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il Capitolo completo [5]
Suddiviso in quattro specchi ‘Lo Specchio della Natura’, ‘Lo Specchio della Sapienza’, ‘Lo Specchio della Morale’, ‘Lo Specchio della Storia’, lo ‘Speculum majus’ di Vincent de Beauvais (1264) forma un polit(t)ico*
(*l’errore è volutamente inserito nel giochi di specchi antichi o moderni che essi siano rappresentano e codificano nell’immagine artificialmente ricomposta e confacente ai simmetrici evoluti, e dicono, progrediti tempi, quanto odierno secolo evoluto; da quando cioè, codesti… specchi… convenuti alla logica del loro motivo divenuto artifizio giacché nello specchiarsi risiede duplice intento - come la luce la qual rimanda e compone l’immagine senza inganno alcuno [direbbe Lucrezio (1*)], appunto, in metaformiche immagini ricomposte e distribuite all’etere della materia…)
…che
riproduce i diversi aspetti dell’Universo.
Ed
anche talvolta personaggi fuoriusciti dai loro contesti riflessi in una
prospettiva metafisica dimensione, ricreare la materia da cui ogni Opera li
narra e ritrae nell’impareggiabile arguzia; oppure nella nuova presa di
Coscienza circa l’Opera ottenuta, sia questa reale o anamorfica (affermerebbe
il noto seppur sconosciuto Mecedonio,
abdicando alla loro lingua, al loro pennello, al loro material fine ed intento,
la pagina il quadro l’opera dissoluta...)
I quattro libri della scienza enciclopedica – un momento del Medioevo – si squadernarono come in un teatro catottrico: il mondo intero vi appare in una sapiente orchestrazione, con ogni particolare al suo posto. La perfezione di questa visione esatta e completa è indicata con la parola ‘specchio’, ‘speculum’. Questa metafora è stata consacrata da innumerevoli titoli di opere scientifiche, teologiche, filosofiche e di altro genere in ogni epoca.
Il
processo mentale del ‘rinviare’ per ‘riconsiderare’ è indicato con termini di
ottica!
(1*) Lucrezio (98-53) ha attribuito, ad emanazioni fisiche questo misterioso sdoppiamento e questa apparizione di un’immagine simmetrica.
Il
mondo intero è pieno di simulacri invisibili che si staccano dalla superficie
dell’oggetto, vagano a caso nell’atmosfera e diventano visibili quando urtano
uno schermo che li riflette (ma lo schermo come vedremo….):
Io dico dunque che la superficie di tutti i corpi emana immagini, figure sciolte, cui converrebbe il nome di membrana o di cortice, poiché hanno la stessa apparenza e la stessa forma dei corpi da cui si distaccano per errare nell’aria… Quei simulacri che vediamo negli specchi, nell’acqua o in altro corpo liscio sono perfettamente simili alle cose rappresentate, altro non sono se non l’immagine stessa di quelle cose.
Il
poeta epicureo insiste:
non sono Anime fuggite separate dai
loro corpi, ma figure emesse da figure*
(*nei paradossali tempi attraversati
dovremmo riconsiderare queste affermazioni non tanto negando o sminuendo
l’evoluta affermazione di Lucrezio,
quanto coniugarla ad altrettante filosofiche verità precedenti, anzi oserei
dire, preesistenti al corpo genetico incarnato ed evoluto successivamente nella
materia nata. Quindi preesistenti ad una Visione conferita e dedotta allo
specchio della materia il qual uomo specchiandosi si rileva e rivela. E in
questo sdoppiamento meditare o cogitare la Vita, così come dovrebbe, necessiterebbe
immaginarsi in virtù del proprio Linguaggio conseguente
alle simmetriche finalità da cui nato e a cui aspira evolvendolo. Talché
evitare inutili sdoppiamenti, di cui appunto, talune dottrine economiche
specchiandosi riflettono la propria mistificata mostruosità altrettanto
simmetrica al principio anamorfico a cui appartengono ed in cui misuriamo e
riveliamo il risultato ottenuto nella deformata realtà per ogni improprio
Linguaggio adottato non affine alla sua ed altrui evoluzione. Non affine
all’uomo.
Presso gli antichi popoli Indoeuropei
l’idea di negazione nacque proprio dall’esperienza dell’oscurità
delle acque notturne. In quei tempi si credeva che le ore buie della notte
fossero provocate dal concludersi del periodo di moto dell’oceano luminoso e
dal giungere intorno alla terra dell’oceano di acque tenebrose. E così, durante
la notte, alla domanda che cosa si vede?, la risposta non poteva che essere - si vede solo NA, acqua.
Tale risposta equivaleva ad affermare
- NON SI VEDE -.
La non visibilità e quindi il mancato riconoscimento di alcunché nel profondo delle acque, si riproponeva in presenza della nebbia che, essendo originata dall’evaporazione dell’acqua fu chiamata NABHA, ovvero simile, Bha, all’acqua Na. Anche con la nebbia pertanto, dire - vedo NA, acqua, - equivaleva a dire NON VEDO. E fu per questa ragione che il fonema NA, simbolo indoeuropeo dell’acqua diventò l’avverbio di NEGAZIONE - NO, NON - .
Cosa
deduciamo da questa cecità in cui l’uomo specchiandosi svela il dramma
frammentato dell’ultimo atto della propria limitata natura seppur riflessa
nell’anamorfico quadro del Linguaggio?
Prendere
consistenza d’un diverso Linguaggio a cui la Lingua appartiene per propria
Natura?
Ovvero…
All’inizio dell’Universo secondo la cosmologia vedica, le Acque primordiali formavano un’immensa nebulosa chiamata in sanscrito Salila, Arna, Arnava, Samudra – Oceano…
I versi del Rg-veda raccontano che
durante l’evolversi dell’universo le Acque cosmiche si erano riunite in parte
intorno al sole e in parte erano confluite nelle regioni governate dalla luna
così da formare due oceani celesti, Samudrau, uno dei quali luminoso e l’altro
avvolto dalle tenebre. Da questi oceani le acque erano poi discese sulle terra
a formare l’atmosfera e i Fiumi.
L’osservazione del percorso compiuto
di giorno dal sole, e di notte dalle stelle, aveva permesso agli astronomi di
conoscere il moto di rotazione della volta celeste che appariva ai loro occhi
come il moto di rotazione delle acque di due oceani…
…La conoscenza qual dico e mai rinnego e con essa la genesi di ogni triste o lieto accadimento conosce una precisa evoluzione, perché in verità e per il vero, l’Ade dispensato hor hora dalla materia urlare l’Abisso dell’ultima scena, la qual specchiandosi implora Parola, assisa al fuoco dell’incompiuta natura del singolo elemento e ciò che ne deriva qual sicura Frattura e con essa certezza di vita, ‘con e negli’ Elementi composta e divisa, seppur scorgendoli nel baratro in cui precipitati e rinnegati nel proprio Linguaggio, si sdoppia nell’anamorfica indole da cui l’uomo nato scisso dalla Natura che hora prega et implora!
E
per chi in ultimo ammira il ‘panorama’ affisso al ‘visore’ della Seconda ed
ultima ‘hora’ certamente scorge geografie, sì belle e nutrite, o al contrario,
sterili e prive di linfa ove ogni retto senso della vita smarrito nell’evento
che compone una peste antica (e futuro tellurico evento che ne deriva); ma il
rimedio del male subito e distribuito dal nucleo alla crosta di un sangue
avvelenato e un cuore dolente conosce una stratigrafica memoria elevata sino ad
una più evoluta cima e sempre da un evento tellurico nata e cresciuta.
Altrimenti giammai potremmo ammirare estasiati il ‘panorama’ della vita evoluto da ciò che èra (certa verità ‘immaginaria’ donde nata la vita). E non certo lieta poesia. Ed anche se la casualità o altro evento nella Dimensione incompresa di codesto creato mi fa rivivere certezza antica e smarrita come profeta ridestato in vita, l’irrazionale deve aver preso il sopravvento e debbo essere regredito in un antico mondo teologico… rinato in Rima… Anche questo fa parte della nostra ‘conoscenza’ antica nel Sé primordiale della Terra. Ogni mitologia comandata o al contrario rinata ha una sua genesi ed evo antico…
…Senza
non avremmo costruito false certezze per le quali ancor oggi migliaia di
persone muoiono ogni giorno, l’idea divenuta mito appunto, e la sua lenta
evoluzione. E questa parla una propria lingua nella quale si è evoluto un
pensiero irrazionale cancellando la verità prima e affermando, in nome della
tolleranza, l’intolleranza di un pensiero dispensato come il medicamento della
storia.
Fin tanto che due miti opposti si scontrano e misurano nel teatro di false verità le quali pochi detentori di un monolitico credo e principio sollevano come nuove collisioni geologiche, in misura però, non della giustizia, ma solo del potere economico. Il quale disconosce ogni linguaggio che non abbia ad interpretarlo una banconota di moneta fumante.
Ora
guardando dalla cima di un’antico mare fuori dall’‘umido’ sempre fuggito,
scorgo un’apparente ‘nulla’ riflesso nelle sue chiare acque di un inverno
abdicare il passo ad una nuova primavera… Ed un’estate cedere il passo ai
mirabili colori di un’apparente morte all’Autunno rivelata e donata… Ed
entrambi specchiarsi in cotal ciclica ed infinita visione con un cielo stellato
e scuro per celebrare il ricordo di una antica emozione che ci colse quale
primo stupore della vita.
Per taluni la lingua e il linguaggio esistono perché abbiamo imparato a parlare nella socialità delle istituzioni che si sono evolute ed imposte con le loro scuole ed insegnanti, per altri, la lingua frutto di una lenta crescita dell’uomo isolato dal contesto dove essa matura. Dalla prima fase della sua nascita, quando ancora su scala evolutiva bambino, ai primordi del suono divenuto parola, fin tanto ne aveva le possibilità anatomiche; all’attuale, dove lo stesso (linguaggio) sembra essersi impossessato dell’uomo in maniera differente come l’evoluzione impone il proprio sviluppo nell’arco del tempo rilevato.
Non
impariamo più la lingua della Natura nata dal bisogno di comunicare esigenze e
stupori in essa contenuti, ma al contrario la difficile lingua delle macchine,
e con esse ci omologhiamo secondo i nuovi riti. Si diventa macchine, con tutti
i sogni delle macchine, privati oltretutto di un’anima e di una coscienza.
Azzerando tutti i valori acquisiti anche se essi possono sembrare arretrati rispetto ad altri, e omologando l’essere umano quale elemento unico (‘unicità’ in questo caso enunciato differente dall’unicità dell’essere quale individuo con un proprio DNA specifico, un Sé distinto, uno Spirito evoluto, in cui scritta la ‘provenienza di fabbrica’ negata o tacitata; ma altresì paradossalmente ‘unicità’ ‘meccanicistica’ scritta nel ‘codice a barre’ riflessa e spacciata nel sociale nella quale opposti intenti politici si equivalgono nella errata interpretazione della parola - come fu per Darwin nell’enunciato della propria teoria in cui pensiero e concetto maturato divennero spirale per altro e indubbio intento dal futuro scienziato derivato reinterpretato -; riducendo e paradossalmente abbattendo l’‘unicità’ dell’essere uomo nell’intento circoscritto del progresso economico e/o capitale maturato, indice, a detta di molti, della ricchezza traguardo nella presunta evoluzione conseguita)
(da qui possiamo ancora maturare profonda riflessione circa la differenza detta fra una Natura ‘povera di mondo’ e l’uomo ‘ricco di questo’, in realtà i ruoli sono ben opposti giacché il Secondo nato dal Primo… e mai viceversa… così da poter cogitare ‘giusto soldo di conto’ alla somma della vita nella vera economia raggiunta dall’evoluzione detta…);
…e
con ciò ne deriva il controllo e sistematica repressione nella volontà di
stabilità intesa come mèta con le varie e secolari dinamiche stratificate nel
paradosso della conseguente persecuzione del ‘libero arbitrio’… nelle
differenti caratteristiche sociali ed antropologiche che lo differenziano nel
proprio ed altrui insediamento terrestre nelle diverse latitudini di
appartenenza, privandolo di fatto di tutto il patrimonio culturale stratificato
ed accumulato nei secoli.
La verità della ‘Grande Notizia’ attesta una diversa conoscenza e vera certezza. Lo stupore di qualsiasi Natura, sia dalla paura prodotta o dall’incanto ammirato sguardo rapito, abbisogna di una solida e duratura scelta di vita, e con essa, la dovuta conoscenza manifestazione antica e rinata di una condizione talvolta, o troppo spesso, negata. ‘Stranieri’ alla vita significa una scelta e condizione certamente più difficile dell’antico Eremita.
E
se anche il sogno perso in se stesso meditare in medesimo tempo… (e il dire il
non detto, o ancor peggio, descrivere con quale mirabile lo nominano ingegno)
con qual intento e precisione edificano la loro poesia… è pur certo indubbio
smarrimento nato di ogni retta disciplina così malamente (ri)distribuita, di
ogni verità, di ogni sapere, di ogni mente assennata e devota ad ogni saggio e
giusto uomo… nell’udire cotal mirabile e preciso colpo…
Se ancora con questo nome dopo aver assistito a tale rappresentazione al palcoscenico della comune vita posso nominare il suo, giacché offendere l’Uomo è un’oltraggio alla Ragione la quale ci distingue la bestia senza neppur voler arrecare offesa a quest’ultima: ‘bestia’ più consona parola e con essa più che valido appellativo alla dottrina così diligentemente asservita… e chi la persegue con tal istinto privato di qualsivoglia Ragione nella meccanica della propria ma non certo altrui vita!
Or
dunque benvenuta bestia che nessun bestiario privi dell’anima tua qualsivoglia
‘miniatura’… di cui con la tua presenza orni ed ispiri ogni più nobile Parola e
con essa Rima, giacché il tuo gesto orna il Tomo di un diverso principio e
Impero così diligentemente asservito ma non certo la Poesia della vita e con
lei ogni Elemento narrare se stesso e Dio…
Scusami
Bestia!
Ed anche se per questo non ti agitare per ogni pagina per ogni rigo per ogni verità fin qui detta e scritta perché non abbiamo espresso con la dovuta precisione il compito a te conferito: un’offesa ed una mortificazione per ogni Intelligibile principio, e non per ultimo, al ‘secondo’ speso cui dovremmo dedicare diverso pensiero il quale ci divide e distingue nello Spazio e Tempo così (de)scritto (Frammento e Zero compongono Tempo e Parola ed anche questo abbiamo già detto…) ; giacché il male che da te deriva non ha nulla dell’intelligenza con la quale si compone ogni più evoluta creatura che così mirabilmente e diligentemente perseguiti e torturi…
…Or
dunque scusami ‘bestia’ nella genesi della parola nata in quanto questo il vero
nome tuo alla sostanza che t’accompagna. Meccanico gesto privato dell’istinto e
ragione senza occhio e certezza
(Giuliano dall’Eretico Viaggio & F.
Rendich)
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