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IN CHE MODO GLI AMERICANI COMBATTONO L’INDIVIDUALISMO MEDIANTE ISTITUZIONI LIBERE
Il
dispotismo, che, per sua natura, è diffidente, vede nell’isolamento degli
uomini la garanzia più certa della propria durata, e in generale mette ogni
cura nel tenerli separati. Non c’è vizio del cuore umano che gli sia gradito
quanto l’egoismo: un despota perdona facilmente ai sudditi di non amarlo,
ammesso che non si amino tra loro. Non domanda loro di aiutarlo a reggere lo
Stato: è abbastanza che non pretendano di governarlo loro. Definisce spiriti
turbolenti ed inquieti coloro che pretendono di unire i loro sforzi per creare
la prosperità comune e, mutando il senso naturale delle parole, chiama buoni
cittadini coloro che si chiudono strettamente in sé stessi.
Così i
vizi, che il dispotismo origina, sono appunto quelli che l’uguaglianza
favorisce. Queste due cose si completano e si appoggiano a vicenda in modo
funesto.
L’uguaglianza
pone gli uomini fianco a fianco, senza un legame comune che li unisca. Il
dispotismo innalza barriere tra loro e li divide. Quella li spinge a non
pensare ai loro simili e questo fa dell’indifferenza una specie di virtù
pubblica.
Il
dispotismo, già pericoloso in tutti i tempi, è dunque particolarmente temibile
nelle epoche democratiche.
È facile
accorgersi che, in queste stesse epoche, gli uomini hanno uno speciale bisogno
della libertà.
Quando i
cittadini sono obbligati ad occuparsi degli affari pubblici, vengono
necessariamente distratti dai loro interessi individuali e strappati di tanto
in tanto dalla contemplazione di sé stessi.
Dal momento
in cui gli affari comuni vengono trattati in comune, ognuno si accorge di non
essere così indipendente dai suoi simili, quanto si immaginava prima, e che non
può ottenere il loro appoggio, senza prestare loro spesso la propria
cooperazione.
Quando chi governa è il pubblico, non c’è uomo che non senta il valore della benevolenza pubblica e non cerchi di accattivarsela attirandosi la stima e l’affetto di coloro in mezzo ai quali deve vivere.
Parecchie
delle passioni che irrigidiscono e dividono i cuori sono allora obbligate a
ritirarsi in fondo all’animo e a nascondervisi. L’orgoglio si dissimula; il
disprezzo non osa manifestarsi; l’egoismo ha paura di sé stesso.
Poiché
sotto un governo libero la maggior parte delle funzioni pubbliche sono
elettive, gli uomini che, per l’elevatezza dell’animo o l’inquietudine dei
desideri, si sentono alle strette nella vita privata, si rendono conto ogni
giorno che non possono disinteressarsi della gente che li circonda.
Succede
allora che si pensi ai propri simili per ambizione e che si trovi spesso in
qualche modo il proprio interesse nel dimenticare sé stessi. So che mi si
possono opporre qui tutti gli intrallazzi che una elezione provoca, i mezzi
vergognosi di cui i candidati si servono sovente e le calunnie che i loro
nemici mettono in giro. Sono occasioni di odio e si ripresentano tanto più
spesso, quanto più le elezioni divengono frequenti.
Sono grandi
mali, indubbiamente, ma passeggeri, mentre i beni, che nascono insieme a questi
mali, restano.
La voglia
di essere eletti può portare sul momento certi uomini a combattersi, però
questo stesso desiderio porta alla lunga tutti gli uomini a prestarsi un
appoggio reciproco e, se succede che un’elezione divida incidentalmente due
amici, il sistema elettorale accosta in maniera stabile una moltitudine di
persone, che sarebbero sempre rimaste estranee le une alle altre. La libertà
suscita odi particolari, ma il dispotismo determina l’indifferenza generale.
Gli Americani hanno combattuto, con la libertà, l’individualismo originato dall’uguaglianza, e l’hanno vinto.
I
legislatori americani non hanno ritenuto che, per guarire l’organismo sociale
da una malattia così naturale in tempi democratici e nello stesso tempo così
funesta, bastasse accordare alla nazione intera una rappresentanza generale di
sé stessa: hanno pensato che convenisse, inoltre, dare una vita politica a ogni
singola parte del territorio, in modo da moltiplicare all’infinito le occasioni
dei cittadini di agire insieme, e da fare sentire costantemente la loro
reciproca dipendenza.
Era
comportarsi saggiamente.
Gli affari
generali di un paese occupano solo i principali cittadini. Questi non si
riuniscono che di tanto in tanto nei medesimi luoghi, e, poiché molto spesso
dopo si perdono di vista, non si stabiliscono tra loro legami duraturi. Quando
invece si fanno regolare gli affari particolari di una circoscrizione dagli
uomini stessi che vi risiedono, vengono ad essere sempre in contatto gli stessi
individui i quali sono quindi obbligati a conoscersi e a mostrarsi compiacenti.
Difficilmente
si strappa un uomo a sé stesso, per interessarlo al destino di tutto lo Stato,
perché non può capire bene l’influsso che il destino dello Stato può esercitare
sulla propria sorte. Ma basta fare passare una strada lungo il confine della
sua proprietà, che egli si accorgerà alla prima occhiata che esiste un rapporto
tra questo piccolissimo affare pubblico e i maggiori suoi affari privati, e
scoprirà, senza che nessuno glielo insegni, lo stretto legame che lega qui
l’interesse particolare all’interesse generale.
Bisogna dunque, per interessare i cittadini al bene pubblico e per far loro vedere il continuo bisogno che essi hanno gli uni degli altri per produrlo, non affidare loro il governo dei grandi affari, ma incaricarli dei piccoli.
È
possibile, con qualche bel gesto, accattivarsi di colpo il favore di un popolo;
ma, per guadagnarsi l’amore e il rispetto della gente che vi circonda, sono
necessari una lunga serie di piccoli servizi resi, di buoni uffici oscuri, un
atteggiamento costante di benevolenza c una solida reputazione di disinteresse.
Le libertà
locali, che fan sì che un gran numero di cittadini annettano valore alla
devozione dei loro vicini e del loro prossimo, riportano incessantemente gli
uomini gli uni verso gli altri e, nonostante gli istinti che li dividono, li
obbligano ad aiutarsi a vicenda.
Negli Stati
Uniti i cittadini più facoltosi stanno molto attenti a non isolarsi dal popolo,
anzi cercano sempre di avvicinarglisi, lo ascoltano volentieri, instaurano un
colloquio costante. Sanno che i ricchi delle democrazie hanno sempre bisogno
dei poveri, e che, nei periodi democratici, ci si accattiva i poveri con i
modi, più che con i benefizi. La grandezza stessa dei benefizi, che mette in
evidenza la differenza delle condizioni, causa una segreta irritazione in
coloro che ne traggono vantaggio; invece la semplicità dei modi ha un fascino pressoché
irresistibile: la loro familiarità ha qualcosa di trascinante, la loro stessa
rozzezza non sempre dispiace.
Non è che questa verità entri lì per lì nella testa dei ricchi. In generale le resistono, fino a quando dura la rivoluzione democratica, e non l’accettano, neppure subito dopo che questa rivoluzione è compiuta. Acconsentono volentieri a fare del bene al popolo, ma vogliono continuare a tenerlo accuratamente a distanza. Credono che questo sia già sufficiente: si sbagliano. Finirebbero col rovinarsi, senza suscitare calore nel cuore della gente che li circonda. Non è il sacrificio del loro denaro che essa domanda, è quello del loro orgoglio.
Si direbbe
che negli Stati Uniti tutta l’inventiva si esaurisca nello scoprire sempre
nuovi mezzi per accrescere la ricchezza e soddisfare i bisogni del pubblico.
Gli abitanti più colti di ciascuna circoscrizione si servono del loro sapere,
per scoprire continuamente nuovi segreti atti ad accrescere la prosperità
comune; e quando ne hanno trovato qualcuno, si affrettano ad ammannirlo alla
folla.
Esaminando
da vicino i vizi e le debolezze, che spesso manifestano coloro che governano in
America, ci si stupisce della prosperità crescente del popolo, e a torto. Non è
il magistrato eletto che fa prosperare la democrazia americana, essa prospera
perché la magistratura è elettiva.
Sarebbe
ingiusto credere che il patriottismo degli Americani e lo zelo che ognuno
ostenta per il benessere dei concittadini non abbiano niente di reale. Benché
sia l’interesse privato a guidare, negli Stati Uniti come altrove, la maggior
parte delle azioni umane, non le regola tutte.
Debbo dire che ho spesso visto gli Americani fare veri e propri sacrifici per la cosa pubblica, e ho notato cento volte che, in caso di necessità, non mancano di darsi un fedele reciproco appoggio.
Le libere
istituzioni, che gli statunitensi posseggono, e i diritti politici, di cui
fanno tanto uso, ricordano di continuo e in mille modi a ogni cittadino che
egli vive in società. Riportano ogni momento il suo animo verso l’idea che è
dovere, quanto interesse degli uomini, rendersi utili ai propri simili; e
siccome non vede nessuna ragione particolare di odiarli, giacché non è mai
stato né il loro schiavo, né il loro padrone, il suo cuore inclina facilmente
alla benevolenza. Si incomincia col preoccuparsi dell’interesse generale per
necessità, indi per scelta: quello che era calcolo diviene istinto, e, a forza
di lavorare per il bene dei propri concittadini, si contrae infine l’abitudine
e la voglia di servirli.
Molta gente in Francia considera l’uguaglianza come il primo male e la libertà politica come il secondo. Quando sono obbligati a subire l’una, si sforzano almeno di sottrarsi all’altra. Io invece dico che, per combattere i mali che l’uguaglianza può produrre, c’è un solo rimedio efficace: la libertà politica.
IN CHE MODO GLI AMERICANI COMBATTONO L’INDIVIDUALISMO ATTRAVERSO LA DOTTRINA DELL’INTERESSE BENE INTESO
Quando il
mondo era guidato da un gruppo ristretto di individui ricchi e potenti, questi
si compiacevano di farsi un’idea sublime dei doveri dell’uomo: amavano
professare che è meritorio dimenticare sé stessi e che conviene fare il bene
disinteressatamente, come Dio stesso. Era la dottrina ufficiale del tempo in
fatto di morale.
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