Precedenti capitoli:
Le vie dei canti: i coloni (6) &
Accurata valutazione di un idiota &
Old Ord river blues (la ballata di Reg)
Prosegue in:
Le vie dei canti: i nativi (& la vita) (8) &
Secondo sogno: ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Deve essere stato l’odio razziale a metter loro in conto una buona
parte della nomea di scarsa intelligenza che portano e hanno portato
nell’opinione che il mondo ha di loro.
Erano pigri – sempre pigri. Forse era questo il loro problema. E’ un
difetto micidiale. Sicuramente essi avrebbero potuto progettare e costruire una
casa adeguata, ma non lo fecero. E avrebbero potuto inventare e sviluppare le
arti dell’agricoltura, ma non lo fecero. Andavano nudi e senza tetto, e
vivevano di pesce e larve e vermi e frutta selvatica, ed erano con ogni
evidenza dei selvaggi, nonostante tutto la loro acutezza.
Con un Paese grande quanto gli Stati Uniti in cui vivere e
moltiplicarsi, e senza che tra di loro vi fossero epidemie finché non giunse
l’uomo bianco a portare quelle e altre implicazioni della civiltà, è molto
probabile che non vi sia mai stato un giorno in cui egli abbia potuto contare
100.000 appartenenti alla sua razza in tutta l’Australia.
Egli ha diligentemente e deliberatamente contenuto la popolazione con
l’infanticidio – in larga misura; ma principalmente con altri metodi. Dopo
l’arrivo dell’uomo bianco, egli non ha più avuto bisogno di praticare simili
artifici. L’uomo bianco conosceva modi per contenere la popolazione che ne
valevano cento dei suoi. L’uomo bianco conosceva metodi per ridurre una
popolazione di nativi dell’80% in vent’anni. Il nativo non aveva mai visto
nulla di così idiota.
Vi è, per esempio, il caso della terra ora chiamata Victoria – una
terra grande ottanta volte il Rhode Island, come ho già avuto modo di dire.
Secondo le migliori stime ufficiali vi erano colà 4500 aborigeni quando
arrivarono i bianchi, a metà degli anni Trenta. Di questi, 1000 vivevano a
Gippsland, una fascia di territorio della dimensione di 15 o 16 Rhode Island:
essi non diminuirono come alcune delle altre comunità; ma di fatto, in capo a
quarant’anni erano rimasti soltanto in 200.
La tribù di Geelong diminuì in misura soddisfacente: da 173 unità,
scese a 34 in vent’anni; e in capo ad altri venti la tribù era formata da una
(1) persona soltanto. Le due tribù di Melbourne contavano almeno 300 componenti
all’arrivo dell’uomo bianco; ne contavano appena venti 37 anni dopo, nel 1875.
A quell’epoca vi erano ancora scampoli di tribù sparsi qua e là per la colonia
di Victoria, ma mi fu detto che i nativi di sangue puro, oggi, sono rarissimi.
Si dice che gli aborigeni siano ancora presenti in una certa quantità
nell’immenso territorio chiamato Quensland.
I primi bianchi non erano abituati ai selvaggi. Non potevano
comprendere la prima legge della vita selvaggia: se un uomo vi fa un torto, ne
è responsabile tutta la sua tribù – ciascun individuo appartenente ad essa – e
potete avere ciò che vi aspetta da qualunque suo componente, senza preoccuparvi
di cercare il colpevole. Quando un bianco uccideva un aborigeno, la tribù
applicava l’antica legge, e uccideva il primo bianco che capitava a tiro.
Per i bianchi, questa era una mostruosità.
La medicina appropriata per creature come queste poteva essere lo
sterminio. Essi non uccisero tutti i neri, con estrema sollecitudine, ne
uccisero abbastanza da porre se stessi in condizioni di sicurezza. Dall’alba
della civiltà a quel giorno, l’uomo bianco ha sempre fatto uso di questa
precauzione.
Per centinaia di generazioni, gli
aborigeni australiani hanno cercato e trovato il significato di ogni forma
della Natura, di ogni roccia, di ogni collina e di ogni altra cosa nel loro
ambiente: vento e pioggia, animali ed alberi.
Tutto fu concepito, voluto, creato,
modellato e fatto vivere da forze naturali dall’epoca dei Sogni, Spiriti con
una ferrea logica che va compresa e rispettata. Ogni linea della Natura ricorda
un epos, ogni grotta è piena di leggende, ogni pozza d’acqua racchiude più
storie di uno dei nostri monumenti.
… Ogni particolare per quanto
piccolo, del paesaggio brullo, immobile, eterno, nel quale sono immersi ogni
giorno, è per loro pieno di vita, di azione, di ragione esistenziale. L’uomo e
l’ambiente sono un tutt’uno! Le superfici istoriate delle grotte e degli
anfratti sono altrettanti libri sacri, come i Veda, la Bibbia o il Corano, dove
si tramandano le storie ed i miti del popolo, ove gli Spiriti tornano a
palesare i loro poteri.
L’aborigeno però non immagina di
possedere la Natura!
Per lui è piuttosto la Natura, nelle
sue varie forme, che possiede e crea l’uomo, o per lo meno che lo ingloba e ne
determina, di conseguenza, il destino. In quell’ambiente allo stato brado che
ancor oggi conta meno di un abitante per Kmq., si ha la sensazione della
vastità sconfinata nella quale, pietre, piante, animali, uomini e Spiriti
vivono nell’intimità della totale simbiosi (cui solo l’imbecillità dell’uomo
bianco sa distruggere gli armoniosi equilibri…) e l’aborigeno è immerso nel suo
ambiente, nella serena coscienza che ha per il suo mondo, dove il reale e
l’immaginario sono INDIVISIBILI.
Anzi, sono semplicemente tutt’uno: IL
REALE E’ IMMAGINARIO E L’IMMAGINARIO E’
REALE.
Le stazioni dei mandriani erano disseminate in quel vasto territorio, a
miglia e miglia di distanza – in ogni stazione una dozzina di persone. Vi era
un’enorme quantità di bestiame, i nativi neri ne erano sempre esclusi quindi
malnutriti e affamati.
La Terra apparteneva a loro!
I bianchi non l’avevano comprata, né potevano comprarla; giacché le
tribù non avevano capi, nessuno al comando, nessuno in possesso dei titoli per
vendere e portare a termine un passaggio di proprietà; e le tribù non avevano
neppure una vaga idea di che cosa fosse la trasferibilità di una proprietà di
Terra.
Nessun commento:
Posta un commento