CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 21 maggio 2017

AFFARI CON I F.lli COMPA' & ALTRE STORIE...


















Prosegue in:

Più o meno negli stessi anni... (2)


















Il gorilla ammaestrato
ha vegliato le porte della notte
l’attesa del numero a conferma
della sorte
il destino gli è nemico!

Il circo ha barattato
una cassa di fuochi d’artificio
per una nuova acrobazia
e più degna tranquillità rappresentata
allo show della vita
per le bestie dell’intera fattoria
con vista su un circo…
nominato vita…

Il numero lo stesso
da quando Bisonte impazzito
mima il proprio ed altrui circo:
tutti lo conoscono come il Bufalo
di un antico sogno

Ora scortato da strani animali
il numero uguale
da quando il mago si libera
delle catene
… e il Bufalo ringrazia il pubblico…

Il gorilla ha vegliato
fuori e dentro la gabbia
le porte onde il tutto creato:
suoi ed altrui desideri;
quando il giocoliere comanda
lui fa un inchino…
a vegliare Pensiero & Dio…

Il suo numero
è un amplesso strano…
mal riuscito:
testimoniare l’evoluzione
che vuol compiere l’acrobata
del trampolino
e vegliare ogni possibile
e avvenuto naufragio
fuori e dentro il capannone
per ogni sparo di cannone…

Ed ove la donna
al numero comandato
lo guarda e lo ammira
poi accende la miccia
e vola alta verso…
una nuova acrobazia

Il suo numero il più difficile:
giacché con cura preparato
in nome e per conto del fato
che attento studia ogni particolare
per nulla abdicare al caso…

Il suo numero il più difficile
dell’intera compagnia:
si lancia verso una strana mèta
sfidare sorte e gravità
a dispetto della miccia
se pur corta
allontana e accorcia
ogni possibile misura…

Quando il pubblico l’ammira
è alta nell’acrobazia
narra l’uomo del circo
e il numero con gli indiani
conferma…. la riuscita
e in sol tributo
la gente accorsa
…applaude…
non scorgendo la miccia…

L’uomo del circo
confuso nella fiera sicurezza
comanda l’antica fattoria
donde il tutto evoluto:
il suo numero è fuoco che scintilla
e la sua parola allieta
la sofferta maggioranza
…in trepida attesa!

Il gorilla lo veglia
e lo scorta
Fra i due regna confusa paura
mista a reciproca diffidenza
affinché la cassa dove seduto
sia colma del proprio intuito
…evoluto…

Mangiafuoco sputa acqua
su qualcuno del pubblico
hanno scoperto il vecchio trucco
la miccia bruciata prima
del numero previsto…

Ed il gorilla scalcia un verso
e comanda un nuovo trucco

Mangiafuoco…
annuncia acqua verso il pubblico
per allietare secolare acrobazia
al circo della vita…

Tartarino anche lui
Fa il proprio numero
ad allietare a mo(n)do suo
medesima cassa in trepida
attesa:
dicono non sia approdata al porto
comandata e ordinata

Lui morirà per ugual miccia
per medesimo artificio
un po’ più lungo
fedele alla magnifica storia
ancora non esplosa…

L’Europa è cosa seria!

Il gorilla non ancora
approdato al porto per
un ultimo addio
per un solerte inchino
la monarchia fu suo martirio
e Tartarino lo guarda avvilito
lui è figlio di un altro Dio…
un po’ più evoluto
…almeno così dicono…

(Il Poeta [è] impazzito!)







Verso la metà degli anni trenta dell’Ottocento, una categoria sconosciuta di uomini bianchi portò nuovi prodotti commerciali e nuove opportunità. La gente di Victorio volle a tutti i costi ricavarne un vantaggio. Benjamin Davis Wilson fu il perfetto rappresentante di questi americani. Inizialmente ottenne una licenza dal governo messicano per cacciare i castori, ma scoprì presto che il commercio era più redditizio delle pellicce.
Dopo il 1821 i bianchi avevano iniziato a migrare verso il Texas e, come le haciendas già presenti e le comunità minerarie nel nord del Messico, le fattorie e i ranch di nuovo insediamento avevano bisogno di bestiame e di manodopera. Wilson capì anche che gli Apache e i Comanche volevano fucili e munizioni di fabbricazione americana. E così iniziarono gli scambi. Quando, per esempio, il governo di Sonora si impegnò per cercare di impedire che il traffico dei contrabbandieri d’armi americani prendesse piede, gli Indiani continuarono a fare razzie nel Sonora ma liberandosi delle merci saccheggiate nel Chihuahua o nel New Mexico.




Questo commercio in espansione fece emergere la tendenza dei leader apache di negoziare parziali trattati di pace con città, haciendas o persone. Non che gli Indiani riuscissero a comprendere il concetto di realtà politiche più ampie, come a volte è stato sostenuto. Questi trattati erano utili soprattutto come accordi commerciali che gli Apache rispettavano per il tempo sufficiente a piazzare il loro bottino e che poi rompevano quando qualcuno offriva loro condizioni migliori.  
I messicani lo capirono, gli americani no!
Un trattato firmato il 29 agosto 1832 da 29 uomini tra capi apache e rappresentanti del Chihuahua evitava accuratamente qualsiasi menzione al Sonora. Come previsto, i funzionari chiusero un occhio quando i fratelli Compà depredarono beni nel Sonora che poi distribuirono a compratori in attesa nel Chihuahua o a nord del Rio grande. Certa merce arrivò in territorio americano addirittura attraverso Fort Bent, nel Colorado sud-orientale. Nel periodo in cui Victorio era immerso nel suo addestramento di dihoke, aveva già visto spesso i gruppi di guerrieri chihenne radunarsi per preparare un saccheggio a cantare prima di tutto per ore al ritmo dell’esadedene, il tamburo, fino a ricoprirne il suono martellante con le loro voci.




E’ molto probabile che almeno una delle missioni da novizio di Victorio lo abbia portato nel Sonora a fare una razzia e a scambiare i beni rubati per ritornare con armi, pezze di cotone o tessuti di lana, coltelli d’acciaio, vasellame metallico e molti altri prodotti americani ben realizzati. A culmine di questi traffici, il governo del Sonora ripristinò una nuova versione della scellerata politica della taglia sulle orecchie istituita alla fine del secolo XVIII. Nel corso del tempo, ovviamente, le taglie sugli scalpi che da quella politica derivava generarono un odio fortissimo nei popoli indiani del Sudovest. Se questo non ridimensionò i traffici illegali, provocò però atti di estrema crudeltà da entrambe le parti per il resto del secolo XIX.
Le gesta di John James Johnson, del Kentucky, illustrano bene la ferocia che quella politica incoraggiò. Johnson, come Benjamin Wilson, arrivò in Messico cercando for-tuna nel settore delle pellicce. Come richiesto, si dichiarò cittadino del Sonora, teoricamente si convertì al cattolicesimo e partì per arricchirsi. Come Wilson, si accorse rapidamente che il commercio era molto più redditizio. Due dei suoi soci commerciali preferiti erano capi nednhi, Juan Diego e Juan José Compà, che avevano molti contatti con i Chihenne. Insieme a Johnson, nel 1837, viaggiavano due americani, James, o Santiago, Kirker e Charles ‘il re’ Woosley, nomi che più tardi diventeranno sinonimi di cacciatori di scalpi.




Il 20 maggio 1837, Johnson si mise in contatto per la prima volta con i fratelli Compà, che si trovavano accampati vicino alle miniere di rame, probabilmente insieme a Man-gas Coloradas. Come era consueto, le due parti si riunirono e mercanteg-giarono per parecchi giorni. Né Juan né Juan Diego avevano alcuna ragione per dubitare di quegli americani più del solito. Scambiarono il loro bestiame e i loro prigionieri con coltelli e altri strumenti, ma era la riserva di fucili americani che i due fratelli volevano davvero e che li spinse a continuare i traffici…
Un uomo che Victorio arrivò a odiare fu James Kirker, un altro cacciatore convertito al commercio. Nel 1821, Kirker lavorava per McKnight & Brady, la più fiorente attività di commercio di Saint Louis. Quella primavera, Kirker e John McKnight ammassarono nei loro carri i prodotti da smerciare e partirono per il territorio del New Mexico nella speranza di poter approfittare dell’indipendenza del Messico e della prolungata penuria di beni tra gli abitanti di Santa Fe. Lungo il cammino, i Comanche intercettarono i carri e saccheggiarono gran parte della mercanzia e, più avanti, i soldati messicani li fermarono e li minacciarono di im-prigionarli. Kirker e McKnight errarono fino a Santa Fe con i pochi beni rimasti. Erano il terzo gruppo di venditori americani che arrivava e se fossero riusciti a raggiungere la città con la merce intatta avrebbero fatto una fortuna. Kirker intuì comunque le potenzialità del territorio messicano. Lasciò Saint Louis nel 1822 e andò all’Ovest, mantenendo però forti legami con il Missouri. Avendo ottenuto dal nuovo governo messicano il permesso di cacciare i castori, usò le carovane che entravano e uscivano da quel territorio per portare le sue pellicce a Saint Louis.
Intanto iniziò a scavare attorno a Santa Rita e dal 1828 usò il rame anche come merce di scambio per procurarsi materiali per l’estrazione. Poi acquistò una tenuta vicino   a Santa Rita e nel 1834 ne fece il suo quartiere generale per trafficare illecitamente con gli Apache e i Comanche. Offriva pistole, polvere da sparo e munizioni in scambio di cavalli e muli rubati che poi rivendeva alle carovane dirette a sud, in Messico, o a nord, verso Santa Fe. Dopo il 1849, i convogli sarebbero andati anche in California e quasi tutti con un disperato bisogno di bestiame.

(K. P. Chamberlain, Victorio)

(Prosegue...)















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