venerdì 21 dicembre 2012
IL CENSIMENTO (...i fori degli squilibrati...)
Prosegue in:
Una macchina che conta &
E una che ha smesso di contare
Cortine di fumo aleggiavano su uomini resi insensibili dalle torture e dalla
fame, uomini spossati che si lasciavano cadere a terra in attesa di abban-
donarsi alla morte.
Eppure, quasi tutti i 60.000 individui stipati in quell'assurda radura tra i
sempreverdi continuavano a correre qua e là, portando a termine i com-
piti loro assegnati e dimostrando di essere pronti ad affrontare un altro
giorno di vita.
Il loro unico obiettivo era sopravvivere un momento dopo l'altro.
Quest'incubo era il campo di concentramento di Bergen-Belsen; un vero
inferno sulla Terra creato dalla Germania nazista.
Sul retro del campo, a pochi metri dal recinto posteriore, sorgeva una
solitaria torretta di guardia. La sua struttura in legno, formata da pali in-
crociati, si alzava nell'aria e, guardando giù da questa imponente costru-
zione, si vedevano sulla destra tre file ordinate di baracche di legno. A
sinistra, si scorgevano cucine, officine, latrine e magazzini sparpagliati
tra i sentieri curvi e fangosi.
Il carcere terminava diverse centinaia di metri più in là, presso il cancello
che conduceva all'ufficio del comandante del campo e all'accampamento
delle SS. Un perimetro di filo spinato delimitava il campo, mentre una se-
rie di corridoi di perlustrazione suddivideva i crudeli confini in sei sotto-
campi.
Proprio sotto la torre d'osservazione posteriore, un forno dalla sommità
arrotondata era acquattato sulla superficie del fango. Nero e di forma al-
lungata, il forno ricordava una locomotiva, ma con due pesanti sportelli
nella parte anteriore.
Il suo unico fumaiolo alto e fuligginoso si ergeva nell'aria per diversi metri.
Nelle vicinanze era sempre presente una specie di barella in metallo fatta
a mano, utilizzata per far scivolare tra le fiamme i cadaveri emaciati.
Ecco il crematorio.
Non nascosto alla vista, non oscurato da strutture o cumuli di terra, il lo-
cale era abbastanza vicino da irritare gli occhi alle guardie della SS di stan-
za nella torre. Tutti consideravano la lugubre struttura e il suo messaggio
come la stazione d'arrivo finale qualora il destino avesse deciso di vacilla-
re...o di dare la liberazione definitiva.
Situato fra due fiumi e tra le città di Bergen e Belsen, il centro vide la lu-
ce nella primavera del 1943 come campo di transito per 10.000 ebrei
che avrebbero potuto essere riscattati o venduti (prima di essere deruba-
ti di ogni loro avere....).
Negli ultimi mesi del 1944 e nei primi del 45, mentre i campi di sterminio
venivano liberati dagli alleati, Belsen si trasformò in un ammassamento u-
mano da incubo, che riceveva prigionieri dagli altri centri.
Nella primavera del 45, vi erano ormai rinchiuse 40.000 persone in con-
dizioni indescrivibili. Affamate, sovraffaticate e torturate molto spesso se-
viziate, le vittime furono quasi 20.000 solo nel marzo di quell'anno.
Dopo la liberazione, le inorridite équipe mediche dei "liberatori" non po-
tevano fare nulla per salvare circa 14.000 moribondi.
Alla fine, furono utilizzati i buldozer per gettare i corpi in fosse di racca-
pricciante rigor mortis.
A qualche metro dal crematorio di Belsen, sulla sinistra, vicino alle cuci-
ne e alle cisterne, lungo un sentiero fangoso, sorgeva la casa del diretto-
re del blocco. Talvolta i prigionieri la chiamavano 'la tana del leone'. Là
dentro vi era una stanza per l''Arbeitsdienstfuhrer', il direttore del servi-
zio del lavoro.
Era qui che venivano preparate le schede perforate Hollerith.
A prima vista, sembravano semplici schede rettangolari, lunghe 13 cen-
timetri e larghe 8, suddivise in colonne con fori disposti in varie file. Però
erano molto più di semplici schede.
A partire dal dicembre del 44, Rudolf Cheim, un ebreo olandese, fu asse-
gnato all'ufficio del servizio del lavoro. Affamato e intirizzito, ogni gelida
mattina Cheim cercava di mettere da parte un po' di cibo in più e qualche
fiammifero per accendere un fuoco.
Gli sterpi erano ammucchiati nell'ufficio, ma non i fiammiferi.
Per procurarseli, Cheim doveva avventurarsi nell'altra stanza, dove gli uf-
ficiali della SS stavano spaparanzati sulle loro sedie. Immancabilmente l'e-
breo veniva preso a pugni per essersi avvicinato, ma ne valeva la pena per-
ché avrebbe potuto sopravvivere.
Lavorare nell''arbeitsdienst' non era male.
L'Ufficio del servizio del lavoro aveva potere di vita e di morte sui prigio-
nieri, compreso Cheim. Finché erano in grado di lavorare, i detenuti pote-
vano vivere. Cheim era felice di aver ricevuto un incarico impiegatizio che
avesse a che fare con le schede perforate Hollerith e i loro numeri in codi-
ce.
Mentre lavorava, osservava tuttavia con la coda dell'occhio gli uomini del-
la SS che eseguivano la procedura di selezione delle schede. Prese mental-
mente appunti per cinque settimane.
L'ebreo imparò ben presto il metodo.
Ogni giorno, arrivavano nuovi carichi di schiavi.
I prigionieri venivano identificati mediante le descrizioni delle schede Hol-
lerith, che contenevano ognuna colonne e fori indicanti nazionalità, data di
nascita, stato civile, numero di figli, motivo dell'incarcerazione, caratteri-
stiche fisiche ed esperienze lavorative.
Nelle colonne 3 e 4 erano elencate 16 categorie codificate di prigionieri,
che variavano a seconda della posizione del foro:
il foro 3 significava omosessuale,
il foro 9 antisociale &
il foro 12 vagabondo.
Il foro 8 significava invece ebreo.
Anche i tabulati stampati a partire dalle schede elencavano i prigionieri
in base al numero di codice personale.
La colonna 34 recava il titolo:
'Motivo dell'allontamento'.
Il codice 2 si riferiva semplicemente al trasferimento in un altro campo
per il proseguimento del lavoro.
Il codice 3 indicava la morte naturale.
All'esecuzione corrispondeva il codice 4.
Al suicidio il codice 5.
Lo spaventoso codice 6 equivaleva a 'trattamento speciale', l'espres-
sione comunemente utilizzata per designare lo sterminio nella camera
a gas, per impiccagione o con un proiettile.
Mentre i treni arrivavano dal Belgio, dalla Francia e dall'Olanda, mi-
gliaia di schede perforate venivano esaminate ed elaborate e le infor-
mazioni venivano inviate al dipartimento di statistica dell'Ufficio econo-
mico delle SS a Oranienburg.
Gli uomini e le donne numerati venivano confrontati con una lista di in-
carichi vacanti a Bergen-Belsen e in altri campi.
'Mai un nome' ricorda Cheim.
'Solo numeri'.
Il numero dei morti era solo una statistica di cui prendere atto, un detta-
glio che le macchine avrebbero dovuto elaborare.
Nel dicembre del 944, furono registrati circa 20.000 prigionieri; sulle
schede perforate vennero documentati in media 50 decessi al giorno.
Cheim imparò che, per scoprire di quali figure professionali fosse com-
posto un gruppo di prigionieri, occorreva inserire la scheda perforata di
ciascun detenuto nel classificatore meccanico. Poi i quadranti venivano
regolati in modo da isolare determinate professioni, esperienze lavorati-
ve, gruppi d'età o conoscenze linguistiche necessarie per i battaglioni.
Quando un prigioniero veniva destinato al lavoro, il suo nome compari-
va sugli stampati Hollerith e lui veniva trasportato in un sottocampo, in
una fabbrica o persino in una fattoria dei dintorni......
(E. Black, L'IBM & l'Olocausto)
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