CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 10 marzo 2023

LA DIMORA DELLA SOLITUDINE (21)

 




















Precedente capitoli 


della Catastrofe (20) 


(i disegni sono opera 


di P. Sugden)







Prosegue con 


la dimora... (22) 







& Per chi suona il tamburo  non 


    udendone il suono  








...Ed ancora con...


Francesco & i porci (23)







17 gennaio. 

 

Che importava se il giorno cupo, se la neve appena caduta velava le montagne circostanti e pesanti nuvole blu-grigiastre rotolavano sul lago come per nasconderlo alla nostra vista al momento della nostra partenza?

 

A noi tutto sembrava luminoso, allegro e sorridente.

 

Un influente governatore era venuto per impedirci di viaggiare oltre, e tuttavia la rotta per il sud era libera per noi come lo era stato il disabitato Chang-tang.

 

Ma ora stavamo molto meglio!

 

Dovremmo piantare le nostre tende ogni giorno ed essere in grado di acquistare tutto ciò che desideriamo e non avere motivo di allarmarci perché avevamo provviste per soli cinque giorni in più. Godevamo di una libertà illimitata e non avevamo un solo uomo con noi come scorta o guardiano.




Davanti a noi giace un paese che si potrebbe dire essere il più interessante del mondo da un punto di vista geografico, e in cui il Viaggio di ogni giorno potrebbe portare a scoperte della massima importanza.

 

Cosa ci importava se pur l’aria pura è gelida?

 

La primavera deve arrivare.

 

Potevamo contare su un clima più caldo, presto dovevamo raggiungere territori ad un livello di quota inferiore, e la primavera si avvicinava quotidianamente molto prima. E per tre ragioni il Ngangtse-tso sarebbe  stato l’oggetto della memorabile Natura contemplata e rammentata nel diario delle mie…




Dall’ultima piattaforma il sentiero prosegue a capofitto, quindi scendiamo a piedi questi ripidi pendii di granito grigio arrotondati dal vento e dal tempo dove il materiale sfuso riempie gli interstizi. Molti pellegrini, cavalli e yak sono passati qui prima che il sentiero diventasse così stretto. A volte si presentano degli abissi che ci accompagnano e noi come arroccati - ne più ne meno di formiche - lungo strette cornici; a volte scivoliamo giù sopra le lastre di granito; a volte scendiamo come su una scala, ma scendiamo, sempre verso il basso, e ci rallegriamo di pensare che ogni passo ci avvicini all’aria più calda e più densa, dove possiamo respirare più facilmente.

 

Qua e là si innalzano grandi blocchi rotondi di granito su un piedistallo di detriti, come tavoli di ghiacciai, pioggia e vento hanno depositato e scolpito queste forme singolari.

 

Finalmente siamo giù nella grande pianura in cui si aprono tutte le valli. 




Attraversiamo campi d’orzo, pioppeti, fattorie e villaggi con case bianche, dove stendardi e bandiere blu e rossi decorano i tetti. Lasciamo il monastero Tugden alla nostra sinistra; un po’ più in là, ai piedi di uno sperone di montagna, Muhamed-Isa si era fermato. Circa un centinaio di tibetani di tutte le età e di entrambi i sessi, estremamente neri e sporchi, ma molto amichevoli, circondano le tende. Ci vendettero pecore, gallinacei, latte, ravanelli e birra al malto (chang), e i nostri animali stanchi venivano riforniti con abbondante fieno e orzo. Le donne con un arco tondo sul collo a scopo ornamentale, portavano ceste di vimini di letame ai fuochi e non erano mai stanche di sedersi con noi stupite delle nostre ‘strane’ occupazioni.

 

Qui Ngurbu Tundup si è presentato fornendomi la gradita informazione che il suo maestro, Kung Gushuk, avrebbe inoltrato la mia corrispondenza. Al momento riceveva solo una parte della sua ricompensa, e il resto gli sarebbe stato corrisposto non appena avessi avuto notizia che le lettere avevano effettivamente raggiunto Gyangtse. Mi ha consegnato un kadakh, o stoffa di benvenuto, dono del suo padrone e mi ha detto che gli era stato ordinato di accompagnarci e di aiutarci sulla strada per Shigatse.




Questa era la notizia più importante.

 

Significava che non dovevamo incontrare ostacoli.

 

Dove la valle si restringe abbiamo il grande monastero Tarting-gompa arroccato a sinistra, e sulla riva destra o meridionale del fiume il villaggio Rokdso con il suo traghetto; e ora raggiungiamo il primo sperone granitico, che si estende fino al letto del fiume. Oltre il villaggio di Karu, con i suoi campi di grano e i suoi piccoli giardini, percorriamo una via cava profonda 13 piedi, un corridoio nel löss giallo; qua e là le sponde sono sfondate da grondaie e attraverso le fessure, come dalle finestre di una galleria, possiamo intravedere la grande valle laterale So, che defluisce da sud nel Tsangpo.

 

Ci innamoriamo di questo viaggio meraviglioso… dominato dal fato…  

 

Mi viene in mente un pensiero: viaggeremo fino alla foce del Ki-chu e da lì saliremo a piedi fino a Lhasa?




 Possiamo viaggiare di notte e nasconderci durante il giorno a Lhasa giacché non ho potuto aggiungere nulla alle conoscenze acquisite dalla spedizione di Younghusband due anni prima; le mie speranze erano rivolte sull’amicizia del Tashi Lama.

 

Lungo i vari Sentieri avevo grandi progetti per la Trans-Himalaya e nessun problema geografico si presentava nella stesura di questo diario che mi sarebbe stato indispensabile per concepire il Libro che mi ero riproposto di ‘riscrivere’ dagli appunti presi in quel lontano secolo nascente. Mi ripromisi che se solo fossi riuscito nel mio intento non avrei compiuto errati ed affrettati giudizi di valutazione i quali mi avrebbero per sempre compromesso. Provavo una grande, se pur ‘amichevole’ diffidenza mista a repulsione per ogni impero, che sapevo avrebbe per sempre compromesso e profanato ogni fonte del Sacro.




Noi aspiriamo a quella, speriamo così come imparato dai diffidenti tibetani, che l’unica soluzione da adottare, se pur può apparire paradossale, è nel conformarsi per sempre ai rigori in cui si erano preclusi alla Storia, così come impone il loro Credo. Ed ora; solo ora; da quegli appunti affrettati nati dalle discordie assommate a facili compromessi ed illusioni con i veri pazzi che hanno adombrato il mio cammino, devo riscrivere e meditare una nuova stesura per ripercorrere, attraverso tutti i sofferenti Elementi, per meglio scrutare e rinascere.

 

Non interrompere questo difficile karma e cammino.

 

Solo così posso essere perdonato!   




Tutte le future imprese dovrebbero avere l’obiettivo di effettuare un’indagine ‘dottrinale’ coniugata all’immateriale di cui la scienza sprovvista, in quanto l’unica indagine rivolta alla ‘materia’, solo così posso sperare e volgere alla Cima del vero grande Viaggio sull’Himalaya.

 

Sì!

 

Questo il compito più grande che il  ‘precedente’ desiderio di Lhasa in confronto si estingue come una leggera brezza o nebbia mattutina nella valle dello Tsangpo, questo gigantesco colonnato di granito, questa immensa strada reale del Buddha, che passa oltre la ‘materia’ di cui sono fatte le vette divenendo Universo apparentemente confuso ubicato geograficamente nell’estremo oriente, ma in verità e per il vero specchio d’un più profondo Cosmo il quale ci conduce nella sua ‘elevata’ condizione fino alla foce della valle di Lhasa.




Sussiste certa ‘simmetria’ fra la Terra con difficoltà percorsa e nei millenni formata, e il Dio che andiamo a leggere così come venerato. Certamente i primi, anche se convertiti successivamente, eremiti e teologi che hanno mantenuto ‘fede’ all’impegno di preservare siffatta immacolata creazione della Natura, dimoravano in tali luoghi, con loro il Sacro profanato ed irrimediabilmente violato e violentato… 

 

Mentre ora scivoliamo sul suo pavimento di smeraldo liquido fino alla città più santa del Lamaismo: affascinante e attraente come invisibili danze della Natura. Nelle valli che riversano la loro acqua nel My-chu, avevo sentito più volte parlare del Raga-tsangpo di Nain Sing, che alcuni tibetani avevano descritto tanto importante quanto lo stesso Tsangpo.

 

Forse, il Raga-tsangpo ne è stato il flusso principale?




Molti gli affluenti come vene che affluiscono verso ‘la mente’ sospinte da un cuore. Durante l’inverno non era trascorsa una sera in cui non avevo studiato, come un erudito medico fors’anche eremita, il corpo quanto l’Anima invisibile di questa creatura vivente. Di questa ed ogni Terra in cui il piede affaticato aggrappato alle invisibili ali d’un desiderio, ne volevano ancora studiarne la complessa anatomia.  

 

Era certo dove èra la fonte del Brahmaputra regnava un cuore e successivamente un corpo, come l’intelligenza specchio d’una invisibile natura creata.

 

Le acque illuminate dal sole che trasportano la nostra barca mi hanno portato messaggi intelligibili da primordiali abissi, dai margini di fusione dei campi perpetui di fuoco, dai ghiacciai bluastri e dalle grotte di ghiaccio verde nella cresta baciante il cielo dell’Himalaya, anzi, un’eco sonoro della valle come una musica…




Una sinfonia primordiale….

 

L’11 febbraio ero già sveglio alle sei e mezzo quando mi giunse la notizia che due uomini desideravano parlarmi, uno era un lama di alto rango, chiamato Lobsang Tsering, ed era un segretario del Tashi Lama; l’altro, Duan Suen, era un cinese, con lineamenti e modi e raffinati, entrambi erano estremamente educati.

 

Abbiamo parlato per due ore di tutto.

 

Abbastanza singolarmente il mio arrivo a Shigatse sembrava essere una grande sorpresa per entrambi gli ambasciatori incaricati. Hanno chiesto il mio nome, il percorso da cui ero arrivato, le mie intenzioni e, ovviamente, non avevano mai sentito parlare della povera piccola Svezia, ma scrissero il nome svedese, inglese e cinese del mio paese.




 ‘Intendo essere presente oggi al festival di Capodanno’,

 

…dissi.

 

‘Non posso lasciare Shigatse senza assistere a una delle più grandi feste in chiesa’

 

‘Un europeo non ha mai partecipato ai nostri riti e cerimonie di capodanno, sono destinati solo ai tibetani e ai pellegrini della nostra fede e non sarà mai concesso il permesso di testimoniarli’.

 

‘Il Panchen Rinpoche (il Santo Maestro, il Tashi Lama) deve essere stato informato della mia venuta alcuni mesi fa. Sua Santità sapeva anche da quale direzione avrei dovuto venire, altrimenti non avrebbe potuto inviare le mie lettere al Dangra-yum-tso’.

 

‘Il Panchen Rinpoche non si intromette mai con questioni mondane, queste sono curate da suo fratello’.

 

‘Tuttavia, devo vedere Sua Santità, perché so che mi aspetta’.




Ho preso parte alla grande cerimonia di Capodanno, questo onore mi è stato concesso, ed ammetto che la lotta fra il Bene ed il Male che avanza, e di cui anche io ora dopo molto tempo rifletto e medito ancor con maggiore coscienza, deve essere ben scorto ed interpretato da ognuno così da poterne distinguere il fine.

 

La cerimonia di cui, qual primo Europeo, prendo parte, sublime e meravigliosa, un saggio di sciamanesimo antico, un mito divenuto ispirazione e rappresentazione pur l’apparente superstizione, una lotta ‘cosmica’ delle forze del bene, notevolmente rappresentate, contrastare le opposte forze del male. Penso che il valore  simbolico dell’archetipo cui l’uomo vittima d’ogni secolo da quando nato valga quale antidoto, come la solenne preghiera d’apertura di siffatta rappresentazione racchiudere l’universale formula di pace. 

 

“In ogni terra del mondo intero

 

Questa canzone di lode presto risuonerà”.




La cerimonia culmina con un fuoco sacro dispensatore ed esorcizzatore del male:

 

I Sacerdoti incaricati liberano un grande spazio fra la folla sotto di noi, dove viene acceso un fuoco. Due monaci si fanno avanti e tengono un grande foglio di carta in orizzontale sopra il fuoco alla massima altezza possibile; su questo documento è scritto tutto il male da cui si desidera la protezione durante l’anno che inizia ora, e di tutte le speranze di cui si spera un trionfo sui disegni e l’influenza dei demoni malvagi.

 

Il documento rappresenta anche l’anno passato con tutte le sue sofferenze e tutti i suoi peccati.

 

Un Lama si avvicina al fuoco con una bacchetta in una mano e una ciotola nell’altra, recita alcune formule di incantesimo, esegue con le sue braccia tutti i tipi di scongiuri mistici e lancia il contenuto della scodella, alcune cose infiammabili tra le fiamme, che divampano luminose e consumano in un attimo la carta, l’anno che passa con i suoi peccati e tutto il potere dei demoni.




Tutti gli spettatori si alzano e scoppiano in grida prolungate di gioia, perché ora il male è schiacciato e ognuno può riposare in pace.

 

Ora il Tashi Lama si alza e si ritira lentamente dalla scena cerimoniale con il suo seguito. Dopo la sua partenza i pellegrini si ritirano in perfetto ordine, in silenzio e senza schiacciare, e scendono a Shigatse in un flusso nero di umanità. Quando anche l’ultimo è scomparso cerchiamo i nostri cavalli, accompagnati dai nostri nuovi amici.

 

Oggi più che mai è bene riscrivere questa ampia pagina di storia per sempre scomparsa e da me documentata, giacché ora e mi confesso ancora, anch’io fui partecipe, se pur indirettamente ed in buona fede, del male; di questo sentimento resi partecipe con i miei scritti l’intera umanità giacché furono adoperati per fini diversi da come il Sacro debba essere interpretato e studiato, ed il mio intento tradurre ciò a cui assisto, ma forse non del tutto compreso, giacché osservavo con l’occhio dello scienziato d’un occidente irrimediabilmente malato, e se pur esperto, la dotta ignoranza ha influito con il suo costante spirito  maligno, malvagio, ed ora questo breve foglio un ‘tomo’, affinché si possa ben interpretare come lo stesso mio ‘atto’ possa ricongiungersi in ugual medesimo Rito per tutta quella folla di pellegrini indottrinate nelle certe finalità avverse al male. 


[PROSEGUE....]








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