CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

mercoledì 7 settembre 2022

NEGLI STESSI ANNI (ovvero: Alexis De Tocqueville) (17)

 









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Sparta contro Atene







 IN CHE MODO GLI AMERICANI COMBATTONO L’INDIVIDUALISMO MEDIANTE ISTITUZIONI LIBERE 

 

Il dispotismo, che, per sua natura, è diffidente, vede nell’isolamento degli uomini la garanzia più certa della propria durata, e in generale mette ogni cura nel tenerli separati. Non c’è vizio del cuore umano che gli sia gradito quanto l’egoismo: un despota perdona facilmente ai sudditi di non amarlo, ammesso che non si amino tra loro. Non domanda loro di aiutarlo a reggere lo Stato: è abbastanza che non pretendano di governarlo loro. Definisce spiriti turbolenti ed inquieti coloro che pretendono di unire i loro sforzi per creare la prosperità comune e, mutando il senso naturale delle parole, chiama buoni cittadini coloro che si chiudono strettamente in sé stessi.

 

Così i vizi, che il dispotismo origina, sono appunto quelli che l’uguaglianza favorisce. Queste due cose si completano e si appoggiano a vicenda in modo funesto.

 

L’uguaglianza pone gli uomini fianco a fianco, senza un legame comune che li unisca. Il dispotismo innalza barriere tra loro e li divide. Quella li spinge a non pensare ai loro simili e questo fa dell’indifferenza una specie di virtù pubblica.

 

Il dispotismo, già pericoloso in tutti i tempi, è dunque particolarmente temibile nelle epoche democratiche.

 

È facile accorgersi che, in queste stesse epoche, gli uomini hanno uno speciale bisogno della libertà.

 

Quando i cittadini sono obbligati ad occuparsi degli affari pubblici, vengono necessariamente distratti dai loro interessi individuali e strappati di tanto in tanto dalla contemplazione di sé stessi.

 

Dal momento in cui gli affari comuni vengono trattati in comune, ognuno si accorge di non essere così indipendente dai suoi simili, quanto si immaginava prima, e che non può ottenere il loro appoggio, senza prestare loro spesso la propria cooperazione.




Quando chi governa è il pubblico, non c’è uomo che non senta il valore della benevolenza pubblica e non cerchi di accattivarsela attirandosi la stima e l’affetto di coloro in mezzo ai quali deve vivere.

 

Parecchie delle passioni che irrigidiscono e dividono i cuori sono allora obbligate a ritirarsi in fondo all’animo e a nascondervisi. L’orgoglio si dissimula; il disprezzo non osa manifestarsi; l’egoismo ha paura di sé stesso.

 

Poiché sotto un governo libero la maggior parte delle funzioni pubbliche sono elettive, gli uomini che, per l’elevatezza dell’animo o l’inquietudine dei desideri, si sentono alle strette nella vita privata, si rendono conto ogni giorno che non possono disinteressarsi della gente che li circonda.

 

Succede allora che si pensi ai propri simili per ambizione e che si trovi spesso in qualche modo il proprio interesse nel dimenticare sé stessi. So che mi si possono opporre qui tutti gli intrallazzi che una elezione provoca, i mezzi vergognosi di cui i candidati si servono sovente e le calunnie che i loro nemici mettono in giro. Sono occasioni di odio e si ripresentano tanto più spesso, quanto più le elezioni divengono frequenti.

 

Sono grandi mali, indubbiamente, ma passeggeri, mentre i beni, che nascono insieme a questi mali, restano.

 

La voglia di essere eletti può portare sul momento certi uomini a combattersi, però questo stesso desiderio porta alla lunga tutti gli uomini a prestarsi un appoggio reciproco e, se succede che un’elezione divida incidentalmente due amici, il sistema elettorale accosta in maniera stabile una moltitudine di persone, che sarebbero sempre rimaste estranee le une alle altre. La libertà suscita odi particolari, ma il dispotismo determina l’indifferenza generale.




Gli Americani hanno combattuto, con la libertà, l’individualismo originato dall’uguaglianza, e l’hanno vinto.

 

I legislatori americani non hanno ritenuto che, per guarire l’organismo sociale da una malattia così naturale in tempi democratici e nello stesso tempo così funesta, bastasse accordare alla nazione intera una rappresentanza generale di sé stessa: hanno pensato che convenisse, inoltre, dare una vita politica a ogni singola parte del territorio, in modo da moltiplicare all’infinito le occasioni dei cittadini di agire insieme, e da fare sentire costantemente la loro reciproca dipendenza.

 

Era comportarsi saggiamente.

 

Gli affari generali di un paese occupano solo i principali cittadini. Questi non si riuniscono che di tanto in tanto nei medesimi luoghi, e, poiché molto spesso dopo si perdono di vista, non si stabiliscono tra loro legami duraturi. Quando invece si fanno regolare gli affari particolari di una circoscrizione dagli uomini stessi che vi risiedono, vengono ad essere sempre in contatto gli stessi individui i quali sono quindi obbligati a conoscersi e a mostrarsi compiacenti.

 

Difficilmente si strappa un uomo a sé stesso, per interessarlo al destino di tutto lo Stato, perché non può capire bene l’influsso che il destino dello Stato può esercitare sulla propria sorte. Ma basta fare passare una strada lungo il confine della sua proprietà, che egli si accorgerà alla prima occhiata che esiste un rapporto tra questo piccolissimo affare pubblico e i maggiori suoi affari privati, e scoprirà, senza che nessuno glielo insegni, lo stretto legame che lega qui l’interesse particolare all’interesse generale.




Bisogna dunque, per interessare i cittadini al bene pubblico e per far loro vedere il continuo bisogno che essi hanno gli uni degli altri per produrlo, non affidare loro il governo dei grandi affari, ma incaricarli dei piccoli.

 

È possibile, con qualche bel gesto, accattivarsi di colpo il favore di un popolo; ma, per guadagnarsi l’amore e il rispetto della gente che vi circonda, sono necessari una lunga serie di piccoli servizi resi, di buoni uffici oscuri, un atteggiamento costante di benevolenza c una solida reputazione di disinteresse.

 

Le libertà locali, che fan sì che un gran numero di cittadini annettano valore alla devozione dei loro vicini e del loro prossimo, riportano incessantemente gli uomini gli uni verso gli altri e, nonostante gli istinti che li dividono, li obbligano ad aiutarsi a vicenda.

 

Negli Stati Uniti i cittadini più facoltosi stanno molto attenti a non isolarsi dal popolo, anzi cercano sempre di avvicinarglisi, lo ascoltano volentieri, instaurano un colloquio costante. Sanno che i ricchi delle democrazie hanno sempre bisogno dei poveri, e che, nei periodi democratici, ci si accattiva i poveri con i modi, più che con i benefizi. La grandezza stessa dei benefizi, che mette in evidenza la differenza delle condizioni, causa una segreta irritazione in coloro che ne traggono vantaggio; invece la semplicità dei modi ha un fascino pressoché irresistibile: la loro familiarità ha qualcosa di trascinante, la loro stessa rozzezza non sempre dispiace.




Non è che questa verità entri lì per lì nella testa dei ricchi. In generale le resistono, fino a quando dura la rivoluzione democratica, e non l’accettano, neppure subito dopo che questa rivoluzione è compiuta. Acconsentono volentieri a fare del bene al popolo, ma vogliono continuare a tenerlo accuratamente a distanza. Credono che questo sia già sufficiente: si sbagliano. Finirebbero col rovinarsi, senza suscitare calore nel cuore della gente che li circonda. Non è il sacrificio del loro denaro che essa domanda, è quello del loro orgoglio.

 

Si direbbe che negli Stati Uniti tutta l’inventiva si esaurisca nello scoprire sempre nuovi mezzi per accrescere la ricchezza e soddisfare i bisogni del pubblico. Gli abitanti più colti di ciascuna circoscrizione si servono del loro sapere, per scoprire continuamente nuovi segreti atti ad accrescere la prosperità comune; e quando ne hanno trovato qualcuno, si affrettano ad ammannirlo alla folla.

 

Esaminando da vicino i vizi e le debolezze, che spesso manifestano coloro che governano in America, ci si stupisce della prosperità crescente del popolo, e a torto. Non è il magistrato eletto che fa prosperare la democrazia americana, essa prospera perché la magistratura è elettiva.

 

Sarebbe ingiusto credere che il patriottismo degli Americani e lo zelo che ognuno ostenta per il benessere dei concittadini non abbiano niente di reale. Benché sia l’interesse privato a guidare, negli Stati Uniti come altrove, la maggior parte delle azioni umane, non le regola tutte.




Debbo dire che ho spesso visto gli Americani fare veri e propri sacrifici per la cosa pubblica, e ho notato cento volte che, in caso di necessità, non mancano di darsi un fedele reciproco appoggio.

 

Le libere istituzioni, che gli statunitensi posseggono, e i diritti politici, di cui fanno tanto uso, ricordano di continuo e in mille modi a ogni cittadino che egli vive in società. Riportano ogni momento il suo animo verso l’idea che è dovere, quanto interesse degli uomini, rendersi utili ai propri simili; e siccome non vede nessuna ragione particolare di odiarli, giacché non è mai stato né il loro schiavo, né il loro padrone, il suo cuore inclina facilmente alla benevolenza. Si incomincia col preoccuparsi dell’interesse generale per necessità, indi per scelta: quello che era calcolo diviene istinto, e, a forza di lavorare per il bene dei propri concittadini, si contrae infine l’abitudine e la voglia di servirli.

 

Molta gente in Francia considera l’uguaglianza come il primo male e la libertà politica come il secondo. Quando sono obbligati a subire l’una, si sforzano almeno di sottrarsi all’altra. Io invece dico che, per combattere i mali che l’uguaglianza può produrre, c’è un solo rimedio efficace: la libertà politica. 

 

IN CHE MODO GLI AMERICANI COMBATTONO L’INDIVIDUALISMO ATTRAVERSO LA DOTTRINA DELL’INTERESSE BENE INTESO 

 

Quando il mondo era guidato da un gruppo ristretto di individui ricchi e potenti, questi si compiacevano di farsi un’idea sublime dei doveri dell’uomo: amavano professare che è meritorio dimenticare sé stessi e che conviene fare il bene disinteressatamente, come Dio stesso. Era la dottrina ufficiale del tempo in fatto di morale.


(Prosegue...)









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