Precedenti capitoli:
& la cultura del branco (24)
Prosegue verso l'Abisso [26]
& nel Limite
.....della vita (27/8)
Vi
ricordate, non è vero, che vi ho parlato di quella grande e nobile società dei
morti, che non permette a nessuna persona sciocca o volgare di entrarci?
Che cosa
credete che volessi dire con ‘volgarità’?
Che cosa
intendete voi per ‘volgarità’?
Sarebbe un
argomento di utile riflessione, ma, per farla breve, vi dirò che l’essenza di
ogni volgarità sta nella totale mancanza di sensibilità. Non mi riferisco a
quella volgarità semplice e innocente che altro non è che una certa ruvidezza
indisciplinata dell’Anima e del corpo, ma parlo della vera volgarità, quella
innata, che rivela una insensibilità terribile. E, se spinta all’estremo, può
diventare capace di ogni tipo di azione e misfatto, e perfino di crimine, è
senza paura, senza piacere, senza orrore, senza pietà.
Gli uomini
diventano volgari perché la loro mano è rude, il loro cuore morto, la loro
inclinazione malata e la loro coscienza indurita; e diventano sempre più
volgari nella misura in cui non sono in grado di dimostrare partecipazione,
comprensione, non sanno dimostrare tutto ciò che, con un termine comune ma
preciso, può essere chiamato ‘tatto’ del corpo e dell’animo.
Quella
finezza che distingue la mimosa tra gli alberi, quella grazia e pienezza di
sentimento che va oltre la Ragione, e che guida
e onora ed in qual tempo eleva la Ragione stessa.
La Ragione
ci guida ad individuare ciò che è vero, ma è soltanto la passione, donata da
Dio agli uomini che può farci riconoscere ciò che Dio ha reso buono.
Uniamoci
quindi a quella grande Società dei morti, non solo per sapere da loro ciò che è
vero, ma soprattutto per sentire con loro ciò che è giusto.
Tuttavia
per sentire questo insieme a loro, dobbiamo diventare come loro, ma il nostro
cambiamento implica fatica e impegno.
(J. Ruskin)
Quando, nell’ottobre 1913, ebbi la visione dell’alluvione, mi trovavo in un periodo per me importante sul piano personale. Allora, all’età di quarant’anni, avevo ottenuto tutto ciò che mi ero augurato. Avevo raggiunto fama, potere, ricchezza, sapere e ogni felicità umana. Cessò dunque in me il desiderio di accrescere ancora quei beni, mi venne a mancare il desiderio e fui colmo d’orrore. La visione dell’alluvione mi sopraffece e percepii lo spirito del profondo, senza tuttavia comprenderlo. Esso però mi forzò facendomi provare un insopportabile, intimo struggimento, e io dissi:
‘Anima mia,
dove sei?
Mi senti?
Io parlo,
ti chiamo...
Ci sei?
Sono
tornato, sono di nuovo qui. Ho scosso dai miei calzari la polvere di ogni paese
e sono venuto da te, sono a te vicino; dopo lunghi anni di lunghe
peregrinazioni sono ritornato da te. Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho
visto, vissuto, assorbito in me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il
rumore della vita e del mondo? Ma una cosa devi sapere: una cosa ho imparato,
ossia che questa vita va vissuta.
Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che noi chiamiamo divino. Non c’è altra via. Ogni altra strada è sbagliata. Ho trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e purificato.
Mi conosci
ancora?
Quanto a
lungo è durata la separazione! Tutto è così mutato. E come ti ho trovata? Com’è
stato bizzarro il mio viaggio! Che parole dovrei usare per descrivere per quali
tortuosi sentieri una buona stella mi ha guidato fino a te? Dammi la mano,
anima mia quasi dimenticata. Che immensa gioia rivederti, o anima per tanto
tempo disconosciuta! La vita mi ha riportato a te. Diciamo grazie alla vita
perché ho vissuto, per tutte le ore serene e per quelle tristi, per ogni gioia
e ogni dolore. Anima mia, il mio viaggio deve proseguire insieme a te. Con te
voglio andare ed elevarmi alla mia solitudine’.
Questo mi
costrinse a dire lo spirito del profondo e al tempo stesso a viverlo contro la
mia stessa volontà, perché non me l’aspettavo. In quel periodo ero ancora
totalmente prigioniero dello spirito di questo tempo e nutrivo altri pensieri
riguardo all’anima umana. Pensavo e parlavo molto dell’anima, conoscevo tante
parole dotte in proposito, l’avevo giudicata e resa oggetto della scienza.
Credevo che la mia anima potesse essere l’oggetto del mio giudizio e del mio
sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono invece proprio loro gli oggetti
della mia anima. Perciò lo spirito del profondo mi costrinse a parlare
all’anima mia, a rivolgermi a lei come a una creatura vivente, dotata di
esistenza propria. Dovevo acquistare consapevolezza di aver perduto la mia
anima.
Da ciò impariamo in che modo lo spirito del profondo consideri l’anima: la vede come una creatura vivente, dotata di una propria esistenza, e con ciò contraddice lo spirito di questo tempo, per il quale l’anima è una cosa dipendente dall’uomo, che si può giudicare e classificare e di cui possiamo afferrare i confini. Ho dovuto capire che ciò che prima consideravo la mia anima, non era affatto la mia anima, bensì un’inerte costruzione dottrinale. Ho dovuto quindi parlare all’anima come se fosse qualcosa di distante e ignoto, che non esisteva grazie a me, ma grazie alla quale io stesso esistevo.
Giunge al
luogo dell’anima chi distoglie il proprio desiderio dalle cose esteriori. Se
non la trova, viene sopraffatto dall’orrore del vuoto. E, agitando più volte il
suo flagello, l’angoscia lo spronerà a una ricerca disperata e a una cieca
brama delle cose vacue di questo mondo. Diverrà folle per la sua insaziabile
cupidigia e si allontanerà dalla sua anima, per non ritrovarla mai più.
Correrà
dietro a ogni cosa, se ne impadronirà, ma non ritroverà la sua anima, perché
solo dentro di sé la potrebbe trovare. Essa si trovava certo nelle cose e negli
uomini, tuttavia colui che è cieco coglie le cose e gli uomini, ma non la sua
anima nelle cose e negli uomini.
Nulla sa
dell’anima sua.
Come
potrebbe distinguerla dagli uomini e dalle cose?
La potrebbe trovare nel desiderio stesso, ma non negli oggetti del desiderio. Se lui fosse padrone del suo desiderio, e non fosse invece il suo desiderio a impadronirsi di lui, avrebbe toccato con mano la propria anima, perché il suo desiderio ne è immagine ed espressione.
Se
possediamo l’immagine di una cosa, possediamo la metà di quella cosa.
L’immagine
del mondo costituisce la metà del mondo. Chi possiede il mondo, ma non invece
la sua immagine, possiede soltanto la metà del mondo, poiché l’anima sua è
povera e indigente. La ricchezza dell’anima è fatta d’immagini.
Chi
possiede l’immagine del mondo, possiede la metà del mondo, anche se il suo lato
umano è povero e indigente.
Ma la fame
trasforma l’anima in una belva che divora cose che non tollera e da cui resta
avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l’anima, per non allevarvi draghi e
diavoli in cuore.
[……]
La notte seguente l’aria era gremita di voci.
Una voce
tonante urlò: ‘Sto cadendo!’.
Altre
intanto gridavano, confuse ed eccitate:
‘Dove?'.
Cosa vuoi?’.
Devo
affidarmi a questo diavolio? Rabbrividisco. È un abisso spaventoso. Tu vuoi che
mi abbandoni al caso, alla follia del mio lato oscuro? Dove? Dove? Tu cadi e io
voglio cadere insieme a te, chiunque tu sia.
Allora lo
spirito del profondo mi aprì gli occhi e io vidi le cose più intime, il mondo
multiforme e mutevole della mia anima.
Vedo grigie
pareti di roccia lungo le quali m’inabisso a grande profondità.
Mi trovo davanti a una buia caverna, immerso fino alle caviglie in un nero luridume. Intorno a me aleggiano delle ombre. Sono attanagliato dalla paura, ma so che devo entrare. Striscio attraverso una stretta fenditura nella roccia e giungo in una caverna più interna col fondo ricoperto di acqua nera. Ma dall’altra parte scorgo una pietra che emana una luce rossastra, a cui devo arrivare. Procedo guadando l’acqua melmosa. La caverna è invasa da un mostruoso frastuono di voci bercianti.
Sollevo la
pietra che ricopre una buia apertura nella roccia. Tengo in mano la pietra
guardandomi intorno perplesso. Non voglio dare ascolto alle voci che intendono
distrarmi. Però voglio sapere. Qui c’è qualcosa che vuol farsi sentire.
Appoggio l’orecchio sulla fessura. Odo lo scroscio di fiumi sotterranei. Vedo
la testa insanguinata di un uomo trascinata dalla corrente scura. Laggiù
galleggia un uomo ferito, un morto ammazzato. Inorridito, resto a fissare a
lungo quell’immagine.
Vedo
passare sul fiume tenebroso un grosso scarabeo nero.
Nel punto più profondo della corrente risplende un sole rossastro, che fende con i suoi raggi l’acqua tenebrosa. Impietrito dal terrore, scorgo poi sulle pareti scure un groviglio di serpenti che fuggono nell’abisso, dove il sole brilla più tenue. Mille serpenti aggrovigliati ricoprono il sole. D’un tratto si fa notte fonda. Un fiotto di sangue, un denso sangue rosso, sprizza verso l’alto, zampilla a lungo e poi si esaurisce.
Resto
paralizzato dallo spavento.
Che cosa ho visto?
[Prosegue con il capitolo quasi al completo]
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