Prosegue in:
Dopo cosa rimarrà? (2)
L'inizio di una nuova fine:
Nulla che possa essere narrato come la storia del vero Creato
Con le mani unte e il ventre pieno, ci ritroviamo sotto le tende; i
primus fanno le fusa; le pipe sono accese. Mentre si pulisce i denti, uno
racconta una storia; il mio vicino, bocconi sul suo sacco, rutta e vomita; ha
le labbra ancora ricoperte di rimasugli di grasso. L’indomani uno dei
cacciatori che, come tutti gli Esquimesi, sogna molto, mi racconta più o meno
questo: “Ho visto questa notte una larga sala chiara, completamente ghiacciata,
donne che andavano e venivano con delle specie di calze che aderivano alla
pelle. Al mio passaggio fanno un leggero cenno di saluto con la testa,
accompagnato da un sorriso. Estasiato, le guardo passare una ad una davanti a
me. Al momento in cui una di loro, tendendo le braccia, sembra invitarmi a seguirla,
una voce tonante mi chiama:
- ‘Esquimese! Ah! ah! ah! ah!….
sempre con le mani in tasca.
- Esquimese, Ah! ah! ah!…come puzzi.
- Non sai cos’è questo… Come, non lo sai? E’ il grande spaccio
Qraslunaq…. Estremamente importante; niente a che vedere con l’emporio di
Siorapaluk. Boutiken-Kasik! Un piccolissimo spaccio da niente… Qui, ma guardati
intorno’.
Le donne, in grembiule bianco come le infermiere dell’ospedale di
Thule, stanno appoggiate con i gomiti su tavoli puliti. Tutto è ricco e
brillante… Cose appese e ammucchiate da tutte le parti.
- Ne vuoi?
Mi offre la voce…. Tendo gioiosamente le braccia per ricevere le
scatole di conserva:
- Grazie, dico a una…
- Molte grazie, dico a quest’altra…
- E’ molto gentile da parte vostra…
Confuso guadagno l’uscita. Dietro i me ridacchiano, mi volto e
improvvisamente le scatole vengono giù; ce ne sono da tutte le parti…. Ne sono
coperto…. Le infermiere mi segnano a dito con mille risatelle!…. I ho tre occhi
e enormi orecchie di lepre. Il sangue scorre da una profonda ferita alla mano
destra. Non ho più le gambe; Esquimese grottesco, un Esquimese infermo,
Esquimese kiffak, è finita. Pignartoq tamaq!”.
Prendo spunto dalle belle fotografie dell’artista francese Francois Ronsiaux che
delineano un’ipotesi non del tutto improbabile del nostro comune futuro (dopo
che i ghiacci si saranno sciolti…) per riproporle su questo blog e per
accompagnarle con un incubo condiviso, prima
che la stessa… nube ci avrà
seppelliti in ugual mare, e dopo,
quando il mondo sprofonderà non solo grazie alla Guerra, ma anche per ugual non
curanza che l’uomo destina all’ambiente da cui è nato e si è evoluto. Incubo o sogno, delirio letterario di
rara bellezza e delirio fotografico di rara efficacia e creatività,
fantascienza e scenari apocalittici di probabili e non lontane realtà, ‘depressioni’ nel profondo mare di
una futura deriva…… ambientale….
… “La prima cosa che riuscì a colpire la mia mente annebbiata fu il
fatto che, sebbene la Tempesta si stesse calmando, i ghiacci apparivano adesso
in uno stato di straordinaria agitazione. Il mio sguardo spaziava ora per una
pianura stesa fino ad un orizzonte ondeggiante, dappertutto interrotta da
creste, massi di ghiaccio e meteoriti scintillanti (ed ora lo posso dire nitidamente, strane guglie, cavi
contorti, prue di strane navi spuntavano dal ghiaccio, punte di piramidi di
acciaio.. non avevo visto mai nulla di simile…) che coprivano di orpelli il
bianco accecante, alcune grosse come macigni (ma che contrastavano in maniera
delirante quanto sporgeva da quella distesa di bianco), ma la maggior parte
piccole; e tutta questa vasta pianura era in quel momento intenta a riordinarsi
in uno sconfinato dramma di devastazione….
…. I ghiacci si ritiravano eppure si estendevano con ugual singolarità
nell’opposto dei due eventi, lasciando aperti abissi, come facendosi muti
inchini cortesi, per poi subito ricongiungersi e rialzarsi in picchi
appassionati; altrove lottavano come le Simplegadi, agilmente incostanti come
le onde del mare, stritolandosi a vicenda, ammucchiandosi, riversandosi in
cascate di ghiaccio mentre qua e là vedevo le meteoriti saltare
spasmodicamente, ridotte in polvere e in mucchi, come geyser…., o come le
schiume che ribollono saltellanti sulla scia di una nave a vapore; tutta l’aria
era come invasa da un fracasso simile a mille trombe….
…. E adesso volavo in preda a una demente ilarità, perché una follia,
una vertigine si erano impossessate di me, finché alla fine, come sollevato
nell’aria, pazzamente ballando correvo, turbinavo, stringendo i denti che
chiacchieravano e farfugliavano per conto loro, con uno sguardo lunatico:
perché una paura, inoltre – la più fredda, la più potente – aveva posato la sua
mano di ghiaccio sulla mia anima; perché ero solo in quei luoghi, di fronte
all’Ineffabile; ma ciònonostante, con borbogliante leggerezza, con una gioia
fatale, con cieca ilarità, volavo e turbinavo senza sosta…..
Immagino che nemmeno in cent’anni riuscirei a capire ed analizzare
perché ero svenuto: ma la mia coscienza serba ancora l’impressione di quel
brivido orrendo. Non vedevo nulla con chiarezza, perché il mio essere vacillava
e traballava ebbro come una trottola che lotta disperatamente con la morte un
attimo prima di fermarsi, e barcolla nella dissoluzione della caduta; ma nel
momento stesso in cui la mia vista cadde su quello che mi stava davanti – un
lago a forma di cerchio perfetto – sentii, capii fino in fondo, che lì si
trovava il santuario, lì il segreto eterno di questa Terra, da quando era stata
creata, ed era una cocente vergogna che un verme vi posasse sopra gli occhi…
Questo lago, penso, deve essere largo un miglio all’incirca, e nel mezzo si
alza una colonna di ghiaccio, bassa e massiccia; ed ebbi l’impressione, o
sogno, o fantasia, o allucinazione, che intorno al ghiaccio della colonna c’era
un nome scritto in caratteri che non si potranno mai leggere; e sotto il nome
una lunga data (non so cosa è ed era quello che sporge un obelisco di rara
bellezza che contrasta con il perenne ghiaccio paura e follia assieme
regnano…)…. E sempre – un giorno dopo l’altro – incombeva greve sul cielo a
sudest quella strana zona di vapore purpureo, che mandava in alto le sue lingue
come il fumo dell’incendio del mondo; e ogni giorno sembrava farsi più larga e
incombente….
… A cento metri circa dalla costa, in un luogo coperto da un leggero
strato di musco e di terra, mi fabbricai un rifugio eschimese, semisotterraneo,
per passarvi la notte polare… Passai
tutti quei mesi piegato sotto il peso di un pensiero: una domanda, come
il lento roteare di un ingranaggio, si ripeteva nella mia anima martoriata e
provata, malinconica e depressa: perché dappertutto intorno a me, giacevano
quegli orsi, trichechi, volpi, migliaia e migliaia di alghe, di gabbiani artici,
di civette della neve, di endroni, di gabbiani comuni… tutti morti?
(Prosegue...)
(Prosegue...)
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