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...Era
tutto preso da queste fantasticherie quando Sancio gli disse:
‘Non
è strano, signore, che io pur abbia ancora davanti agli occhi lo smisurato
naso, l'enorme naso del mio compare Maso Cecial?’…
‘Ma
credi tu, Sancio, per avventura, che il Cavaliere dagli Specchi fosse davvero
il baccelliere Carrasco, e suo scudiero Maso Cecial tuo compare?’…
‘Non
so che mi dire quanto a cotesto’ rispose
Sancio; ‘so soltanto che i contrassegni che mi dette della mia casa, della moglie
e dei figlioli non me li avrebbe potuti dare altro che lui appunto. Il viso
poi, tolto via il naso, era quello stesso di Maso Cecial, come ben gliel'ho io
visto tantissime volte nel mio villaggio non ché in casa sua che è a uscio a
uscio proprio con la mia. Anche il suono della voce era tutt'uno’.
‘Ragioniamo
un po', Sancio’ soggiunse don Chisciotte. ‘Senti: come fare a supporre che il
baccelliere Sansone Carrasco venisse quale cavaliere errante, armato di armi
offensive e difensive, a combattere con me? Forse che ci ho mai avuto che dire?
Gli ho mai io dato motivo d'averla con me? Sono io suo rivale o fa egli
professione delle armi che possa invidiare la fama che con esse io ho conquistato?’…
‘Eppure,
che dire, signore’ obiettò Sancio ‘del
fatto che quel cavaliere, sia chi si sia, rassomigliava tanto al baccelliere Carrasco
e il suo scudiero a Maso Cecial mio compare? E se ciò è incanto, come
vossignoria ha detto, non c'erano due altri nel mondo a cui potessero
rassomigliare?
‘È
tutto artificio e macchinazione’ rispose don Chisciotte ‘dei
maligni stregoni che mi perseguitano; i quali, prevedendo che io dovevo
rimanere vincitore nella contesa, avevano disposto già che il cavaliere vinto
sembrasse avere il viso del mio amico baccelliere, perché l'amicizia che ho per
lui si frapponesse tra il filo della mia spada e la rigorosità del mio braccio,
e moderasse la giusta ira dell'animo mio, cosicché restasse in vita colui che con
sotterfugi e con falsità cercava toglierla a me. A prova di ciò, tu già sai, o
Sancio, per certa esperienza che non ti può mentire né trarre in inganno,
quanto sia facile agli incantatori cambiare dei visi in altri visi, facendo una
cosa brutta di ciò che è bello, e una bella di ciò che è brutto, poiché non son
due giorni che tu vedesti proprio con i tuoi occhi la bellezza e la leggiadria
della incomparabile Dulcinea, in tutta la sua perfezione e naturale armonia, mentre
io la vidi in tutta la bruttezza e la volgarità di una zotica contadina con gli
occhi malati e la bocca che le puzzava. Inoltre, che il malvagio incantatore il
quale ardì operare così tristo cambiamento, abbia operato quello di Sansone
Carrasco e del tuo compare per togliermi dalle mani la gloria della vittoria,
non fa meraviglia. Tuttavia però mi consolo, perché, insomma, io sono rimasto
vincitore del mio nemico qualunque fosse la figura che egli aveva preso’.
‘Dio
sa la verità di tutto’ concluse Sancio.
E
siccome egli sapeva che la trasformazione di Dulcinea era stata macchinazione e
raggiro suo, non lo appagavano le fantasticherie del suo padrone; non volle
però replicare per non avere a dire qualche parola che rivelasse lo sua
marioleria....
Erano
in questi ragionamenti quando furono raggiunti da un tale che dietro a loro,
per la stessa via, cavalcava una bellissima cavalla storna, vestito di un
gabbano di fino panno verde con gheroni di velluto lionato e in capo un
berretto alla cacciatora dello stesso velluto. I finimenti della cavalla erano
da campagna e da cavalcar corto, di colore paonazzo nonché verdi anch'essi.
Portava una scimitarra moresca pendente da un largo budriere verde e oro, e
come questo erano lavorati i borzacchini. Gli sproni non erano dorati, ma
verniciati di verde, così lucidi e levigati che, accompagnandosi con tutto il
vestito, facevano miglior effetto che se fossero stati d'oro fino. Come fu loro
d'appresso il viaggiatore, li salutò cortesemente e, spronando la cavalla,
stava per tirare di lungo, ma don Chisciotte gli disse:
‘Gentile
signore, se vossignoria va per il nostro stesso cammino e se non le preme di
andare in fretta, sarebbe per me gran mercé il potere andare di conserva’.
‘In
verità’ rispose quel dalla cavalla ‘non intendevo tirare così di lungo se non
fosse il timore che il cavallo, stando insieme con la mia cavalla, s'avesse a
imbizzire’…
‘Ben può, signore’ rispose a questo punto
Sancio, ben può trattenere le redini alla sua cavalla, poiché il nostro è il
cavallo più virtuoso e morigerato del mondo. In circostanze simili non ha mai
commesso alcun'azionaccia; una volta sola che scappucciò un po', la scontammo
per lui il mio signore ed io a sette doppi. Torno a dire che vossignoria può,
se vuole, fermarsi, perché, anche a dargliela come cosa appetitosa, il cavallo
per certo non la guarda neppure’.
Trattenne
la briglia il viaggiatore, meravigliato dell'assetto e del viso di don
Chisciotte, il quale era senza la celata che Sancio portava come una valigia
nell'arcione posteriore della bardella dell'asino. E se quel dal Verde Gabbano
guardava insistentemente don Chisciotte, molto di più don Chisciotte guardava
lui che gli parve persona di merito.
Mostrava
avere un cinquant'anni d'età; capelli un po' brizzolati, naso aquilino,
l'aspetto fra gioviale e serio; in una parola, al vestire e al bell'assetto
faceva capire di essere una persona di alte qualità. Il giudizio ch'egli si
fece di don Chisciotte della Mancia fu che una simile specie e figura di uomo non
l'aveva vista mai: gli destarono meraviglia la lunghezza del collo, l'alta
statura, la magrezza e il giallore del viso, le armi,l'atteggiamento, la sua
gravità: una figura e un ritratto che in quella regione non s'eran visti di
sicuro da secoli e secoli.
Don
Chisciotte ben notò l'attenzione con cui il viaggiante lo guardava e lesse in
quello stupore la sua curiosità di sapere; e poiché era tanto cortese e tanto
propenso a compiacere tutti, prima che quegli gli domandasse nulla, lo prevenne
dicendogli:
‘Se
quest'aspetto che vossignoria ha notato in me le avesse, per essere sì strano e
sì fuori dell'ordinario, destato meraviglia non me ne maraviglierei già io; ma
cesserà di esserne sorpresa quando io le dica, come le dico, che sono cavaliere
“Di quei che il popol dice/ Che a lor venture van”. Sono uscito dalla mia
patria, ho impegnato i miei averi, ho lasciato ogni mia agiatezza e mi son dato
in braccio alla Fortuna perché mi menasse dove più le piacesse. Ho voluto
richiamare in vita la già morta cavalleria errante ed è ormai più e più tempo
che, inciampando qui, cadendo là, venendo giù a capofitto qua e rialzandomi costà,
ho adempiuto gran parte del mio desiderio, soccorrendo vedove, proteggendo
donzelle e prestando assistenza a maritate, a orfani e a pupilli; proprio e
naturale compito questo dei cavalieri erranti: cosicché, per le mie valorose,
numerose e cristiane imprese ho meritato di andar già per le stampe fra tutte o
quasi tutte le nazioni del mondo. Trentamila volumi sono stati stampati della
mia storia ed è ben sulla via di essere stampata trentamila migliaia di volte
se il cielo non ci mette riparo. Insomma, per dirla in poche parole, o meglio,
in una parola sola, sappiate che io sono don Chisciotte della Mancia, per altro
nome chiamato il Cavaliere dalla Triste Figura. E avvegna ché il lodarsi per sé
stesso sia un abbassarsi, mi è pur giocoforza talvolta fare io le mie lodi, ben
inteso quando non si trovi presente chi me le faccia. Per il che, signor
gentiluomo, né questo cavallo, né questa lancia, né questo scudo e scudiero, né
tutte insieme queste armi, né il giallore della mia faccia, né la mia sparuta
magrezza vi potrà d'ora in avanti suscitar maraviglia, avendo ormai saputo chi
sono e quale è la mia professione’.
Tacque,
ciò detto, don Chisciotte, e colui dal Verde Gabbano, poiché indugiava a
rispondergli si sarebbe detto che non trovasse le parole. Pur dopo una lunga
pausa gli disse:
‘Ben
vi apponeste, signor cavaliere, quando dal mio stupore comprendeste la mia
curiosità; non siete però riuscito a far cessare la maraviglia che in me si
produce alla vostra vista; ché, sebbene, come voi dite, signore, il sapere
ormai chi siete me l'avrebbe potuta far cessare, così non è stato; anzi, ora
che lo so, più rimango stupito e maravigliato. Com'è possibile che ci siano
oggi cavalieri erranti nel mondo e che ci siano storie stampate di veritiere gesta
cavalleresche? Non mi posso convincere che ci sia oggi sulla terra chi venga in
aiuto di vedove, protegga donzelle, o difenda la reputazione di spose e
soccorra orfani; né l'avrei creduto se in vossignoria non l'avessi veduto con
gli occhi miei. Sia benedetto il cielo! Almeno ora con cotesta storia, che
vossignoria dice essere stata stampata, delle sue alte e veridiche gesta
cavalleresche, saranno state poste in dimenticanza quelle innumerevoli dei
fantastici cavalieri erranti, delle quali era pieno il mondo, con sì grave danno
dei buoni costumi e con tanto pregiudizio e discredito delle storie edificanti’....
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