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La Gnosi
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Gnosi Pagana (13) (Eretici 8)
Il pubblico di Giuliano era composto, nella dialettica ‘Contra
Heracleium’, per sua stessa e inorridita ammissione, da ‘menti disposte a tutto
tranne che allo studio della filosofia…’.
Ad un tempo, predicatore, teologo e polemista, nonché monaco per il suo
proverbiale ascetismo, egli si sforzò di dimostrare, al pari dei critici pagani
dei secoli precedenti, che le parti salienti dei Vangeli, null’altro erano che
un prestito dell’evoluzione ‘Gnostica della Storia umana’, episodi più o meno
ricorrenti, nei quali il Divino cade nell’ ‘inumanità terrena’. Ed inoltre che
le parti salienti dei Vangeli erano state prese in prestito dalla mitologia e
dalla teologia del paganesimo, chiaramente questo aspetto ‘antropologico’ (o
studioso della storia delle religioni…) della figura di Giuliano, non mancarono
di suscitare irate reazioni da parte dei cristiani contemporanei, soprattutto
quelli avvezzi ad un approccio ‘favolistico’ (ad uso di vecchiette e bambini) della disciplina teologica.
Il Filosofo Giuliano, mirava in primo luogo a convincere e dimostrare
attraverso una ‘inattesa Gnosi’ per quei difficili secoli, l’opinione pubblica
del legame esistente ed ‘imprescindibile’ fra la religione greco-romana ed i
culti misterici semi-ufficiali, di cui in molti casi era egli stesso un
seguace.
Desiderava che i suoi sudditi si rendessero conto dell’importanza
assunta dagli ‘Dèi dell’Olimpo’, nel contesto di una teologia non meno
originale del nascente cristianesimo.
La tentata riabilitazione spirituale di Euripide ne è un esempio
storico di chiara manifestazione ‘velata’ dello Gnosticismo pagano. Solo degli
ignoranti (quali erano e sono i Cinici..) potevano considerare irrilevante sul
piano spirituale la filosofia di Eraclito ed Empedocle. Giuliano dimostra che,
se Eraclito aveva indicato nella teurgia l’unica strada per giungere
all’illuminazione, Empedocle, imbevuto della stessa conoscenza mistica di
Giuliano, aveva descritto la condizione miserevole di coloro i quali sono
ciechi dinanzi alle verità teologiche (anzi spesso come già successo al Cristo
degli Ebrei, uccidono il loro stesso Dio, purché si assecondi il Dio Secondo
degli Scribi del Tempio).
Giuliano, lo associa, come altri Gnostici Eretici prima di lui, nel
tentativo della stessa ‘prosecuzione storica’, a Platone, Aristotele, Plotino e
Giamblico, sottolineando ad un tempo l’origine orfico-pitagorica dei ‘misteri’ e
la sostanziale unità della dottrina neoplatonica. Il motivo va ricercato nella
difesa di una ‘teurgia’ con le parole prese in prestito da Plotino, ma si
trincera dietro oscure formule pitagoriche quando teme di avere, a causa
dell’entusiasmo teologico-divino, rivelato più del dovuto, anche a quegli
stessi cinici-ignoranti che rappresentavano una forma corrotta e falsa di filosofia.
Linguaggio ermetico-velato che non sarà nuovo nella storia del pensiero
culturale italiano, vittima di una futura ed agonizzante ignoranza.
Infatti, nel ‘Contra Haracleium’, Giuliano oltre a scagliarsi contro i
‘cani-ignoranti ed ipocriti’, afferma, sia pur in modo frammentario e allusivo,
che la teurgia neoplatonica ‘ha’ profonde radici nella tradizione teologica
greca (e di conseguenza questa con….). Da questo punto di vista si limita a
ricalcare le orme del grande esegeta sincretista Giamblico, ispiratore dei due
principali sviluppi della Scuola.
Adottando i principi della teurgia e le pratiche esoteriche degli
‘Oracoli Caldei’, Giamblico trasformò il neoplatonismo da filosofia fortemente
caratterizzata in senso mistico a religione misterica; inoltre si sforzò di
presentare la propria dottrina come l’unica in grado di riprendere i temi del
pensiero filosofico greco dell’età classica.
Se il maestro di Apamea era il Padre pagano per eccellenza, Giuliano
amava considerarsi il primo dei suoi apostoli (nella ferma volontà di salvare
una cultura millenaria di ordine teologico-filosofico), infatti egli si adoperò
per convincere i contemporanei che la dottrina morale e filosofica, ovvero il
fiore della tradizione filosofica ellenica, affondava le sue radici in Oriente,
e che Pitagora, Platone e Aristotele, si erano limitati a tradurre nei termini
del ‘razionalismo ellenico’ un sapere conservato ed elaborato dai successivi
sviluppi del pensiero greco.
(Prosegue...)
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