L'evento
Mazzini: 'io non sono Nobile' (un varco per l'Oriente)
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Dal diario dell' 'Italia' (4)
Dal diario di Umberto Nobile
Partendo dall'Italia per la spedizione regolai le mie cose personali
come se non dovessi più tornarvi.
Lasciato dietro di me ogni pensiero, ogni cura personale, non vis-
si da quel momento che per la mia impresa e in essa concentrai il
mio spirito sicché ogni particolare delle sue vicende mi si inflisse
profondamente nella mente.
Tuttavia, dovendo qui riassumere, come mi par necessario di fare,
non potrei affidarmi alla memoria perché alla distanza di 40 anni,
non riuscirei mai a narrarle con la vivezza e precisione con cui lo
feci appena tornato in Italia.
Sono, dunque, costretto a rifarmi, nell'esposizione, a quanto scris-
si in quel tempo.
La spedizione fu effettuata nell'aprile e maggio del 928.
In quei mesi le condizioni meteorologiche in Europa e nelle re-
gioni artiche furono pessime.
Mentre con la nostra aeronave ci trovavamo già in Germania,
i meteorologi sovietici, che avevano speciali metodi statisti-
ci per pronosticare il tempo a lunga scadenza, mi avevano fat-
to
avvertire che in quella primavera nella regione polare avrem-
mo trovato condizioni atmosferiche assolutamente sfavorevo-
li.
Essi, perciò, consigliavano di rinviare la spedizione, ma l'avver-
timento era giunto troppo tardi. La spedizione era già in pieno
corso.
Partimmo da Milano nella notte tra il 14 e 15 aprile, alle 1.55
diretti a Stolp sul Mar Baltico.
Nell'attraversare le Alpi carsiche una violenta raffica di vento
spezzò una chiglia dell'aeronave. Più avanti sui monti Sudeti,
fummo investiti in pieno da un fronte di temporali.
Volavamo immersi nella nebbia sicché il terreno si vedeva a
stento.
All'improvviso vi fu una fitta grandinata che corrose il lembo
delle eliche. Fra la grandine guizzarono i primi lampi.
Il temporale ci circondò da ogni lato.
Le scariche elettriche si succedevano l'una all'altra, a sinistra,
avanti, dietro di noi.
In ogni istante un fulmine avrebbe potuto colpire l'aeronave
che, con i suoi 19.000 metri cubi di idrogeno, sarebbe preci-
pitata in fiamme.
Per ridurre il pericolo ordinai di volare basso (cosa che ci
riusciva assai bene...), a 100 o 150 metri dal suolo.
Navigammo così attraverso le montagne, in mezzo al tem-
porale, ora salendo per superare un rialzo del terreno, ora
discendendo per riavvicinarci al suolo, e deviando continua-
mente per non urtare contro le creste delle colline che all'-
improvviso ci comparivano davanti fra la nebbia.
Fu una corsa estremamente pericolosa, fatta a fior di terra,
fra un continuo lampeggiare e lo scoppiare lacerante dei tuo-
ni.
Una prova assai dura ci attende.
Alle 7.50 del 16 aprile discendemmo sul campo di Jesseritz,
aiutati nella manovra dai soldati tedeschi fatti venire dal-
la guarnigione di Stolp.
Ci fermammo alcuni giorni a Stolp per riparare i danni avuti
durante il volo, ed anche per aspettare che la 'Città di Mila-
no', la nave che la Marina italiana aveva messo a nostra di-
sposizione e che portava allo Svalbard i materiali di riforni-
mento, giungesse alla baia del Re.
Essa era ferma a Tromso e tuttora non salpava perché la
baia era completamente ghiacciata.
Rimessa in ordine l'aeronave, mi recai a Berlino per essere
presentato al maresciallo Hinderburg, presidente del Reich,
e per incontrarmi con mia moglie che, insieme con la nostra
bambina, era giunta da Roma.
(U. Nobile, La Tenda rossa)
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