Un mandala a forma...
Loughcrew è una catena di colline pittoresche, tre miglia a sud-est di Oldcastle. La cresta della catena è estesa circa due miglia e ci sono tre altezze principali: Slieve-na-Calliaghe, 904 piedi; Patrickstown Hill, 885 piedi; e Carnbawn, 842 piedi: ma il nome del primo è generalmente applicato a tutta la catena. Qui, nel raggio di un colpo di fucile, si vede raggruppata la più straordinaria collezione di monumenti arcaici che si possa trovare nel regno d’Irlanda.
Questi sono costituiti per la maggior parte da
sepolcri megalitici sormontati da tumuli e circondati da cerchi di pietre.
Questi sono in numero da 25 a 30 tumuli, alcuni di dimensioni considerevoli,
con un diametro da 120 a 180 piedi; altri sono molto più piccoli e alcuni sono
quasi cancellati che le loro dimensioni difficilmente possono essere accertate
adesso. ‘Riteniamo che non sia eccessivo dire che sulle pietre tra questi
tumuli si trova la più grande collezione di simboli preistorici preistorici mai
trovata in Irlanda o, forse, in Europa.
La superstizione popolare ha a lungo attribuito
questi tumuli e altri resti all’opera di una strega di nome Cailleach Bhéartha, che, nel tentare un
salto selvaggio quanto impossibile nella vicina cittadina di Patrickstown, fu così sfortunata da
cadere e rompersi il collo. Non si sapeva nulla del carattere o del contenuto
di questi tumuli fino al 1858. Nell’autunno di quell’anno il signor Wakeman ne misurò la consistenza e fece
progetti di recupero quindi scrisse un articolo sull’argomento, che fu recensito dalla Società di Architettura dei
Monumenti antichi di Oxford, del professor J.H.
Parker.
Siamo quindi particolari nel dare nomi e date in relazione al primo notizia pubblica delle antichità di Slieve-na-Calliaghe, poiché la loro ‘scoperta’ fu rivendicata ed è ancora erroneamente attribuita al defunto Eugene Conwell. Egli, tuttavia, rese un grande servizio all’archeologia irlandese, in quanto, con la liberale collaborazione del defunto J. L. W. Naper, proprietario del terreno, gli fu permesso di ripulire la maggior parte delle camere e di indagare su ciò che era stato lasciato da ex cercatori dei loro contenuti.
Fu rimossa un’enorme quantità di detriti e furono
portate alla luce pietre che erano rimaste sepolte per secoli. Molti di questi
ultimi sono scolpiti singolarmente e alcuni presentano disegni precedentemente
sconosciuti agli archeologi. Il risultato delle indagini di Conwell fu riportato in documenti letti
davanti alla Royal Irish Academy nel 1864 e 1866, accompagnata da una
mappa con l’indice del cimitero, nella quale le lettere dell’alfabeto indicano
i simboli. Questi, tuttavia, erano di natura sommaria, e il voluminoso
rapporto, con i piani e gli schizzi che aveva preparato, sembra non essere mai
stato pubblicato. Du Noyer preparò
una serie di disegni dei segni incisi su alcune pietre delle camere; questi
rimasero inediti fino ad anni recenti, quando una raccolta di settantasei
disegni e progetti di sei tumuli cadde nelle mani del defunto dottor W. Frazer fu riprodotta dalla Society of Antiquaries of Scotland.
Sembra aver colpito Fergusson, che almeno in un’occasione accompagnò Conwell sul posto, che i monumenti di Loughcrew rappresentassero il cimitero di Taillten, un tempo famoso ma da ora dimenticato, un luogo che avrebbe dovuto essere rappresentato dalla moderna Teltown, distante circa quindici miglia. Dopo aver soppesato le prove in riferimento alla presunta identificazione, Fergusson scrive:
‘Se, tuttavia, questo non è
Taillten, non sono state trovate tombe vicino a Teltown che potrebbero
rispondere alla descrizione che ci rimane di questo celebre cimitero; e finché
non verranno ritrovati, questi tumuli di Loughcrew sembrano certamente avere
diritto a questa distinzione. Non vedo che la questione sia dubbia’.
Secondo gli Annali dei Quattro Maestri, numerosi furono i re e i nobili qui sepolti. Il primo di cui
viene menzionato il nome è Ollamh Fodhla, figlio di Fiacha Finscothach e
fondatore dei Feis a Tara. Eochaidh era il suo nome, e ‘era chiamato Ollamh
(Fodhla), perché era stato prima un dotto Ollamh, e poi re di Fodhla, cioè d’Irlanda’.
I ‘Quattro Maestri’ ne fissano la sua morte nel 1277 a.c. Le
autorità più antiche e attendibili affermano che Taillten cessò di essere
utilizzato come cimitero alla morte di Conchobhor, un re ultoniano, che fiorì a
Erin all’inizio dell’èra cristiana e che, secondo gli Annali di Tighernach , morì nel 33 d.c.
La costruzione di questi tumuli a camera, così peculiari ai nostri occhi, ha origine nell’antichità primitiva; tumuli, i cui resti si trovano ancora tra i Lapponi che abitavano l’estremo nord della Scandinavia. Qui, come sottolinea Arthur Evans, ‘ci sono le pietre ad anello effettivamente utilizzate per sostenere il tumulo coperto di erba dell’abitazione, e c’è la bassa galleria d’ingresso che conduce alla camera interna, che, in effetti, è la rappresentante vivente, e allo stesso tempo il remoto progenitore, della galleria del tumulo a camera’.
Il professor
Adler fa risalire le tombe ad alveare di Micene alla Frigia. Qui, secondo
Vitruvio, gli abitanti delle valli scavarono una fossa circolare, innalzarono
una camera a forma di cono con pali, la ricoprirono di erbacce e rami; sopra al
tutto ammucchiarono un voluminoso strato di terra e tagliarono un passaggio
nella camera dall’esterno. Di questo ‘lavoro’ il dottor Schuchhardt dice:
‘L’analogia è certamente significativa. Gli uomini di tutte le
epoche hanno modellato le dimore dei morti secondo quelle dei vivi; ma i morti
sono ‘conservatori’, e molto tempo dopo che una nuova generazione ha cercato
una nuova dimora e un nuovo modello per le loro case, le abitazioni dei morti
sono ancora costruite in modo ancestrale’.
La distribuzione della spirale, che è una caratteristica così notevole a
Newgrange, ha ricevuto negli ultimi anni molta attenzione da parte degli
archeologi europei. È stata utilizzata in Egitto in un periodo molto antico. Il
dottor Flinders Petrie le ha scoperte su scarabei risalenti alla quinta
dinastia. Si ritiene ora che la spirale abbia raggiunto l’Europa dall’Egitto
verso nord attraverso l’Egeo. Il signor A. J. Evans l’ha trovata a Creta negli
scarabei della dodicesima dinastia (2700–2500
a.c.), ma la sua adozione nell’ornamento miceneo da questa prima ondata
verso nord è messa in dubbio.
Il dottor Petrie ritiene che gli stadi intermedi così evidenti in Egitto siano assenti in Grecia. Le prove sembrano dimostrare che il loro sviluppo in Grecia fu dovuto a un’ondata di influenza dall’Egitto durante la diciottesima dinastia (1580–1320 ac). Nelle mani dei greci raggiunse lo stesso grado di perfezione di quelle Egiziane, e sono state rinvenute in modo altrrettanto elaborato sugli steli, sugli ornamenti d’oro e sui vasi nelle tombe di Micene, nel fregio di alabastro di Tirinto e nelle lastre del soffitto della tomba di Orcomeno *.
[ *…Le immense orde di Vandali, Svevi e Alani, che avevano sfondato
le linee romane e attraversato il Reno gelato nel primo decennio del quinto
secolo, si erano sparse per tutta la Gallia, saccheggiando e devastando al loro
passaggio, fermandosi soltanto dopo aver raggiunto la barriera dei Pirenei. Di
lì si riversarono ad oriente e occidente nelle province confinanti; e questa
invasione fu seguita da molte altre.
All’inizio del secolo la mappa dell’Europa occidentale era già stata irrimediabilmente
alterata da ondate successive di barbari germanici. Alla metà del secolo,
Salviano scrive che Treviri, la sede del governo militare romano, è già stata
devastata quattro volte, che Colonia ‘trabocca di nemici’ che Magonza è ridotta
ad un cumulo di macerie. Non solo non esistono più le province romane, ma è
scomparsa la totalità della raffinata struttura organizzativa della politica
romana e delle comunicazioni. Ne occupano ora il posto i robusti piccoli
principati del Medioevo, gotici analfabeti che regnano su gotici analfabeti,
pagano o in certi casi ariani, ossia professanti una forma degradata e
semplicistica di cristianesimo, nella quale Gesù rivestiva un ruolo simile a
quello di Maometto nell’Islam.
Gli irlandesi dopo Patrick conobbero l’afflusso di anacoreti e monaci in fuga dalle orde barbariche, e da questi indubbiamente appresero talune sottigliezze concernenti la vita eremitica e conventuale.
‘Tutti gli uomini colti al di qua del mare’,
afferma la nota contenuta in un manoscritto di Leida risalente a quell’epoca,
‘fuggirono oltremare in luoghi quali l’Irlanda, determinando un importante
accrescimento del sapere’ – e, indubbiamente uno spettacolare aumento del numero
dei libri – ‘tra gli abitanti di quelle regioni’. Ma un buon numero di questa
gente era costituito da asceti macilenti provenienti da remote contrade romane
come l’Armenia, la Siria e il deserto egiziano.
Il monastero di Bangor nell’Ulster, per esempio,
proclamava nella sua litania di essere ‘ex
Aegypto transducta’ (‘cioè trasferito dall’Egitto’); e la consuetudine di
ornare di puntini rossi le iniziali dei manoscritti, una convenzione presto
divenuta un segno distintivo dei manoscritti irlandesi, venne adocchiata per la
prima volta dagli Irlandesi nei libri che i fuggitivi Copti portarono con sé.]
Il signor Evans ci dice:
‘Sulla scia del commercio antico gli stessi motivi spiraliformi si
sarebbero diffusi ancora più lontano fino al bacino del Danubio, e di là a loro
volta attraverso la valle dell’Elba fino alla costa dell’Ambra del Mare del
Nord, per poi rifornire il Popolazione scandinava dell’età del bronzo con i
loro caratteristici disegni decorativi. Adottate dalle tribù celtiche dell’Europa
centrale, presero, più tardi, una svolta verso ovest, raggiunsero la Gran
Bretagna con gli invasori Belgi, e infine sopravvissero nell’arte irlandese’.
Ma c’è molto a sostegno della teoria secondo cui
la spirale raggiunse l’Irlanda dalla Scandinavia, e non attraverso la rotta
diretta occidentale, poiché la comunicazione tra le razze esisteva fin da tempi
molto antichi. Questo punto di vista è sostenuto da George Coffey, che discute
il tema dell’ornamento preistorico in Irlanda in una serie di articoli ha
contribuito al Journal of the Royal Society of Antiquaries (Irlanda). Accetta
anche la teoria, sostenuta anche dal prof. Montelius, secondo cui il cerchio
concentrico è una spirale degradata; ed è dell’opinione che, dove si trovano
entrambi, la spirale è la forma più antica delle due.
La distribuzione della spirale è molto diffusa, e
anche la spirale di ritorno è stata utilizzata dai Maori nella decorazione del
viso e non solo per un lungo periodo. La spirale è una forma che l’uomo
primitivo noterebbe ovunque; ed è del tutto possibile in questioni come questa,
come nei miti, nei costumi e negli oggetti comuni alla maggior parte delle
razze, insistere in una sola direzione. Ma la diffusione dell’ornamento a
spirale in tutta Europa, come risultato dell’influenza micenea, riceve conferma
da paralleli simili stabiliti in connessione con altri importanti rami della
ricerca archeologica.
Molti archeologi sono stati finora dell’opinione che le sculture sulle rocce che compongono queste camere sepolcrali siano simboliche; ma non è stata ancora data alcuna spiegazione soddisfacente del loro significato religioso. Alcuni, tuttavia, ritengono che siano semplici ornamenti e che non abbiano in alcun modo un significato criptico. Molte delle pietre, nella posizione in cui sono ora collocate, come abbiamo già sottolineato, devono essere state scolpite in precedenza, e potrebbero probabilmente aver avuto qualche altro scopo in un periodo precedente. Si nota facilmente che lo stesso ornamento esiste medesimo su molti oggetti ai quali non potrebbe appartenere alcun simbolismo allegato; c’è anche un’assenza di ogni idea di metodo nello stile, e una mancanza di unità nella combinazione, che sono contrarie a qualsiasi teoria tranne quella del mero desiderio dell’uomo primitivo di decorare. Sebbene molto sia stato scritto sulla questione, tuttavia, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è impossibile arrivare ad una conclusione definitiva sull’argomento.
LA TRAGEDIA PAGANA
Antichissime gesta d’eroi svolte e rinnovellate
con sensibilità moderna; ballate e poemi gaelici voltati in inglese con una
ricchezza ed un’agilità di ritmi ammirevoli; pitture e sensazioni di vita
rustica; il sospiro idealista dell’anima celtica portato fino ai confini
estremi del simbolismo e del neoplatonismo: tali gli aspetti della materia lirica
che quei poeti presero a cantare, aspetti che poi tutti si armonizzarono in
quanto avevano di più eletto, di più “nazionale” nell’opera di un maestro dello
stile, di un artista incomparabile: W. B.
Yeats.
Nessuno, meglio di lui, aveva incarnato gli elementi tipici della razza irlandese. Fare della poesia, come aveva fatto il gruppo di Davis, una enunciazione di opinioni politiche, era un avvilirla. Il patriottismo di un artista dev’essere implicito non esplicito, la letteratura nazionale non nazionalista. Ed egli si era assunto dimostrarlo, mettendo a profitto la sua vasta coltura e il suo sicuro sentimento. Il primo poema ch’egli diede alla luce, è ‘The vanderings of Usheen’, schietta rappresentazione di vita leggendaria.
È Usheen, il vecchio eroe del “Ramo Rosso” che narra com’egli si fosse messo in via, cavalcando sul mare, a
fianco dell’innamorata sua, la Regina Niam, una bella immortale, e come, dopo
lungo cammino in mezzo alle spume, giungessero ad un’isola ed entrassero in un’antichissima
selva. E là videro, disteso in una valle, sotto l’ombre e le stelle un
mostruoso popolo di dormenti.
“ Ciascuno di questi giganti era più grosso di quattordici
uomini messi insieme e aveva il corpo color del latte rappreso e la punta delle
orecchie piumata e accanto a sé teneva mazze, scudi, spade, archi da guerra e
corni d’argento e d’oro dentro i quali poteva dormir rannicchiato un bimbo di
tre anni. Avevan facce bellissime ma piene ancor del tormento delle antiche passioni,
e dormivano colà da tempo immemorabile tanto che i gufi avevano fabbricati i
nidi dentro i loro capelli, stipando le fibrose penombre con lunghe generazioni
di occhi.
Ma un d’essi una bianca creatura i cui ginocchi poggiavano fino alla molle fiamma stellare stringeva nelle sue mani un ramo fiorito di campanule. Quel popolo di colossi, dopo le guerre del mondo, s’era ridotto colà ad alimentare con quei pallidi fiori il suo sonno immortale. Usheen, allora, mette mano al corno, vi intuona dentro una lunga nota, poi grida:
‘Esci fuori dal tuo sonno o Re dall’unghie d’oro, e narrami di tua
schiatta prosperosa e de’ tuoi grandi travagli! Degno son ben io d’ascoltarti,
io, Usheen che vengo dalla terra de’ Fenia’.
Ma il Re, per tutta risposta, agitò tra mano quel ramo di fiori sì
che ne gocciolò giù un suono più languido di un fiocco di neve d’aprile. Ed
Usheen, stordito e vinto dalla suprema dolcezza di quella musica, si sente
invadere sino alla midolla della malinconia de’ secoli passati e scorda gli
antichi affanni e piomba in un profondo sopore. E colà si giace, per trecent’anni,
accanto alla sua innamorata, che gli tiene la testa posata sul petto.
Dimenticò come dal frassino si tragga l’impugnatura della spada,
come il martello rimbalzi sull’incudine quando si tempra la punta incandescente
della lancia e come s’illuminavano i buoi occhi azzurri ai suoi campi natali. E
rivede in sogno la sua antichissima gente, i Re, i Naviganti, i Demoni, i
Fènia, suoi commilitoni, vestiti di rosso, in un lungo corteo. Quindi si
sveglia e vuol abbandonare il Paese degl’Immortali,
le loro penombre ebbre di sonno e di dimenticanza. L’addio del vecchio eroe all’innamorata
Regina è pieno di una maestà epica che ricorda simili addii nella Saga di
Tegner e del Kalevala:
Gridai:
‘O Niam! O tu candida! Se per un sol giorno soltanto
Potessi’io contemplare la barba di Finn, e andare là dove vecchi e
giovani,
Nelle dimore viminee dei Fènia, giuocano, chinati sugli
scacchieri, ah, grata mi sarebbe perfino la lingua maligna dei Conan.
Io sono simile a quella galea, sperduta, laggiù, fra l’isole del
Meriggio.
Ricorda essa la sua ciurma longireme, ma se ne torna issando per
vela un logoro drappo.
Non più trascinarmi sul mare co’ remi lunghi, per miglia e miglia.
Ma essere là in mezzo allo svolare dell’api, al fiorire de’giunchi
e alle bandiere’.
Ed essa mormorò:
‘O Usheen errante, nullo è il potere del ramo di campanula, viva
fluisce nelle tue dita la trepidante tristezza della terra.
E tu va, cavalcando attraverso regni e paesi e vedi ciò che gli
uomini fanno, poi ritorna alla tua Niam, sulla vetta dei flutti.
Ma piangi la tua Niam, o Usheen errante, piangi: poichè solo che i
tuoi piedi sorradano, svelti come topi, le sabbie della terra, non verrai più a
riposare al mio fianco.
O risplendente leone del mondo, O quando tornerai alla tua pace?
Da lontano, a cavallo, io la guardava; dalla terra veniva il suo lamento:
Voglio sparire come una piccola foglia d’autunno, che petto contro
petto non staremo noi più, né i nostri sguardi smarriti le loro desolate
dolcezze mescoleranno sulle isole de’ più lontani mari dove solo gli spiriti
abitano.
Erano i venti men molli del respiro d’un colombo che dorma sopra
il suo nido.
Non dileguò nel lume delle stelle o nelle fragranze il rullo dell’onda
marina?
O risplendente leone del mondo,
O quando tornerai alla tua pace? ”
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