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Dossier 'Artico' (11/13)
Outlook e
previsioni con stime di crescita:
STATI
UNITI:
Gli Stati
Uniti probabilmente hanno superato la Russia e l’Arabia Saudita per diventare
il più grande produttore mondiale di petrolio greggio all’inizio di quest’anno,
sulla base di stime preliminari nella prospettiva energetica a breve termine
(STEO) dell’EIA.
A febbraio,
la produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti ha superato per la prima
volta quella dell’Arabia Saudita in oltre due decenni. A giugno e agosto, gli
Stati Uniti hanno superato per la prima volta la Russia nella produzione di
petrolio greggio dal febbraio 1999.
Sebbene la
VIA non pubblichi previsioni sulla produzione di petrolio greggio per la Russia
e l’Arabia Saudita in STEO, la VIA prevede che la produzione di petrolio
greggio degli Stati Uniti continuerà a superare la produzione di petrolio
greggio russo e saudita per i restanti mesi del 2018 e fino al 2019.
La
produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti, in particolare da qualità di
petrolio greggio dolce leggero, è rapidamente aumentata dal 2011. Gran parte
della recente crescita è avvenuta in aree come la regione di Permian nel Texas
occidentale e nel New Mexico orientale, il Golfo del Messico offshore federale
e il Regione di Bakken nel Nord Dakota e nel Montana.
Il calo del
prezzo del petrolio a metà 2014 ha portato i produttori statunitensi a ridurre
i costi e a ridurre temporaneamente la produzione di greggio. Tuttavia, dopo
che i prezzi del greggio sono aumentati all’inizio del 2016, gli investimenti e
la produzione hanno iniziato ad aumentare più tardi nello stesso anno. In
confronto, la Russia e l’Arabia Saudita hanno mantenuto una crescita
relativamente costante della produzione di petrolio negli ultimi anni.
I dati
sulla produzione di petrolio greggio e altri liquidi dell’Arabia Saudita sono
stime interne della VIA. I dati russi provengono principalmente dal Ministero
del petrolio russo, che pubblica numeri di greggio e condensa. Altre fonti
utilizzate per informare queste stime includono dati provenienti da importanti
aziende produttrici, organizzazioni internazionali (come l’Agenzia
internazionale per l’energia) e pubblicazioni di settore, tra le altre.
Principali
collaboratori: Candace Dunn, Tim Hess per EIA
Outlook
e previsioni con stime di crescita:
RUSSIA:
E’ l’ultima
frontiera dei trivellatori, l’Artico, un tempo ostico ed impossibile da
sfruttare ma sempre più appetibile grazie ai cambiamenti climatici, creati dai
trivellatori stessi.
La Russia è
in prima fila nel piantare le proprie trivelle in cima al mondo, letteralmente
e figurativamente, ma la Cina non sta a guardare.
E hai
voglia a predicare.
Tutti
sappiamo che l’aumento delle temperature porta allo scioglimento dei ghiacciai,
anzi secondo le stime dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change
delle Nazioni Unite, se tutto va avanti come adesso, entro il 2040 l’Artico resterà
senza ghiaccio.
Ovviamente
questo è musica per le orecchie dei trivellatori, con nuove rotte marine dove
prima c’era ghiaccio e con la promessa di petrolio e gas sgorganti dal
sottosuolo.
La Russia è
la più determinata di tutte, se non altro perché è la più vicina
geograficamente all’Artico che si scioglie, perché economicamente vive di
idrocarburi e perché prima di tutte ha deciso di sfruttare i mari dell’Artico
e di accaparrarsene i diritti.
Lo
scioglimento delle nevi significa non solo nuovi giacimenti, ma anche minori
tempi per il trasporto di petrolio attraverso le nuove acque: si calcola che i
tempi per navigare dall’Asia all’Europa si accorcerà del 35-40% rispetto al
passaggio attraverso l’Asia rispetto al passaggio attraverso il canale di Suez
o dell'oceano indiano.
E cosi Venta Maersk è stata la prima nave ad
attraversare l’Artico da Vladivostok a San Pietroburgo, qualche mese prima la
ditta russa Novatek ha mandato un carico di gas liquefatto in Cina dalla
Siberia attraverso l’Artico con 19 giorni invece dei tradizionali 35 lungo il
canale di Suez.
La Russia
ha pure 40 navi rompighiaccio, incluso alcune che vanno ad energia nucleare, più
potenti e che non abbisognano di rifornimenti. Gli USA invece hanno solo due
navi rompighiacci.
Ci vogliono
un miliardo di dollari a nave, e dieci anni per costruirle.
USA, Canada,
Norvegia, Danimarca, Svezia, Finlandia e Islanda hanno tutti interessi in
Artico, e quindi è comprensibile che vogliano contrastare la Russia. La Cina però
afferma che l'Artico non è di nessuno e che quindi è di tutti.
Vogliono
acchiappare anche loro quel che possono.
E infatti
si sono definiti una superpotenza polare nel 2014. Nel 2018 hanno pure
rilasciato una politica cinese dell’Artico per difendere i propri interessi e
quindi hanno iniziato a costruirsi rompighiacci pure loro e annunciano di volere
costruire una via della seta polare.
L’Artico è
governato da una serie di trattati fra cui uno delle Nazioni Unite del 1982
chiamato United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS). Questo UNCLOS
delinea le estensioni dei mari territoriali, zone economiche, diritti di
passaggio, diritti e doveri di sviluppo, protezione ambientale.
Non si
parla di sicurezza militare.
Ci sono già
litigi: il Lomonosov ridge è lungo 1800 chilometri ed è al cuore di dispute fra
la Russia, Canada e Danimarca.
Il motivo?
Petrolio.
Si pensa
infatti che il Lomonosov ridge sia particolarmente ricco di idrocarburi e la
Russia vuole che siano tutti loro. Per esempio, già nel 2007, una spedizione
russa, Arktika 2007 giunse alla conclusione che questo Lomonosov è una
estensione della massa continentale russa e piantarono qui bandiere russe.
Canada e
Danimarca dicono di no; anzi la Danimarca dice che è una estensione della
Groenlandia.
Putin non
ha mai fatto mistero di queste sue ambizioni polari che esistono da più di
dieci anni.
Nel 2012 i
russi hanno proposto di chiamare l’oceano artico l’oceano ‘russo’ come dire è
cosa nostra. Il paese sta anche creando una presenza militare in artico, con un
Arctic Joint Strategic Command, e addrittura sta rimodernando aereoporti
costruiti durante il tempo della guerra fredda.
È stata istituita una Northern Sea Route Administration, una agenzia
russa che ha lo scopo di governare il passaggio di navi e il traffico in
Artico.
Putin cerca
pure di aumentare i suoi alleati strategici in zona, per esempio creando
accordi con India (perché India? non si sa, ma forse perché India e Cina non
sono tanto amiche...).
Ovviamente
non è solo il controllo dell’Artico ma anche proprio dello sfruttamento
petrolifero. La ditta Rosneft ha già iniziato a trivellare in Artico nel 2017
in una concessione detta Khatangsky nel Laptev Sea.
Si parla di
590 milioni di barili di petrolio di alta qualità - leggero e a basso tenore
sulfureo; un enorme ricchezza.
Oltre a
Rosneft c’è Gazprom che invece gestisce la piattaforma Prirazlomnoye nel
Pechora Sea e le cui trivelle sono state inaugurate nel 2013. Anche qui si
parla di 513 milioni di barili di petrolio.
Rosneft
vuole trivellare nel Barents Sea, nel Kara Sea e in tutta l’area russa dell’Artico:
hanno almeno 28 concessioni per un totale di 250 miliardi di barili. Sono
numeri impossibilmente grandi.
Sanzioni o
non sanzioni, i russi vanno avanti: non possono usufruire di beni e servizi
tecnologici da paesi terzi, per via di queste sanzioni, ma dicono che troveranno
i fondi fuori dalle sanzioni perché' l’Artico è importante per la loro
economia. Vogliono che il 20-30 percento di tutto il loro petrolio e gas venga
dall'Artico entro il 2050.
La morale
della favola è che in questa corsa geopolitica a chi arriva prima in Artico, ci
sono tanti calcoli: petrolio, navi, risorse, sogni di vanagloria.
E al resto del pianeta chi ci pensa?
Davvero
Russia e Cina avranno a cuore la biodiversità del pianeta, davvero sapranno ‘controllarsi’?
Come già ci mostra la Russia, non credo. La cosa più ironica è che tutto questo
nuovo sfruttamento dell’Artico è reso possibile dai cambiamenti climatici, che
le azioni dei russi renderà più estremo, con questo maggior petrolio estratto,
venduto, consumato.
Ci vorrebbe
solo un grande accordo: ‘l'Artico come l’Antartico non si trivellano’.
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