CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 18 gennaio 2023

JOHN MUIR IN AMAZZONIA











Precedenti capitoli 


di una intervista


& una epistola 


Prosegue con...: 


la seconda parte  & 


L'Articolo del diario 


(con brevi commenti 


del dialogo)







John Muir lasciò New York il 20 aprile 1911 per un viaggio che avrebbe realizzato il sogno di una vita: recarsi in Sud America.

 

Uno dei motivi principali per cui visitò il bacino amazzonico in questa fase avanzata della sua vita è stato il desiderio di vedere antichi alberi di araucaria nel loro habitat originale. Soprannominato l’albero ‘puzzle delle scimmie’, la sua corteccia spinosa impedisce alle scimmie di arrampicarsi su di esso. Muir riteneva che fosse uno degli alberi più importanti esistenti perché è sopravvissuto a molti periodi geologici. Era pronto a percorrere qualsiasi distanza, in barca ea piedi se necessario, per vedere questa meraviglia biologica. Sebbene avesse settantaquattro anni al momento del suo viaggio, si diceva che potesse ancora camminare per venticinque o trenta miglia al giorno.

 

Il 27 agosto, a mezzogiorno, scrisse nel suo diario mentre si trovava a meno di duecento miglia dalla foce dell’Amazzonia, ‘ci è voluta circa un’ora di caute manovre da parte dell’equipaggio della nave prima di gettare l’ancora a causa delle mutevoli correnti marine che rendevano le carte inaffidabili’.




 Il giorno seguente, Muir vide per la prima volta la terra che circonda l’Amazzonia e annotò ‘molti magnifici alberi giganti dalla testa a cupola che incombono nella più imponente grandezza sopra le moltitudini affollate di palme’.

 

Quel pomeriggio arrivò a Para e successivamente visitò il parco cittadino. Annotò in modo molto dettagliato sulle varie specie di felci, palme e gigli del giardino, citandone nomi scientifici e misurazioni complesse delle foglie, altezza e altre specifiche.

 

Il 1 settembre, Muir si alzò alle quattro del mattino per iniziare una gita in barca lungo il grande fiume. In alcuni punti gli alberi sporgenti erano così vicini che poteva quasi toccarli. Mentre viaggiava notò un gran numero di alberi dai fiori bianchi, alti circa settantacinque piedi, e molti altri alberi dello stesso tipo con fiori rossi. ‘Le palme sono diventate scarse dopo circa 200 miglia sopra Para’.

 

Il diario descrive le case ricoperte di palme degli indiani che si potevano vedere ogni poche miglia. La gomma veniva raccolta in questi piccoli insediamenti per commerciare con tabacco portoghese, caffè, olio di carbone, calicò e altri prodotti.




Il giorno dopo, liberi dalle zanzare, i viaggiatori passarono in mezzo a una folla più variopinta. ‘Un buon numero di farfalle, falene, libellule... stanno ravvivando l’aria’, annotò. Descrisse anche le case che appartenevano a commercianti portoghesi, che erano spaziose protette con tetti di tegole rosse e avevano grandi mandrie di bestiame nella proprietà circostante. Ormai l’albero dai fiori rossi si era diradato e spesso si vedevano nidi di vespe bianche pendere dai rami degli alberi.

 

Il 4 settembre il gruppo raggiunse Itacoatiara vicino alla foce del fiume Madeira. Muir affermò che il tipo di malaria in questa regione era così mortale che alcuni decessi si sono verificati dopo soli tre giorni. La malattia era una delle difficoltà che impedivano il completamento della ferrovia, che necessitava solo di altre cinquanta miglia. Vicino al sito Muir incontrò un vecchio ex confederato americano, il signor Stone, che era venuto in Brasile dopo la guerra civile perché la schiavitù era ancora consentita in Brasile. Allevava non solo bestiame, ma anche una grande quantità di cacao e aveva accumulato una immensa.




Il giorno successivo il piroscafo giunse a Manao, che allora contava circa 100.000 abitanti ed era situata presso la foce del Rio Negro. Muir notò l’oscurità, quasi nera, del Rio Negro mentre, al contrario, l’acqua del Rio delle Amazzoni era ‘fulva’. Paragonò il colore del Rio Negro ai torrenti e ai laghi della Scozia e delle zone costiere basse degli stati meridionali degli Stati Uniti.

 

Il destino della giungla nelle mani degli sviluppatori non sembrava preoccupare Muir. Scrisse che nonostante ‘febbri stridenti, umidità di ogni tipo, caldo debilitante, ecc., migliaia di uomini, giovani e vecchi, si precipitano alla ricerca di fortune metà pazzi, metà allegri, in questo deserto gommoso’.

 

Prendendo le precauzioni necessarie per allontanare le zanzare ed esercitando moderazione nel mangiare e nel bere, affermò, che una persona poteva arricchirsi e poi partire per un clima più adatto. La sua visione ottimistica forse era stimolata dall’abbondanza che lo circondava. Oltre alle selve magnificamente verdeggianti, lungo il suo cammino notò grandi stormi di garzette bianche, pappagalli, anatre e poiane.




Il 12 settembre, dopo diversi giorni di duro viaggio in barca e a piedi attraverso la giungla e a causa di problemi con i collegamenti di viaggio, Muir decise che sarebbe tornato a Para invece di proseguire per Iquitos. Il 15 settembre raggiunse Para, e nei giorni successivi si riposò scrivendo lettere, leggendo quelle che gli venivano inoltrate e visitando tranquillamente i giardini. Il 26 settembre, Muir lasciò Para sulla nave São Paulo e  rese i suoi ultimi convenevoli all’Amazzonia.

 

In un’intervista al New York Times nel 1912, dopo essere tornato negli Stati Uniti, Muir rifletté sul futuro sviluppo della regione amazzonica:

 

...verrà il tempo in cui l’intera regione sarà trasformata in uno dei giardini più ricchi della terra, la sede di una civiltà più grande e di più vasta portata di quella che si trova oggi nella valle del Mississippi ... è semplicemente tutto lì il potenziale. Hai un sistema fluviale su scala gigantesca, più grande di qualsiasi cosa del genere altrove... E questo grande specchio d’acqua... scorre attraverso un paese il cui clima caldo lo dispone alla massima fertilità.

 

‘Tuttavia’,

 

…annotò ancora,

 

‘la maggior parte delle persone è malata e si guadagna da vivere con la gomma piuttosto che con i mezzi agricoli’.




Questo gli sembrava un grosso ostacolo per andare oltre la mera agricoltura di sostanza:

 

‘Significa un duro lavoro da compiere in Amazzonia, e la gente sembra poco propensa al duro lavoro’.

 

Riflettendo il tema dominante della cultura occidentale, Muir credeva che il cambiamento non sarebbe arrivato nella regione amazzonica fino a quando gli stranieri non avessero iniziato a svilupparsi lì nei successivi due o tre secoli. Affinché questo cambiamento avvenga, disse che erano necessarie tre cose:

 

‘Prosciugare le paludi, arginare il fiume in modo che il suo flusso e riflusso sia sotto completo controllo, e uccidere le zanzare... Per realizzare questo programma sull’Amazzonia richiederebbe, ovviamente, un’intraprendenza stupenda: basterà abbattere un numero sufficiente di alberi per l’opera che terrà impegnato il futuro colono’.




Dopo aver percorso mille miglia in battello a vapore lungo il Rio delle Amazzoni, Muir fu finalmente in grado di vedere l’Araucaria nel suo stato naturale. Ma l’entusiasmo per questa singola specie è in contrasto con la visione apparentemente limitata dell’Amazzonia come ecosistema. Nel 1912, Muir non ebbe la reale percezione dell’imminente rapida industrializzazione e deforestazione che da lì a breve avrebbe minacciato l’intera pianeta, e che avrebbe portato alla nota teoria dell’effetto serra.

 

Inoltre, la lisciviazione dei suoli amazzonici dalla sovrapproduzione e dalla cattiva manutenzione della terra non era stata studiata all’epoca perché i metodi di ‘taglia e brucia’ dell’agricoltura su larga scala non avevano raggiunto la proporzione che hanno assunto oggi.

 

Muir trovò lo scenario ‘alquanto monotono’ perché

 

‘non ci sono montagne, tranne verso il bordo occidentale del continente, dove si stagliano le Ande. Ma, nella parte orientale, si avanza a vapore per centinaia di miglia tra due solidi muri di vegetazione tropicale, salendo a un’altezza di cento piedi o più. Molto impressionante, ma, come elemento scenico, privo di diversità’.




Pertanto, sebbene Muir si sia divertito e sia rimasto pienamente colpito dal suo viaggio in Sud America, per lui non è paragonabile alla grandiosità della Sierra.

 

John Muir, come i suoi predecessori, Bates, Wallace e Humbolt, esplorò l’Amazzonia senza commentarne il  ‘significato ecologico’ riflesso nella sua vitale importanza per il benessere del pianeta Terra. Durante il periodo in cui esplorarono la regione, la flora e la fauna autoctone erano ancora abbondanti. Nessuno poteva prevedere i drastici cambiamenti che avrebbero avuto luogo su scala globale nei prossimi decenni. Lo stesso Muir era molto più preoccupato di salvare Hetch Hetchy che di preservare la natura selvaggia di una giungla a migliaia di chilometri di distanza.

 

In effetti, Muir riconobbe la bellezza dell’Amazzonia, come rivelano i suoi diari, tuttavia immaginò un potenziale di crescita compatibile. La sua proposta di arginare il Rio delle Amazzoni non era intesa come un catalizzatore per la totale distruzione e l’industrializzazione dell’area. Favorì invece lo sviluppo limitato di quella che considerava una grande risorsa. Forse i primi veri ecologisti del Brasile furono gli scienziati locali e i riformatori nativi della regione che meglio ne conoscevano gli aspetti, e ciò ci appare del tutto comprensibile. Nel corso degli anni, loro, più di chiunque altro, hanno potuto assistere - e ancora assistono - alla graduale distruzione della Terra a causa di regolamenti governativi deboli, sfruttamento straniero - assommato e assoggettato - dall’avidità personale dell’ignoranza, ‘con-cause’ economiche e sociali del tutto estranee alla più profonda e sempre ispirata volontà di ecologica conoscenza di Muir! 

(L. Bemis) 




C’è un aspetto fondamentale di tale visione, l’uomo è anziano famoso e riconosciuto non solo come un ‘ecologo’ locale circoscritto al proprio ‘Parco’, bensì un pioniere dell’intera America attraversata e fondata con un profilo ed un fine diverso; ragion per cui la sua critica, là ove appare a dispetto degli argomenti a lui prediletti, posta alla futura considerazione più o meno emerita, di altolocati personaggi, ne sancisce e formalizza quasi un investitura da ambasciatore e non solo della Natura.

 

Simmetricamente come il medesimo quando si appresta in sua difesa!

 

Quali ambasciatori della Natura, per nostro difetto o merito assoluto, ragioniamo a pieno Intelletto a Lei  connessi - e mai disgiunti - trascurando i presunti ‘humani’…, dacché da medesime paludi in cui odiernamente sprofondata la presunta disumana Ragione posta nel rifugiato  dominio della ricchezza, al pari delle perenni sabbie mobili - e non solo bituminose - che taluni - dall’America alla Russia - si apprestano a porre come solide condizioni di morte in vita, e poste alle seppur brevi frammentate simmetriche condizioni economiche di avversato incompreso dominio (e non sia detto solo coloniale); apriamo questo breve spiraglio con le simboliche ‘chiavi di cedro’ al ramo dell’Albero maestro, con ugual medesimi pensieri condivisi di Muir da cui il nostro ispirato Dialogo….




La terraferma della Florida è meno salubre delle isole, ma nessuna parte di questa costa, né del confine piatto che va dal Maryland al Texas, è del tutto esente dalla malaria. Tutti gli abitanti di questa regione, bianchi o neri che siano, rischiano di essere prostrati dalla febbre, per non parlare delle piaghe del colera e della febbre gialla che vanno e vengono all’improvviso come tempeste, prostrando la popolazione e tagliando varchi in esso come uragani nei boschi.

 

Il mondo, ci viene detto, è stato creato appositamente per l’uomo, presunzione non suffragata da tutti i fatti. Una numerosa classe di uomini si stupisce dolorosamente ogni volta che trovano qualcosa, vivo o morto, in tutto l’universo di Dio, che non possono mangiare o rendere in qualche modo ciò che chiamano utile a se stessi. Hanno una precisa visione dogmatica delle intenzioni del Creatore, ed è quasi impossibile essere colpevoli di irriverenza nel parlare della loro Dio non più degli idoli pagani. È considerato un gentiluomo civile e rispettoso della legge a favore di una forma di governo repubblicana o di una monarchia limitata; crede nella letteratura e nella lingua dell’Inghilterra; è un caloroso sostenitore della costituzione inglese e delle scuole domenicali e delle società missionarie; ed è puramente un manufatto come qualsiasi burattino di un teatro da mezzo penny.




Con tali visioni del Creatore, naturalmente, non sorprende che si debbano nutrire visioni errate della creazione. Per gente così ben tosata, la pecora, ad esempio, è un problema facile: cibo e vesti “per noi”, mangiare erba e margherite bianche per divina nomina per questo scopo predestinato, percependo la domanda di lana che sarebbe provocata dal mangiare la mela nel giardino dell’Eden.

 

Nello stesso piano piacevole, le balene sono depositi di petrolio per noi, per aiutare le stelle ad illuminare le nostre vie oscure fino alla scoperta dei pozzi petroliferi della Pennsylvania. Tra le piante, la canapa, per non parlare dei cereali, è un caso di evidente destinazione per l’attrezzatura delle navi, l’avvolgimento di pacchi e l’impiccagione dei malvagi. Il cotone è un altro semplice caso di abbigliamento. Il ferro è stato creato per martelli e aratri e il piombo per proiettili tutti destinati a noi. E così di altre piccole manciate di cose insignificanti.

 

Ma se dovessimo chiedere a questi profondi espositori delle intenzioni di Dio, che ne dici di quegli animali mangiatori di uomini - leoni, tigri, alligatori - che schioccano le labbra davanti all’uomo crudo?




 O di quelle miriadi di insetti nocivi che distruggono il lavoro e bevono il suo sangue?

 

Senza dubbio l’uomo era destinato al cibo e alla bevanda per tutti questi?

 

Oh no! Affatto!

 

Si tratta di difficoltà irrisolvibili legate alla mela dell’Eden e al diavolo.

 

Perché l’acqua annega il suo signore?

 

Perché così tanti minerali lo avvelenano?

 

Perché così tante piante e pesci sono nemici mortali?

 

Perché il signore della creazione è soggetto alle stesse leggi della vita dei suoi sudditi?

 

Oh, tutte queste cose sono sataniche, o in qualche modo connesse con il primo giardino.




Ora, a questi maestri lungimiranti non sembra mai venire in mente che lo scopo della Natura nel creare animali e piante possa essere prima di tutto la felicità di ciascuno di essi, non la creazione di tutti per la felicità di uno.

 

Perché l’uomo dovrebbe valutare se stesso come qualcosa di più di una piccola parte dell’unica grande unità della creazione?

 

E quale creatura di tutto ciò che il Signore si è preso la briga di fare non è essenziale per la completezza di quell’unità: il cosmo?

 

 L’universo sarebbe incompleto senza l’uomo; ma sarebbe anche incompleto senza la più piccola creatura transmicroscopica che dimora al di là dei nostri occhi presuntuosi e della nostra conoscenza.




Dalla polvere della terra, dal comune fondo elementare, il Creatore ha fatto l’ Homo Sapiens. Con la stessa materia ha fatto ogni altra creatura, per quanto nociva e insignificante per noi. Sono compagni nati sulla terra e nostri compagni mortali. I terribilmente buoni, gli ortodossi, di questo laborioso ‘patchwork’ della civiltà moderna gridano

 

‘Eresia’ a chiunque le cui simpatie raggiungano un solo capello oltre l’epidermide di confine della nostra stessa specie. Non contenti di prendere tutta la terra, rivendicano anche il paese celeste come gli unici a possedere il tipo di anime per le quali era stato progettato quell'imponderabile impero.

 

Questa stella, la nostra buona terra, fece molti viaggi di successo intorno ai cieli prima che l’uomo fosse creato, e interi regni di creature godettero dell’esistenza e tornarono alla polvere prima che l’uomo apparisse a reclamarli. Dopo che anche gli esseri umani hanno svolto la loro parte nel piano della Creazione, anch’essi possono scomparire senza alcun incendio generale o commozione straordinaria.




Alle piante viene attribuita una sensazione fioca e incerta, e ai minerali decisamente nessuna. Ma perché anche una disposizione minerale della materia non può essere dotata di sensazioni di un tipo con cui noi, nella nostra cieca ed esclusiva perfezione, non possiamo avere alcun modo di comunicare?

 

Ma mi sono allontanato dal mio oggetto. Ho sostenuto una o due pagine fa che l’uomo affermava che la terra era stata creata per lui, e stavo per dire che bestie velenose, piante spinose e malattie mortali di alcune parti della terra provano che il mondo intero non è stato creato per lui. Quando un animale proveniente da un clima tropicale viene portato ad alte latitudini, può morire di freddo, e diciamo che un tale animale non è mai stato destinato a un clima così rigido. Ma quando l’uomo si reca nelle parti malsane dei tropici e muore, non può vedere che non è mai stato destinato a climi così mortali. No, piuttosto accuserà la madre del problema, anche se lei potrebbe non essere mai stata in una zona infestata di febbri; oppure o lo considererà un castigo provvidenziale per qualche forma di peccato che non esiste.




Inoltre, tutti gli animali non edibili e addomesticabili, e tutte le piante che portano spine, sono mali deplorevoli che, secondo approfondite ricerche del clero, richiedono la chimica purificatrice della combustione planetaria universale. Ma più di ogni altra cosa l’umanità richiede di bruciare, essendo in gran parte malvagia, e se quella fornace transmondana può essere applicata e regolata in modo da fonderci e purificarci in conformità con il resto della creazione terrestre, allora la dannazione del bizzarro genere Homo sarebbe una devota conclusione per cui pregare. Ma, lieto di lasciare questi fuochi e questi errori ecclesiastici, ritorno con gioia alla verità immortale e alla bellezza immortale della Natura. 

 

Certo se i suoi interventi circa quest’ultimo Viaggio  seppur non ‘profetici’ circa futuri accadimenti dei quali l’Amazzonia ne diverrà vittima assoluta, oltre ogni calcolata aspettativa di normale crescita precipitata nell’abisso dell’abominio; mai possono e debbono esser giudicati e qualificati, al pari di chi lo ha preceduto, apportando  disastro e morte senza alcuna prospettiva eccetto che la predata ricchezza dei nativi Indios; e di certo Muir non era all’oscuro della triste Storia della non lontana America latina vittima di fameliche orde assassine, la quale maturò e ne caratterizzò un aspetto storico e sociale evidente della perenne conquista colonica (quindi facente parte dell’ingloriosa Storia sempre celebrata, e a cui ognuno Nessuno escluso si inchina, a dispetto di Madre Natura!).


[PROSEGUE...]









Nessun commento:

Posta un commento