CHI DELLA FOLLA, INVECE,

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30 MAGGIO 1924

lunedì 6 marzo 2023

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& Misticismo o...








Per molti anni, come molti dei miei contemporanei, avevo fatto uso assai raramente di cibo animale, o tè, o caffè, eccetera; non tanto per qualche cattivo effetto che avessi loro attribuito, ma piuttosto perché non piacevano alla mia immaginazione. 

 

La ripugnanza al cibo animale non è risultato di esperienza, ma un istinto.

 

Sotto molti aspetti, appariva più bello vivere semplicemente e nutrirsi frugalmente; e sebbene io non facessi così, feci però abbastanza da far piacere alla mia immaginazione. Credo che ogni uomo che sia sempre stato sincero nel conservare nelle migliori condizioni le proprie più alte e poetiche facoltà, sia stato particolarmente incline ad astenersi da cibo animale e da molto cibo di qualsiasi genere.




È un fatto significativo, affermato dagli entomologi (lo trovo nel Kirby e Spence) che “nel loro stato perfetto, certi insetti, sebbene siano forniti di organi di nutrizione, non ne fanno uso”; come “regola generale, quasi tutti gli insetti, in questo stato, mangiano meno che non nello stato di larve. Il bruco vorace quando si trasforma in farfalla… e il ghiotto verme quando si trasforma in mosca” si accontentano di una goccia o due di miele o di qualche altro liquido dolce. L’addome sotto le ali della farfalla rappresenta ancora la larva.

 

Questo è il frammento che tenta il suo destino insettivoro.

 

Il mangiatore grossolano è un uomo allo stato di larva; e ci sono intere nazioni in quelle condizioni, senza immaginazione o fantasia, tradite dai loro vasti addomi.




È difficile provvedere a cuocere un cibo tanto semplice e pulito che non offenda l’immaginazione; ma questa, penso, deve essere cibata quando nutriamo il corpo, ambedue seduti alla stessa tavola. Forse lo si può fare. I frutti mangiati con moderazione non devono farci vergognare dei nostri appetiti, né interrompere i nostri scopi più degni. Mettete però nel vostro piatto un condimento extra, e quello vi avvelenerà.

 

Non val la pena vivere di una cucina ricca.

 

Di solito la maggior parte degli uomini si vergogna se sorpresa a prepararsi con le proprie mani il pranzo di cibo vegetale o animale, che generalmente È preparato loro da altri. Tuttavia, finché questo non cambierà, noi non potremo considerarci civili, e se siamo gentiluomini o gentildonne, non saremo mai veri uomini e vere donne. Questo certamente suggerisce che bisogna fare qualche mutamento. Può essere vano chiedere perché l’immaginazione non possa essere riconciliata alla carne e al grasso.




A me basta che sia così.

 

Non è un rimprovero il fatto che l’uomo sia un animale carnivoro?

 

È vero, egli può vivere, e vive in effetti, per lo più depredando gli altri animali; ma questo è un miserabile modo di vita – come può ben convincersi chi vada a mettere trappole ai conigli o a sgozzare gli agnelli – e sarà considerato benefattore della sua razza colui che insegnerà all’uomo di limitarsi a un cibo più innocente e più sacro.

 

Qualunque possa essere la mia consuetudine, non ho dubbio che appartenga al destino della razza umana, nel suo graduale miglioramento, smettere di mangiare animali, allo stesso modo che le tribù selvagge hanno smesso di mangiarsi l’un l’altra quando vennero in contatto con le più civili.




Se uno ascolta i più deboli ma costanti suggerimenti del suo genio, che sono certamente veri, egli non vedrà a quali estremi o persino a quali pazzie esso possa condurlo; e tuttavia, a mano a mano che egli diventa più risoluto e fidente, è quella la direzione nella quale si estende la sua strada. L’obbiezione più debole e ardita che sente un uomo sano, alla fine prevarrà sopra gli argomenti e le abitudini dell’umanità.

 

Nessun uomo seguì mai il suo genio tanto da esserne sviato. Sebbene il risultato fosse debolezza fisica, tuttavia nessuno può dire che le conseguenze fossero da rimpiangersi, poiché queste erano una vita condotta secondo princìpi più alti. Se il giorno e la notte sono tali che voi li salutate con gioia, e la vita umana emana una fragranza come fiori ed erbe molto profumate, il vostro successo sarà più agile, colmo di stelle e immortale. Tutta la natura si congratula con voi e, momentaneamente, voi avete occasione di benedirvi. I guadagni e i valori più grandi sono ben lungi dall’essere apprezzati. Facilmente giungiamo a dubitare che essi esistano.




Presto li dimentichiamo.

 

Essi sono la realtà più alta.

 

Forse i fatti più stupefacenti e reali non sono mai comunicati da uomo a uomo. Il vero raccolto della mia vita quotidiana è qualcosa di altrettanto intangibile e indescrivibile dei colori del mattino e della sera. È un po’ di polvere di stelle afferrata – un segmento di arcobaleno che abbiamo preso con mano.

 

Tuttavia, per parte mia, non fui mai troppo schizzinoso. Talvolta potevo mangiare di gusto anche un sorcio fritto, se era necessario. Sono felice di avere bevuto acqua per tanto tempo, per la stessa ragione per cui preferisco il cielo naturale a quello di un mangiatore d’oppio. Sarei felice di mantenermi sempre sobrio; e vi sono gradi infiniti di ubriachezza. Credo che l’acqua sia la sola bevanda dell’uomo saggio; il vino non è altrettanto nobile; e penso che le speranze di un mattino siano abbattute da una tazza di caffè caldo, e quelle della sera da una tazza di tè. Ah! quanto in basso io cado, quando queste bevande mi tentano.




Persino la musica può ubriacare.

 

Queste cause, apparentemente di poco conto, distrussero la Grecia e Roma, e distruggeranno l’America e l’Inghilterra. Di tutte le ebbrezze, chi non preferisce essere ubriacato dall’aria che respira?

 

Ho scoperto che la più seria obbiezione alle fatiche grossolane e reiterate, è che esse mi spingevano a mangiare e bere grossolanamente. Ma, per dire la verità, attualmente mi scopro alquanto meno pedante a questo riguardo. Porto meno religione a tavola; e non chiedo benedizioni; non perché io sia più saggio di quanto non fossi ma – come devo confessare – perché, per quanto lo debba deplorare, con gli anni sono diventato più aspro e indifferente. Forse queste questioni ci preoccupano solo nella gioventù, come molti credono sia della poesia. La mia pratica È “in nessun luogo”, la mia opinione è qui.




Tuttavia, sono ben lontano dal considerarmi uno di quegli esseri privilegiati ai quali si riferisce il Veda quando dice che “Colui che ha della fede nell’Onnipresente Essere Supremo, può mangiare tutto ciò che esiste” – vale a dire non è tenuto ad indagare cosa sia il suo cibo né chi lo prepari; ma persino in questo caso si deve osservare (come ha notato un commentatore indù) che il Veda limita il suo privilegio al “tempo del dolore”.

 

Chi non ha talvolta ricevuto, dal suo cibo, un’inesprimibile soddisfazione, alla quale non partecipava il suo appetito?

 

Mi sono sentito fremere al pensiero che dovevo una certa percezione mentale al volgare e comune senso del gusto; o che l’ispirazione mi era venuta attraverso il palato; o che certe bacche che avevo mangiato su un fianco di collina avevano nutrito il mio genio.




Dice Tseng-tse: “Poiché l’anima non è padrone di se stessa, noi guardiamo e non vediamo, ascoltiamo e non udiamo, mangiamo e non sappiamo che sapore abbia il cibo”.

 

Chi distingue il vero sapore del suo cibo, non può mai essere ghiotto; chi non lo riconosce, non può essere che tale. Un puritano può mangiare la sua crosta di pane nero con un appetito ancora più grossolano di quello con il quale un assessore può mangiare la sua tortora. Non è il cibo che entra dalla bocca ciò che insozza l’uomo, ma l’appetito con il quale esso è mangiato.

 

Non è né la quantità né la qualità, ma la devozione a sapori sensuali; quando ciò che è mangiato non è alimento per sostenere la nostra vita animale o ispirare la nostra vita spirituale, ma cibo per i vermi che ci posseggono.




Se il cacciatore è ghiotto di tartarughe di palude, di topi muschiati o altri simili animali selvaggi, la bella signora indulge a una debolezza per la gelatina di piede di manzo, o per le sardine d’oltremare – e così sono pari. Egli va al lago del molino, lei al suo vaso di cibo in conserva. Ciò che meraviglia è come mai essi possano (e voi e io possiamo) condurre una vita così melmosa e bestiale, mangiando e bevendo.

 

Tutta la nostra vita è stupefacentemente morale.

 

Non c’è mai un istante di tregua, tra vizio e virtù. La bontà è il solo investimento che mai fallisce. Nella musica dell’arpa che freme attorno al mondo, è l’insistenza su questo argomento ciò che ci fa rabbrividire. L’arpa è il commesso viaggiatore della Compagnia di Assicurazioni dell’Universo; essa ne raccomanda le leggi, e la nostra piccola bontà è l’imposta che paghiamo.




Sebbene la gioventù diventi indifferente, alla fine, le leggi dell’universo non sono indifferenti. Ascolta ogni zeffiro per udirne i rimproveri – che certamente esso ne porta. Sfortunato chi non li ode! Non possiamo toccare una corda né spostare una chiavetta dello strumento senza che quell’ammaliante morale ci trafigga. Se ci tiriamo un po’ in là, molti rumori discordi ci giungeranno come musica, dolce e orgogliosa satira della meschinità della nostra vita.

 

Siamo consapevoli dell’animale che è in noi, il quale si sveglia in proporzione all’assopimento della nostra più alta natura. Esso è strisciante e sensuale, e forse non può essere espulso interamente; come i vermi, che persino quando siamo vivi e in salute continuamente vivono nel nostro corpo.

 

Forse possiamo ritirarci da esso ma mai mutarne la natura.




Temo che l’animale dentro di noi goda di una certa salute sua propria, e che noi possiamo stare bene anche se non siamo puri. L’altro giorno raccolsi la mascella inferiore di un cinghiale, con denti e zanne, la quale suggeriva l’esistenza di una salute e di un vigore animali distinti da quelli spirituali. Questa creatura raggiungeva il suo scopo con mezzi diversi dalla temperanza e dalla purezza.

 

Dice Meng-tze: “Ciò per cui l’uomo differisce dalle bestie è una cosa da nulla; il gregge comune la perde molto presto – gli uomini superiori la conservano con cura”.

 

Chissà quale sorta di vita sarebbe la nostra, se non avessimo conseguito la purezza?

 

Se conoscessi un uomo tanto saggio il quale potesse insegnarmi questa virtù, andrei a trovarlo immediatamente. “Comandare le proprie passioni e i sensi esterni, il corpo e le buone azioni, è considerato dal Veda come indispensabile perché la mente si approssimi a Dio”.




Tuttavia, lo spirito può, per un certo tempo, pervadere e controllare ogni membro e ogni funzione del corpo, e trasformare in purezza e devozione ciò che, per forma, è la più rozza sensualità. L’energia generatrice che, quando siamo senza freni morali, ci dissipa e ci insozza, quando siamo contenti ci rinvigorisce e ci ispira. La castità è la fioritura dell’uomo; e ciò che si chiama Genio, Eroismo, Santità e simili, sono solo i vari frutti che vengono come conseguenza di essa.

 

L’uomo fluisce subito a Dio quando il canale della purezza è aperto.

 

Alternativamente, la nostra purezza c’ispira e la nostra impurità ci abbatte. Benedetto colui che è certo che l’animale che sta nel suo cuore sta morendo giorno per giorno, e che l’essere divino è in lui affermato. Forse non c’è nessuno che debba vergognarsi della natura inferiore e bruta cui è connaturato. Temo che noi siamo dei e semidei solo quanto i fauni e i satiri – esseri divini uniti alle bestie, creature di senso – e che (fino a un certo punto) la nostra vera vita sia la nostra vergogna.




Quanto è felice chi il posto ha assegnato alle bestie, e la sua mente ha disboscato!

 

Che può usare cavallo, capra, lupo, e ogni bestia propria e però agli altri non è il ciuco di sé!

 

Altrimenti, l’uomo non solo è della mandria di porci, Ma è anche di quei demoni che spinsero i porci al cieco furore, e li fecero ancor più spregevoli.




Tutte le forme di sensualità si riducono essenzialmente a una sola, sebbene essa prenda forme diverse. Tutta la purezza, è una sola. È sempre lo stesso, sia che un uomo mangi, beva, fornichi, o dorma sensualmente. Questi sono tutti momenti di un solo appetito, e abbiamo solo da vedere qualcuno che compia una qualsiasi di queste cose, per conoscerne la grande sensualità.

 

L’impuro non può né stare in piedi né stare seduto con purezza.

 

Quando il serpente è assalito a un’estremità della sua tana, esso si mostra da un’altra. Se volete essere casti, dovete essere temperati.

 

Cos’è la castità?

 

Come farà, un uomo, a sapere se è casto?




Non lo saprà. Abbiamo sentito parlare di questa virtù, ma non sappiamo cosa essa sia. Parliamo conformemente a ciò che abbiamo visto. Dallo sforzo vengono purezza e saggezza, l’ignoranza e la sensualità provengono dall’accidia. Nello studente, la sensualità è un ozioso abito mentale. Una persona impura è universalmente indolente – qualcuno seduto presso una stufa, prostrato dal sole che scintilla su di lui, che si riposa senza essere stanco. Se volete evitare la sozzura di tutti i peccati, lavorate sinceramente, sia pure a pulire una stalla. La natura è difficile da vincere, pure deve essere sottomessa. A cosa serve essere cristiani se non si è più puri dei pagani? se non rinneghiamo noi stessi, e non siamo più religiosi? So di molti sistemi religiosi considerati pagani, i cui precetti riempiono il lettore di vergogna, e lo spingono a nuovi sforzi sia pure al solo compimento dei riti.

 


Io esito a dire queste cose, ma non a causa dell’argomento – non mi importa quanto oscene siano le mie PAROLE – ma perché non posso parlare di esse senza tradire una mia impurità. Noi parliamo di una forma di sensualità liberamente e senza vergogna, e tacciamo di un’altra. Siamo tanto degradati che non possiamo parlare delle necessarie funzioni della natura umana. Nelle età primitive in certi paesi, si parlava reverentemente di ogni funzione corporale, le quali erano regolate dalla legge. Nulla era tanto triviale, per il legislatore indù, per quanto offensivo esso possa apparire al gusto odierno; egli insegnava come mangiare, bere, convivere, espellere gli escrementi e l’urina, eccetera, elevando ciò che è meschino, e senza scusarsi falsamente chiamando queste cose “sciocchezze”.

 

Ogni uomo è il costruttore di un tempio, chiamato il suo corpo, sacro al dio che egli onora, secondo uno stile puramente suo proprio, né egli può tralasciarlo martellando invece il marmo.




Siamo tutti scultori e pittori, e il nostro materiale è la nostra stessa carne, il nostro sangue, le nostre ossa. Ogni nobiltà comincia subito a raffinare l’aspetto dell’uomo, ogni bassezza e sensualità cominciano subito ad abbrutirlo.

 

Giovanni il Contadino sedeva sulla sua porta di casa, una sera di settembre, dopo un giorno di duro lavoro cui, più o meno, la sua mente era ancora rivolta. Dopo il bagno, egli sedeva per ricreare il se stesso intellettivo. Era una sera piuttosto fresca, e alcuni dei suoi vicini pronosticavano una gelata. Egli stava da poco seguendo il corso dei suoi pensieri, quando udì qualcuno che suonava il flauto, e quel suono si armonizzò con il suo umore.




Ancora egli pensò al lavoro; ma il ritornello del suo pensiero era che, sebbene quell’altra sua preoccupazione continuasse ad agitarsi in capo, ed egli si scoprisse a fare progetti contro la sua volontà, ciò tuttavia lo riguardava pochissimo. Era nulla più della superficie della sua pelle, ciò che costantemente veniva respinto. Ma le note del flauto giungevano alle sue orecchie da una sfera diversa da quella nella quale egli lavorava, e suggerivano lavoro per certe facoltà che in lui erano assopite.

 

Dolcemente, esse gli facevano scordare la strada, il villaggio e la condizione in cui egli viveva. Una voce gli disse: “Perché stai là e vivi questa vita faticosa, quando una gloriosa esistenza ti è possibile? Queste stesse stelle scintillano sopra campi diversi dai tuoi. Ma come uscire da tale condizione, e realmente migrare colà?”. Tutto ciò a cui egli poteva pensare era di mettere in pratica qualche nuova austera maniera di vita, e lasciare che la sua mente scendesse nel suo corpo a redimerlo, e trattare se stesso con un rispetto sempre maggiore.


(PROSEGUE....)








 

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