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…. Cosa significa affermare che le parole sono ispirate da Dio se la
maggior parte delle persone non ha alcun accesso a tali parole, ma solo a
interpretazioni più o meno goffe in una lingua, come per esempio l’inglese, che
non ha nulla a che spartire con il testo originale?
A mano a mano che approfondivo la riflessione sui manoscritti che
tramandavano quelle parole, le mie domande diventavano sempre più complicate.
Più studiavo il greco, più mi interessavano i manoscritti che conservavano il
Nuovo Testamento, e la critica testuale che, si presume, possa aiutare a
ricostruire quali fossero le parole originali. Continuavo a tornare al mio
interrogativo di fondo: come può essere di aiuto affermare che la Bibbia è la
parola infallibile di Dio quando in realtà non abbiamo le parole che Dio ispirò
in modo infallibile, bensì solo quelle copiate dagli scribi, talvolta in modo
corretto, talaltra (spesso!) in modo errato?
A che serve dire che i manoscritti autografi (cioè gli originali)
furono ispirati? Noi non abbiamo gli originali! Abbiamo solo delle copie piene
di errori, in grande maggioranza distanti secoli dai primi scritti, da cui si
discostano in maniera evidente in migliaia di modi. Questi dubbi mi
tormentavano (ma non solo l’autore di questo interessante libro…) e al tempo
stesso mi spingevano a scavare sempre più a fondo per comprendere che cosa
fosse veramente la Bibbia…..
… Nel secondo semestre, mentre frequentavo un corso con un professore molto riverito e pio di nome Cullen Story, giunsi a una svolta. Il corso riguardava l’esegesi del Vangelo di Marco, all’epoca (e tuttora) il mio vangelo preferito. Per il corso dovevamo essere in grado di leggere in greco quel vangelo da cima a fondo e tenere un taccuino di appunti sulle nostre riflessioni riguardo all’interpretazione di brani importanti. Discutevamo i problemi relativi e dovevamo scrivere un saggio finale su una difficoltà esegetica di nostra scelta. Optai per un passo in Marco 2, dove Gesù viene apostrofato dai farisei perché i suoi discepoli, affamati, di sabato avevano attraversato un campo di grano, raccogliendone le spighe. Gesù vuole mostrare agli interlocutori che ‘il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato’ e così ricorda loro come si era comportato il grande re Davide quando lui e i suoi uomini avevano avuto fame: come fossero cioè entrati nel tempio ‘al tempo del sommo sacerdote Abiatar’ e avessero consumato i pani sacri, che solo ai sacerdoti era lecito mangiare.
Uno dei ben noti problemi di questo brano è che, se si consulta il
passo dell’Antico Testamento citato da Gesù si scopre che l’episodio di Davide
era avvenuto non quando era sommo sacerdote Abiatar, ma quando lo era
Achimelec, suo padre. In altre parole, quello in questione è uno dei passi che
sono stati segnalati per dimostrare che la Bibbia non è affatto infallibile,
anzi contiene degli errori.
…. E forse gli ‘errori’ riguardavano anche questioni importanti. Quando Marco dice che Gesù fu crocefisso il giorno dopo il pranzo della Pasqua ebraica e Giovanni dice che morì il giorno prima che esso fosse consumato, forse si tratta di un’autentica discrepanza. Oppure quando nel suo resoconto della nascita di Gesù Luca rivela che Giuseppe e Maria tornarono a Nazareth poco più di un mese dopo che erano venuti a Betlemme, mentre Matteo afferma invece che fuggirono in Egitto, forse questa è una differenza. O quando Paolo dice che dopo la propria conversione sulla via di Damasco non andò a Gerusalemme per vedere coloro che erano stati apostoli prima di lui, mentre gli Atti dicono che fu la prima cosa che fece dopo aver lasciato Damasco, anche questa forse è una differenza.
A tale consapevolezza si aggiunsero i problemi che incontravo a mano a
mano che studiavo più da vicino i manoscritti greci superstiti del Nuovo
Testamento. Dire che gli originali furono ispirati va bene, ma la realtà è che
noi non ne siamo in possesso, e dunque quell’affermazione non è di grande
aiuto, a meno che non si sia in grado di ricostruirli. Inoltre, in tutta la
storia della Chiesa la maggioranza dei cristiani non ha avuto accesso agli
originali, fatto che ne rende l’ispirazione una questione un po’ controversa.
Non soltanto non abbiamo gli originali, ma non siamo neppure in possesso delle
loro prime copie. Anzi, non abbiamo nemmeno le copie, e neppure le copie delle
copie delle copie. Quello che possediamo sono copie eseguite più tardi, molto
più tardi. Nella maggior parte dei casi, diversi secoli dopo. E le copie sono
tutte differenti una dall’altra, in migliaia di punti. I passi divergenti sono
così tanti che non sappiamo neppure quante siano le differenze. La cosa più
semplice è forse esprimersi in termini comparativi: fra i tanti manoscritti in
nostro possesso esiste un numero di differenze superiore a quello delle parole
del Nuovo Testamento.
La gran parte di esse è, però, del tutto irrilevante. In genere dimostra solo che gli antichi scribi non conoscevano l’ortografia meglio della maggioranza di noi. In ogni caso, che cosa bisogna dedurre da tutte queste differenze? Che senso ha sostenere che Dio ha ispirato ogni singola parola delle Sacre Scritture dal momento che noi non le abbiamo? In alcuni punti non possiamo affatto essere sicuri di avere ricostruito il testo originale con precisione. E’ un po’ difficile conoscere il significato delle parole della Bibbia se non sappiamo neppure quali esse siano!
…. I cristiani, come naturale, erano interessati a saperne di più sulla
vita, gli insegnamenti, la morte e la resurrezione del loro Signore, e così
furono scritti numerosi vangeli che narravano le tradizioni legate alla vita di
Gesù. Quattro di questi testi divennero i più comuni (quelli di Matteo, Marco,
Luca e Giovanni nel Nuovo Testamento), ma ne furono scritti molti altri, alcuni
dei quali ancora in nostro possesso. Ne sono un esempio i vangeli attribuiti al
discepolo di Gesù Filippo, a suo fratello Giuda Tommaso e alla sua compagna
Maria Maddalena.
Altri vangeli, inclusi alcuni fra i più antichi, sono andati perduti.
Ne siamo a conoscenza grazie, per esempio, al Vangelo di Luca, il cui autore
rivela che, per scrivere il suo racconto, ha consultato ‘molti’ predecessori,
che senza dubbio sono scomparsi. Una di queste precedenti narrazioni può essere
stata la fonte che gli studiosi hanno denominato Q, con ogni probabilità un
resoconto scritto, per lo più dei detti di Gesù, utilizzato sia da Luca sia da
Matteo per molti degli insegnamenti del Maestro che li contraddistinguono. Come
abbiamo visto, la vita di Gesù fu interpretata da Paolo e da altri alla luce
delle Scritture ebraiche. Anche tali libri, il Pentateuco e vari scritti
ebraici, come i libri profetici e i Salmi, erano molto usati fra i cristiani,
che li studiavano per vedere che cosa potessero rivelare sulla volontà di Dio,
soprattutto riguardo a come essa fosse stata compiuta in Cristo. Nelle prime
comunità cristiane copie della Bibbia ebraica, di norma nella traduzione greca,
erano assai diffuse come fonti di studi e riflessioni.
Le fiorenti comunità cristiane del I e del II secolo erano interessate
non solo alla vita di Gesù, ma anche a quelle dei suoi primi discepoli. Non è
una sorpresa, quindi, che i racconti degli apostoli giungessero a occupare un
posto importante agli occhi degli adepti interessati a saperne di più sulla
propria religione. Una di queste narrazioni, gli Atti degli apostoli, entrò
alla fine del Nuovo Testamento. Ma molti altri racconti furono scritti, per lo
più riguardanti singoli apostoli, come quelli trovati negli Atti di Paolo, e
negli Atti di Tommaso. Di altri Atti, quando non sono andati del tutto perduti,
sono rimasti solo frammenti…..
…. In base alle testimonianze superstiti siamo in grado di risalire
anche più da vicino alla formazione del canone cristiano delle Sacre Scritture.
Nella stessa epoca in cui scriveva Giustino, verso la metà del II secolo, a
Roma era attivo anche un altro illustre cristiano, il maestro filosofo
Marcione, in seguito dichiarato eretico. Marcione è per molti aspetti una
figura affascinante. Era giunto a Roma dall’Asia Minore, dopo aver fatto
fortuna in quella che era senza dubbio un’attività nel settore delle
costruzioni navali. Restò a Roma cinque anni, dedicando gran parte del suo
tempo a insegnare la propria interpretazione della fede cristiana e a
elaborarne i dettagli in numerosi scritti. La sua produzione letteraria forse
più importante non fu qualcosa che scrisse, bensì qualcosa di cui curò
l’edizione.
Marcione fu il primo cristiano del quale sappiamo che redasse un vero e
proprio ‘canone’ delle Sacre Scritture, vale a dire una raccolta di libri che,
come affermava, costituivano i testi sacri della fede. Per comprendere questo
iniziale tentativo di fissare il canone, dobbiamo sapere qualcosa di più circa
l’insegnamento di Marcione. Questi era assorbito dalla vita e dalle dottrine
dell’apostolo Paolo, da lui considerato l’unico ‘vero’ apostolo della Chiesa
delle origini. In alcune sue lettere, come quella ai romani e quella ai galati,
Paolo aveva insegnato che una buona reputazione al cospetto di Dio derivava
solo dalla fede in Cristo, non dal compimento di alcuna delle opere prescritte
dalla legge ebraica. Marcione condusse questa differenziazione fra la legge
ebraica e la fede in Cristo a quella che riteneva la sua conclusione logica,
l’esistenza di una distinzione assoluta fra la legge da una parte e il vangelo
dall’altra.
Vangelo e legge erano a dire il vero tanto diversi da non poter essere
venuti entrambi dallo stesso Dio. Marcione ne deduceva che il Dio di Gesù (e di
Paolo) non fosse, pertanto, il Dio dell’Antico Testamento. Esistevano, in
realtà, due diversi dei: il Dio degli ebrei, che aveva creato il mondo e
chiamato Israele a essere il suo popolo dandogli la sua severa legge, e il Dio
di Gesù, che aveva mandato Cristo nel mondo per salvare la gente dall’adirata
vendetta del Dio creatore degli ebrei.
Marcione credeva che questa interpretazione di Gesù fosse insegnata
dallo stesso Paolo, e così, naturalmente, il suo canone includeva le dieci
lettere di Paolo a sua disposizione. E
poiché Paolo qualche volta parlava del suo ‘vangelo’, Marcione incluse nel
canone un vangelo, una forma di quello che è ora il Vangelo di Luca. E questo
era tutto. Il canone di Marcione era composto da undici testi: nessun Antico
Testamento, solo un vangelo e dieci epistole. Ma non basta: Marcione era giunto
a credere che dei falsi credenti, che non condividevano la sua interpretazione
della fede, avessero diffuso questi undici libri copiandoli e aggiungendo qua e
là delle parti per adeguarli alle proprie convinzioni, inclusa l’‘errata’
opinione che il Dio dell’Antico Testamento fosse anche il Dio di Gesù. E così
Marcione ‘corresse’ gli undici libri del suo canone eliminando i riferimenti al
Dio dell’Antico Testamento o alla creazione come opera del vero Dio, o alla
legge come qualcosa da osservare.
Il tentativo di Marcione, per il vero, di rendere i suoi testi sacri più
conformi al suo insegna-mento modificandoli non era proprio una novità. Sia prima sia dopo di lui, i copisti della pri-
ma letteratura cristiana di tanto in tanto.....
(Prosegue....)
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