mercoledì 2 gennaio 2013
ERACLIO (L'inquisitore di Stato)
Un dialogo in:
arsinoe
......Quali filosofi antichi conosce?
A quella domanda, ma solo a quella, uno dei due (eretici) sembrò palesare
i tratti della paura, più che paura....terrore misto a comprensione.
Quello che io vidi, e che riesco a raccontare in tutta la lenta cerimonia che
si svolgeva all'interno di quel mondo, di quell'Universo...., non fu solo orro-
re e terrore, ma qualcosa d'altro, di più profondo, di più antico.
(Come quella vecchia moneta lanciata nello stagno della storia, Introduzione
di questa opera....).
Un conflitto tacito, silenzioso, fra due strati di terra geologica che si incontra-
no dopo secoli, e nella calma apparente gli elementi al pari della verità non
detta del nostro mondo, si confrontano e misurano nelle proporzioni del loro
divenire. Cosa sarebbe stato dopo, solo la verità taciuta della storia può
raccontarlo.
Solo quella verità non del tutto spiegata, raccontata e troppo spesso divulga-
ta.
Io fui testimone silenzioso di questo possente sisma, di questo vulcano, di
questa terra, che attraverso gli elementi manifesta il suo bisogno di verità,
attraverso la costanza del divenire.
Io fui partecipe di una verità taciuta, e di un assolutismo che pretendeva
cancellarla.
Io ho visto la lava del vulcano, il lento scorrere del torrente di fuoco e ghiac-
cio, e la terra....dopo, aprirsi.
Io in quell'improvviso silenzio partecipai all'illusione della morte annunciata
ma ancora non pronunziata sul volto dell'inquisitore. Raccontare la frattura
che si preannunciava in quella Chiesa, non è la Storia, ma un evento della
nostra geografia.
Io in tutta la mia umiltà così ho percepito e visto. Perché non ho mai varcato
il sottile confine fra ciò che va detto e ciò che va taciuto. Questa differenza,
questo abito, questo costume da pagliaccio che indosso, ancora mi danno
l'onore della vita, se questa può dirsi vita.
Prego anch'io chino di fronte alla croce, e quando l'alto prelato incrocio,
nel silenzio di qualsiasi sermone, abbasso gli occhi e prego per la mia vita
e quella del prossimo. Nel lento scorrere della litania, della preghiera,
recito la mia parte, la mia ora, il mio giorno, nel divenire del tempo. Nel
lento camminare del giardino chino ammiro la vita della foglia che trasuda
la sua umidità invernale.
Prego lei, fra la sua e la mia litania.
In questo girare in tondo, qualche libro abbiamo foderato nel segreto della
biblioteca e abbiamo nascosto agli sguardi attenti dei fratelli. Così ora anche
di giorno riesco a leggere qualcosa della radice della pianta, mia sola compa-
gna, mia sola amica, mia sola anima di questo Inverno che si preannuncia se-
vero.
Ma i primi freddi alle ossa sono il nulla di fronte ai brividi della caverna che
scende fino alle volte insperate di panorami di altri secoli.
Quello di cui io ora sono testimone, e di cui spero mai mortificare il mio umi-
le spirito dentro queste carni già sofferenti, è la costanza dell'Assoluto divenuto
parola attraverso il mio confratello - Eraclio -.
Nel lento deambulare e girare attorno noi stessi abbiamo imparato che la sua
parola è più della nostra vita, che il suo dire è più della luce che riusciamo a
vedere ogni mattina, che il suo pensiero è un conversare con Dio, a cui noi
ancora non ci è...e mai sarà concesso.
Il tramite del nostro parlare con la Croce, il miracolo della vita, il nostro man-
giare e sopravvivere è opera di nostro fratello - Eraclio -.
Tutto, con il tempo, abbiamo imparato da lui dipendere.
Nel segreto della nostra cella vediamo e preghiamo nostro fratello - Eraclio -.
L'uomo che ora io vedo aver preso voce da quella fitta boscaglia dietro l'alta-
re...e parlare....domandare.
E con lui i figli d'altare, a cui spesso confuso nel fitto cerimoniale attorno ad
esso, non riusciamo più a dar un nome.
Con lui i suoi fratelli e sudditi, i dottori da cui - Eraclio - insegna e apprende,
nel lento fluire del tempo, immobile, di fronte all'assoluto della verità.
Con lui Vescovi e Cardinali, i medici della nostra anima, dei nostri dolori,
custodi delle nostre celle, padroni dei nostri pensieri, seminatori dei nostri so-
gni, raccoglitori della nostra semenza.
Con lui i dottori dello spirito e del corpo.
Curatori dell'anima, custodi di ogni verità divenuta ...eresia, ....poi lenta ago-
nia...e un qualcosa che nominano pazzia.
Con lui il lento trasmutare della storia, il lento progredire della scienza Teologica
in seno alla verità scientifica. La stagione di una verità scorre attraverso la mu-
tabilità apparente, apparenza del tempo.
Questo deambulare in circolo in un deserto giardino.
Per questa nazione.
Per questa cultura.
Per questa civiltà.
Questo il nostro camminare, pregare....e troppo spesso sperare.
Nella solitaria quiete dell'Eremo le stagioni sono ricorrenze da calendario.
Sono Messe da celebrare, penitenze da rispettare, comunioni per i nostri visita
tori di tutto il feudo, Pellegrini li nominano. Feudo di cui disconosciamo persino
i confini.
Sono cornici ed usanze, litanie ripetute fino allo stordimento.
Così incorniciamo lo scorrere lento del tempo e con esso la vita che spesso ve-
diamo e ammiriamo da lontano.
La vita, per noi dissidenti cultori della biblioteca, si nasconde in cornici di quadri
ammirati da lontano: è profumo di Primavera, spensieratezza di neve, freddo e
gelo, e poi i colori assordanti dell'Estate......
(Giuliano Lazzari, Dialoghi con Pietro Autier)
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