali del mussolinismo ma riadattato al contesto moderno; quelli che nelle loro sedi dedicano riti pagani ai gerarchi nazisti e criminali di guerra Erich Priebke e Heinrich Himmler; quelli contigui al crimine organizzato che da anni portano avanti una propaganda politica basata sul razzismo, l’intolleranza e la violenza.

 

Quelli che il 7 gennaio di ogni anno organizzano la parata nera di Acca Larenzia, la vergogna nazionale dei saluti romani, del grido ‘Presente!’ e dei camerati intruppati in file militari come accadeva nel 1924.

 

Dopo l’abile tessitura di Borghezio, dal 2014 tra Salvini, i suoi uomini e i capi e capetti di CasaPound si instaurano rapporti camerateschi. Tra cene in trattoria, patti territoriali, comizi e manifestazioni anti-immigrati, il Capitano è ammirato e seguito dalle tartarughe nere. Che gli fanno da stampella alle estreme propaggini della destra. E gli portano acqua. Mario Borghezio entra al Parlamento europeo grazie anche ai voti di CasaPound nel collegio del Lazio.



 

Che cosa piace di Salvini ai fascisti di CPI?

 

Il decisionismo, anzitutto. E poi le posizioni dure sull’immigrazione e sull’identità italiana – non più lombarda, non più settentrionale – da difendere. Il rapporto in teoria doveva essere incentrato sulla reciprocità, ma i neofascisti si sentiranno usati da Salvini. In effetti l’alleanza, se la si pesa in termini meramente politici, è stata sbilanciata. I neri gli portano in dote il fortunato slogan ‘Prima gli italiani’, che poi diventa un programma di governo. Salvini ricambia con gesti sì di impatto, ma più che altro estetici: indossa i loro capi di abbigliamento allo stadio, si fa intervistare in un libro autobiografico pubblicato dalla casa editrice Altaforte dell’imprenditore pregiudicato e dirigente di CasaPound Francesco Polacchi, inizia a cadenzare il suo linguaggio con citazioni mussoliniane (Me ne frego, Tanti nemici tanto onore, Io non mollo, Chi si ferma è perduto).

 

È Salvini, dopo Berlusconi, l’altro grande leader politico che rilancia e accresce il coretto: ‘Il fascismo ha fatto anche cose buone’. Prime, seconde e terze file del partito vanno in scia. Grazie a questo cambio di colore e di slogan, nella Lega salviniana entrano elementi della destra radicale. Nel 2016 la rottura del feeling con CasaPound – per basse questioni di candidature promesse e poi non andate a buon fine, i casapoundisti restano sostanzialmente a bocca asciutta – si rivela in fondo un dettaglio nell’evoluzione fascioleghista ormai bene avviata. Avviata a prescindere da CasaPound.




Cosa fa la Bestia quando dopo anni esce dal recinto?

 

Come si muove?

 

Quali terreni calpesta?

 

Perché è difficile domarla e farla rientrare?

 

E, soprattutto, chi la cavalca, e con quali fini?

 

Come si manifesta l’odio seminato nella società da chi ha permesso alla Bestia di tornare?

 

Si annuncia, quell’odio, prima di germogliare?




Nell’attuale complessità italiana è imprescindibile capire in che modo e in che tempi monta la marea di intolleranza, come l’ha chiamata la senatrice a vita Liliana Segre. Così come è vitale comprendere gli effetti a cascata della fascistizzazione del senso comune prodotta da una politica basata sulla strumentalizzazione della paura e sul vellicamento della pancia più retrograda, reazionaria, oscurantista, intollerante e nostalgica degli italiani. A questo scopo abbiamo circoscritto, grazie anche alla lente del blogger Alekos Prete, un arco temporale che va dal 2019 al 2024. Lo abbiamo ingrandito e setacciato. Poi abbiamo isolato i temi chiave e raccontato gli episodi più significativi.

 

Un crescendo di casi. Le impronte della Bestia che lascia la tana e marca il territorio, lo imbratta, lo deturpa. La sua firma.

 

Osservando questa escalation vedrete plasticamente l’immagine dell’onda nera che si è allungata su questi cinque anni. Vedrete il risultato di una semina iniziata una trentina di anni fa. Semi sparsi qua e là che, dopo una sapiente aratura, in un terreno mantenuto umido, hanno attecchito. E portato frutti avvelenati.




Intolleranza, odio a 360 gradi, violenza (non solo) verbale, razzismo, xenofobia, omolesbobitransfobia, discriminazione e antisemitismo di ritorno e – focus di questo libro – un crescendo impressionante di casi dove fascismo e neofascismo sono al centro di dichiarazioni, post, gaffe volute, scritte inneggianti a eroi fascisti e nazisti, provocazioni, attacchi. Protagonisti sono, in moltissimi casi, esponenti politici di quella destra sovranista e neopatriottica che con una propaganda cinica ha contribuito a risvegliare il virus fascista dormiente nella pancia della nazione. Un virus che, come abbiamo raccontato, sta erodendo la democrazia. Non solo in Italia, ma anche in Europa.

 

Il nostro resoconto parte dunque dal 2019, quando i cittadini europei hanno votato per eleggere i loro rappresentanti a Bruxelles e a Strasburgo. Da noi, a trionfare in quella tornata elettorale, è la Lega di Matteo Salvini con il 34,6%. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si assesta al 6,4%. Cinque volte e mezzo di meno. Niente rispetto al consenso completamente rovesciato di oggi. Tre anni dopo, con le elezioni politiche del 2022, i rapporti di forza si invertono: FDI primo partito con il 26% e Lega all’8,9%. Perché abbiamo ricordato i risultati? Perché è dalla bocca di politici di questi due partiti sovranisti che esce la maggior parte delle «perle» di cui daremo conto. È anche grazie a parole e proclami di simile tenore e portata che è stato possibile il ritorno della Bestia.




La competizione a destra tra Meloni e Salvini – infine stravinta dalla prima – si è giocata a colpi di post, tweet, dichiarazioni dure, durissime. La politica più spregiudicata parla alla pancia degli italiani solleticando i loro istinti più bassi, la rabbia, la paura alimentata per creare nemici che nell’immaginario collettivo diventano minacce. Sul podio dei nemici da additare: immigrati, stranieri, clandestini, e poi le ONG, gli amici dei migranti, e ovviamente la sinistra, gli antifascisti, la comunità LGBTQ+ e i suoi paladini, il gender, fino agli intellettuali.

 

Stop invasione e Prima gli italiani sono gli slogan che scandiscono l’ascesa vertiginosa della Lega che Salvini rianima dalle ceneri bossiane. In tre anni Meloni ha inseguito, superato e più che doppiato il suo alleato-avversario. Anche nel caso della premier e capa di FDI la propaganda è fondata tutta sui concetti di Patria, Onore, Coraggio, Lealtà, Sacrificio. Tutto scritto in maiuscolo, come nella grafica della propaganda del Ventennio. Vanno ovviamente aggiunti Dio e Famiglia, così come recita la triade mazziniana portata al suo massimo fulgore dal fascismo di Mussolini.




L’Italia del melonismo sembra un Paese che torna indietro. Spinto da una forza oscura che, nella sottovalutazione generale, ha inquinato il discorso pubblico e influenzato il pensiero. Diritti che consideravamo acquisiti e inviolabili tornano a essere messi in discussione. Paletti non superabili vengono divelti e la religione laica dell’antifascismo pare perdere colpi sotto gli schiaffi del revisionismo portato avanti da una destra sdraiata su posizioni sovraniste. Gli episodi che analizzeremo sono macchie scure sulla Costituzione repubblicana che regge l’architettura del Paese. Con la loro brutalità ci parlano e ci fanno capire quanto sono fragili i diritti e quanto, al fondo, è debole la nostra democrazia.

 

L’avvento del governo Meloni – trainato dal partito erede della Fiamma fascista – accelera in modo impressionante un processo in atto da tempo. Da settembre-ottobre 2022 la Bestia corre a briglia sciolta. E prescinde, ormai, dai partiti. Permea il pensiero comune, la postura di chi (e sono tanti) non ha più paura di uscire allo scoperto con discorsi d’odio, a picchiare duro sull’intolleranza e la discriminazione, a esibire le nostalgie per un’epoca cupa: un’epoca che certamente non si ripresenterà più uguale a sé stessa – non nelle forme che abbiamo conosciuto negli anni Venti del secolo scorso –, ma che culturalmente può riattecchire.




Un’avvertenza.

 

Non state a scervellarvi per capire le ragioni che hanno reso possibili le storie che state per leggere. La spiegazione è semplice: questi episodi sono avvenuti perché in molti si ritrovano nelle parole d’odio che colpiscono le persone, e soprattutto le minoranze. In molti si riconoscono nelle esplosioni di aggressività e di rabbia che oggigiorno vengono legittimate dai giornali e dai social e che diventano parte integrante della concezione del mondo delineata da esponenti di punta della politica. In molti hanno capito che in una stagione dove tutto sembra possibile e pronunciabile, dove non esistono più confini né pudore, l’odio è diventato cibo per tutti.

 

Come il razzismo predicato da Giorgio Almirante quando scriveva sulla rivista ‘La difesa della razza’. Un odio cieco, che non ha bisogno di motivazioni particolari, che si sprigiona all’improvviso, come una fiammata. E che non deve giustificarsi per il semplice motivo che è stato ormai sdoganato.

 

Dove?

 

Nel Belpaese della tolleranza al contrario. Dove i fascisti fanno i fascisti restando quasi sempre impuniti e la DIGOS identifica un loggionista della Scala che grida ‘Viva l’Italia antifascista’. In un cortocircuito diffuso, l’Italia in camicia nera dei saluti romani sfacciati – per Acca Larenzia a Roma, per Sergio Ramelli a Milano – si fa sbertucciare dalla Germania, un Paese che ha fatto i conti col suo passato e che blocca quel passato ogni volta che prova a rialzare la testa.




Esempi.

 

Il 28 settembre 2023 all’Oktoberfest di Monaco di Baviera due ventiquattrenni vengono arrestati per aver fatto il saluto romano a un tavolo. I due amici, di Isernia e di Matera, si sono filmati a vicenda con lo smartphone e sono stati applauditi dai ragazzi che erano con loro. Scioccati gli altri presenti, soprattutto i tedeschi, che non hanno trovato nulla di divertente nel siparietto. Intervengono prima gli steward e poi la polizia, che li prende in custodia. I due italiani vengono arrestati per utilizzo di simboli di organizzazioni anticostituzionali e vanno a processo.

 

Identificazioni e denunce anche a marzo 2024 quando gli ultrà della Lazio, in trasferta sempre a Monaco di Baviera per la partita Bayern-Lazio, intonano ‘duce, duce, duce’ e altri canti fascisti nella birreria del Putsch hitleriano (8 novembre 1923), un luogo sacro per il nazismo. In Germania forze dell’ordine e magistratura sono inflessibili sul saluto nazista: ritenuto inaccettabile ovunque, e a maggior ragione a Monaco di Baviera, in quella che fu la capitale del nazionalsocialismo. In Italia la tolleranza per le esibizioni fasciste è una piacevole brezza per la Bestia.




La matrice è sempre la stessa.

 

Nessuno, a partire da Giorgia Meloni, pensa minimamente di toccarla. Sembra anzi che la fiamma – emblema di questa matrice – venga continuamente alimentata, rinfocolata a beneficio di elettori che vogliono esattamente questo. Altrimenti forse accuserebbero ‘Giorgia’ di avere tradito, e lei lo ha detto chiaramente, ‘io non tradisco’, ‘noi non tradiremo’. Si riferiva agli italiani, certo. Ma anche a una platea di cittadini ancora legata alla stagione del postfascismo missino.

 

E a quell’elettorato liquido ma comunque attratto dal populismo sovranista del (presunto) ordine e disciplina, un fenomeno politico che può cambiare interpreti, ma che conta sempre su voti certi e abbondanti. Fratelli d’Italia continua a essere pieno di fascisti, postfascisti e neofascisti. Non c’è stata nessuna ripulitura e nessuna operazione di bonifica da parte della leader del partito. Esempi plastici spuntano senza sosta, mentre l’Italia arretra sul terreno dei diritti, delle tutele, della libertà di dissenso, sul lavoro, la difesa dei deboli, l’accoglienza e la solidarietà, l’inclusione, le politiche sociali, la sanità.

 

Il terreno di caccia ideale per la Bestia.

 

(P. Berizzi)








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