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Percezione della realtà (42/3)
Il 2020
passerà alla storia come l’anno della pandemia dovuta al Covid19. Un anno che
ha messo a dura prova la tenuta sanitaria, economica, sociale e ambientale di
tutti i Paesi in tutti i continenti.
Si guarda
all’immediato futuro con l’intenzione di ripartire dalle “macerie” lasciate dal
virus ma, come detto in diverse occasioni da diversi esponenti del mondo
politico, della cultura, della scienza e della società civile, bisognerà
cercare di non ripetere gli stessi errori del passato.
Siamo
davanti ad una opportunità di ripresa e resilienza (per usare un termine di
moda a livello europeo e nazionale in questi mesi), che sarà tale solo se
sfrutteremo l’occasione di tenere insieme non solo il lato economico ma anche
quello sanitario, ambientale e sociale.
Mai come nel 2020 infatti, gli aspetti sanitari (legati alla pandemia) e ambientali (legati all’inquinamento atmosferico) sono stati così fortemente associati, correlati e confrontati.
Gli ultimi
dati legati alla mortalità prematura dovuta all’inquinamento atmosferico
indicano infatti come ogni anno nel nostro Paese siano oltre 50mila le morti
premature dovute all’esposizione eccessiva ad inquinanti atmosferici come le
polveri sottili (in particolare il Pm2,5), gli ossidi di azoto (in particolare
l’NO2) e l’ozono troposferico (O3). Numeri simili, come ordine di grandezza, a
quelli impressionanti legati al Covid19 che ci hanno accompagnato per tutto
l’anno appena concluso.
La connessione fra inquinamento atmosferico e mortalità ha avuto di recente un importante sviluppo. Un tribunale inglese ha emesso il mese scorso una sentenza storica, riconoscendo lo smog come concausa della morte di Ella Kissi-Debrah, una bambina di 9 anni, scomparsa nel 2013 in seguito all’ennesimo attacco d’asma. A distanza di 7 anni, sia il giudice che il medico legale hanno riconosciuto che i livelli di biossido di azoto (NO2) vicino alla casa della bambina - superiori ai valori indicati dalle linee guida dell’OMS e dell’Unione Europea -, abbiano contribuito all’aggravamento della situazione sanitaria della bambina. Una sentenza che potrebbe portare nei prossimi anni ad avere numerose cause da parte dei cittadini nei confronti del decisore pubblico in quei territori dove i limiti non vengano rispettati.
Intervenire
quindi in maniera rapida ed efficace sulla riduzione dell’inquinamento
atmosferico nel nostro Paese è una priorità esattamente come prioritaria è
stata, e continuerà ad essere, la battaglia contro il Covid19.
Fino ad
oggi, però, questa percezione non è stata recepita dalla classe dirigente
italiana, o quantomeno non è stata affrontata in maniera strutturale e con una
pianificazione adeguata.
Lo dimostrano le due procedure di infrazione comminate all’Italia per il mancato rispetto dei limiti normativi previsti dalle Direttiva europea per il Pm10 e gli ossidi di azoto, a cui si è aggiunta lo scorso novembre una nuova lettera di costituzione in mora da parte della Commissione europea in riferimento alle eccessive concentrazioni di particolato fine (Pm2,5) a cui ora l’Italia dovrà rispondere, essendo state giudicate “non sufficienti” le misure adottate dal nostro Paese per ridurre nel più breve tempo possibile tali criticità.
Lo dimostra
la mancanza di ambizione dei Piani nazionali e regionali e degli Accordi di
programma che negli ultimi anni si sono succeduti ma che, nella realtà dei
fatti, sono stati puntualmente elusi e aggirati localmente pur di non dover
prendere decisioni impopolari. Come nel caso dell’Accordo di bacino padano,
stipulato ormai più di 5 anni fa, che partito debole e poco ambizioso fin
dall’origine, è stato puntualmente disatteso a furia di deroghe da parte di
Regioni e Comuni che non sono state in grado né di pianificare e realizzare il
cambiamento previsto e programmato, né di controllare che le poche misure
adottate venissero quantomeno rispettate.
Lo
dimostrano, inesorabilmente, anche i dati del 2020.
Sono 35 le città capoluogo di provincia che hanno superato almeno con una centralina la soglia dei 35 giorni con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo prevista per le polveri sottili (Pm10).
Torino
maglia nera della classifica con i 98 giorni di sforamenti registrati nella
centralina Grassi, seguita da Venezia (via Tagliamento) con 88. Padova
(Arcella) 84, Rovigo (Largo Martiri) 83 e Treviso (via Lancieri) 80 le città
che superano gli ottanta sforamenti. Milano2 (Marche) 79, Avellino (scuola
Alighieri) e Cremona (Via Fatebenefratelli) 78, Frosinone (scalo) 77, Modena (Giardini)
e Vicenza (San Felice) che con 75 giorni di superamento dei limiti, chiudono le
10 peggiori città.
Ma ancor di
più lo dimostrano le medie annuali delle città capoluogo registrate nel 2020.
Se infatti i giorni di superamento del Pm10 sono un campanello d’allarme dello smog, le medie annuali rappresentano la cronicità dell’inquinamento e sono il parametro di riferimento per la tutela della salute, come indicato dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che stabilisce in 20 microgrammi per metro cubo la media annuale per il Pm10 da non superare.
Sono
60 le città italiane (il 62% del campione analizzato) che hanno fatto
registrare una media annuale superiore a quanto indicato dall’OMS.
Sempre
in testa Torino con 35 microgrammi/mc come media annuale di tutte le centraline
urbane del capoluogo, seguita da Milano, Padova e Rovigo (34μg/mc), Venezia e
Treviso (33 μg/mc), Cremona, Lodi, Vicenza, Modena e Verona (32 μg/mc). Oltre
alle città del nord però hanno superato il limite suggerito dall’OMS anche
città come Avellino (31μg/mc), Frosinone (30 μg/mc), Terni (29 μg/mc), Napoli
(28 μg/mc), Roma (26 μg/mc), Genova e Ancona (24 μg/mc), Bari (23 μg/mc),
Catania (23 μg/mc) solo per citarne alcune.
Nei prossimi mesi l’OMS pubblicherà le nuove linee guida che suggeriranno valori ancora più stringenti di quelli attuali, a seguito degli approfondimenti scientifici internazionali avvenuti negli ultimi anni (le ultime raccomandazioni risalgono al 2005) e la Commissione europea, che sta ragionando sulla revisione della direttiva sulla qualità dell’aria, è intenzionata a far convergere i limiti normativi con quelli dell’OMS. Su questo aspetto Legambiente da anni chiede questo tipo di convergenza dei limiti di Legge con le raccomandazioni dell’OMS che, è bene ricordarlo, si riferiscono alla sola tutela della salute delle persone.
Pm10 ti
tengo d’occhio 2020: la classifica dei capoluoghi di provincia che hanno
superato con almeno una centralina urbana la soglia limite di polveri sottili
alla data del 31 dicembre 2020; il D.lgs. 155/2010 prevede un numero massimo di
35 giorni/anno con concentrazioni superiori a 50μg/m3.
L’Italia si conferma in cronica emergenza da inquinamento atmosferico e i dati dei superamenti giornalieri dei limiti di legge per il Pm10 del 2020 lo evidenziano: sono 35, su 96 di cui si hanno i dati disponibili, le città capoluogo che vanno in almeno una centralina di monitoraggio oltre il limite giornaliero previsto per le polveri sottili (stabilito in 35 giorni in un anno solare con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi per metro cubo). Undici le città nelle quali si sono avuti più del doppio dei giorni di superamento dei limiti.
A Torino la
centralina (Grassi) con il valore peggiore in assoluto con 98 giorni di
superamenti, quasi tre volte sopra il limite dei 35 giorni. Quindi Venezia con
88 giorni (Tagliamento), Padova (Arcella) 84, Rovigo (Largo Martiri) 83,
Treviso (Via Lancieri) 80, Milano3 (Marche) 79, Avellino (scuola Alighieri) e
Cremona (Via Fatebenefratelli) 78, Frosinone (scalo) 77, poi Modena (Giardini)
e Vicenza (San Felice) che con 75 giorni di superamento dei limiti, chiudono le
10 peggiori città.
Al di là della centralina peggiore, è la situazione generale di molte città a destare preoccupazione. Torino si conferma la città più gravata dal peso delle polveri sottili: anche la centralina “migliore” (Rubino) fa registrare 66 giorni di sforamenti. A livello regionale sono solo 4 le centraline delle città capoluogo piemontesi che fanno registrare un numero di superamenti inferiore al limite dei 35: le due presenti a Biella (Lamarmora e Sturzo), l’unica di Cuneo (Alpini) e quella di Verbania (Gabardi), che fanno dei tre capoluoghi gli unici piemontesi nei limiti di legge.
Non va meglio in Lombardia dove oltre a Milano, che ha tutte e quattro le centraline disponibili molto oltre i limiti di legge, anche a Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lodi, Mantova, Monza e Pavia tutte le centraline sforano i limiti dei 35 giorni di superamento. Solo a Lecco, Sondrio e Varese tutte le centraline rispettano i limiti.
In Veneto solo Belluno può dirsi “in regola” con tutte e due le sue centraline ampiamente al di sotto dei 35 giorni di superamento dei limiti, mentre tutte quelle di Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza sforano ampiamente il limite normativo.
Anche
l’Emilia Romagna non sorride, per chiudere il quadro delle Regioni del bacino
Padano, con le sole due centraline di Forlì, l’unica di Cesena e due delle tre
di Bologna (Giardini Margherita e Via Chiarini) che rispettano i limiti. Tutte
le altre risultano fuori norma.
Ma che il problema non sia solo concentrato nelle regioni del bacino padano o comunque del Nord Italia lo si evince scorrendo l’elenco delle 36 città nelle quali almeno una centralina sfora i 35 giorni di superamento dei limiti per il Pm10 dove troviamo una solida rappresentanza diffusa delle altre Regioni italiane.
Settima, infatti, è la campana Avellino (centralina Scuola Alighieri), nona la laziale Frosinone (Frosinone Scalo), ventiquattresima Napoli (Via Argine), ventottesima l’umbra Terni (Le Grazie), trentunesima Roma (Tiburtina), trentaquattresima un’altra campana, Benevento (Campo Sportivo).
Altro, e
più importante, elemento di cui tener conto è che in realtà da tempo ormai,
grazie agli incontestabili anche se parziali risultati di decenni di
miglioramenti emissivi nei settori tradizionali (mobilità, industria e
riscaldamento domestico), le concentrazioni di polveri sottili, in particolare
in area Padana, sono sostenute in modo molto limitato da emissioni di fonte
primaria, ovvero rilasciate al punto di scarico in atmosfera. Ad essere sempre
più prevalenti sono infatti le polveri di formazione secondaria, derivanti da
reazioni chimiche che si verificano direttamente in atmosfera a partire da
inquinanti in forma gassosa. Le polveri di formazione secondaria sono
prevalentemente formate da microcristalli di sali d’ammonio, la cui fonte
prioritaria è l’allevamento del bestiame, attività che non ha avuto alcuna
limitazione conseguente al lockdown. Questo, unitamente alla variabilità
climatica, spiega le ragioni del dato medio annuo, che hanno visto una scarsa o
nulla riduzione delle concentrazioni medie di polveri sospese, a fronte della
sensibile riduzione dell’inquinamento da NOx (la cui fonte prevalente è il
traffico).
È dunque evidente come l’inquinamento atmosferico da polveri sottili in ambito urbano sia uno dei principali problemi delle città della nostra Penisola, da nord a sud. E che si stia parlando di un argomento che tocca pesantemente la salute dei cittadini lo dimostrano anche i dati delle medie annuali del Pm10 nelle singole città, soprattutto se paragonate ai più severi limiti per la protezione della salute umana suggeriti nelle linee guida dell’OMS, stabiliti in 20 microgrammi/mc (contro i 40 microgrammi/mc stabiliti dalla normativa).
L’inquinamento
dell’aria causa circa 2 milioni di morti premature all’anno in tutto il Mondo.
In molte città i livelli medi annuali di Pm10, derivante principalmente dalla
combustione fossile, sono stabilmente oltre i 70 microgrammi per metro cubo.
L’OMS ipotizza che riducendo il particolato da 70 a 20 microgrammi per metro
cubo, come stabilito nelle linee guida, si potrebbe arrivare a una riduzione
della mortalità del 15%. Tra l’altro, sempre l’OMS, dichiara possibile che ad una
riduzione dei livelli di inquinamento corrisponderebbe una contestuale
diminuzione di infezioni respiratorie, di malattie cardiache e dei tumori al
polmone.
Sono sessanta, sulle 96 di cui esistono dati disponibili, le città italiane che risultano non in linea con i limiti per la tutela della salute umana dell’OMS e, come si vede dalla tabella, è ben rappresentato tutto il Paese, dal profondo nord, al meridione passando per le isole e il centro Italia.
Le situazioni più critiche, anche in questo caso, le troviamo in pianura padana, da Torino (35 μg/mc) a Brescia (31 μg/mc), passando per Padova, Rovigo, Milano, Venezia, Treviso, Cremona, Lodi, Vicenza, Modena, Verona, Mantova, Monza, Pavia, Alessandria, tutte ben oltre i 30 microgrammi/mc medi di Pm10. Ma ben oltre i 20 microgrammi di media troviamo anche Avellino (31), Frosinone (30), Terni (29), Napoli (28), Oristano, Benevento e Ravenna (27), Caserta, Cagliari, Pordenone e la capitale Roma (26). Una rappresentanza nutrita di città capoluogo che dimostra come sia urgente intervenire sull’abbattimento degli inquinanti atmosferici, a partire dalle polveri sottili, anche per tutelare la nostra salute, come ricorda l’OMS.
(Legambiente)
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