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Linguaggio (2)
& La terza rivoluzione (3)
Ciò che ci
insegna la Storia comune, è la volontà alchemica di manipolare possedere
contenere, più che conoscere i costanti rapporti che nutrono il mondo secondo i
propri Elementi, distribuiti fra povertà e ricchezza. L’utensile tratto dalla
fornace del fabbro divenuto sia elemento produttivo (dato dalla costante opera
geologica) così come creato, forte e sicuro, sia elemento distruttivo per
distruggere la stessa forza in cui nato.
Da
questa equazione riconosciamo l’umano.
Infatti
nella ricchezza in cui esposto a differenza della bestia nata da un’apparente
morta pietra, o peggio sacrificata in nome d’uno o più dei, l’uomo estrae conia
e produce, quanto ciò di cui privo di linguaggio donato all’uomo sino
all’ultimo stadio di ugual ciclo di materia, ovvero la morte. Tutto ciò
riguardo la pietra con cui coniata l’arma per la distruzione di altri suoi
simili, la stessa evoluta non più alla simmetrica necessità con il cui la Terra
unita e solidificata strato per strato, da cui la forza tellurica, ma
distruggere la forza stessa circoscritta ad una impropria arma d’offesa.
Senza il fuoco dal nucleo di ugual zolla non avremmo la pietra forgiata, neppure l’acqua per riconoscere differenza, e non certo l’univoca discendenza nell’araldo di un antico linguaggio con cui scritto l’Universo e successivamente la misera Terra. Di certo se d’un Tempo perduto l’avessimo ancora pura come acqua e pietra hora non ne evidenzieremmo la Lingua smarrita o peggio perita!
Nella diversa Storia presieduta dall’umano, e non più Elemento del Filosofo divenuto scellerato patto alchemico, l’acqua diviene sinonimo di forza al pari del ferro, ove nei secoli della futura opera meccanizzata, riconosciuta tradotta e contenuta entro un mulino così da poterla trasformare ad uso dell’uomo.
Forgiare
pane e ferro!
Certamente
l’idea in se non appare ‘bestiale’, eppure lo stesso principio in forza della
superiore Natura muterà ed evolverà secondo schemi del tutto ‘umani’, estranei
alla uguale medesima evoluzione in cui nata l’acqua come l’uomo, il quale non
più si disseta o la sfrutta per i quotidiani intenti, ma scorgendo la potenza
che questa in sé cela ne adopera la forza (così come la pietra) convogliandola
secondo nuovi meccanizzati procedimenti affini alla Storia creata dall’uomo, ma
non certo della Natura.
La Dottrina, sappiamo bene, gioca il giusto o ingiusto ruolo in questo costante miracolo meccanizzato. Giacché chi ha ed interpreta Dio ha letto la volontà espressa di dominare e sottomettere l’intero Creato.
Non
volgiamo i termini e fini disquisitori su questa vecchia teoria del miracolo,
giacché sappiamo bene che i veri miracoli della Natura per interposta figura
umana, poche volte sono riconosciuti dall’accreditata ufficiale
istituzionalizzata ‘dottrina’ creata dall’uomo. E nemmeno ci conferiamo il
privilegio o il merito di come al meglio tradurre la Parola di ugual medesimo
Dio, indicando l’errore, anche nel riconoscere Demone o Santo.
Quindi
riprendiamo il cammino, abbiamo poco fa detto circa l’acqua là ove, dimenticavo
di dire, è nata anche la Parola; cioè, nessun Dio sembra intervenuto durante
cotal ‘cantico’, neppure il sogno o l’incubo d’un Profeta in nome esclusivo
d’un popolo eletto, semmai un vasto gruppo (pre)umano che imparava attraverso
gli Elementi della Natura (tra cui anche l’acqua) a pensare, specchiandosi nelle
vaste distese del cielo, sino allo specchio riflesso di ugual contesto e
elemento in Terra precipitato. Scomposto e frammentato anch’esso, composto da
vari innumerevoli Poesie accompagnate da impareggiabili fraseggi, oppure nelle
avverse Stagioni, incubi.
Le varie ère così come l’Universo conoscono un ciclo ben preciso, annoverato nelle raccolte Stagioni della Terra, sia detto per inciso. Suddette lingue si sono al meglio coniugate, assieme agli altri Elementi qual dialetti formare un linguaggio unico. Si osservi per l’appunto il linguaggio dell’uomo, riconosciamo stessa caratteristica, non scorgiamo differenza, soltanto si è prodighi nell’indiscussa grammaticale metrica poetica dimenticando la vera prima lingua universale disconosciuta ai più.
Ovvero, sembrerebbe
un Pensiero e successivo linguaggio anch’esso perfezionato nel proprio pensare
dialogare come nell’esprimere diversi stati d’animo; sino alla perfetta
costante Opera della Natura con il proprio, ma non certo univoco linguaggio, giacché
in essa riconosciamo diverse lingue, poste in un ciclo ben preciso, evolute
unite e congiunte sino ad una ugual medesima precisa lingua congiunta e
connessa in costante moto e processo espressivo, da cui la Vita.
La
differenza fra le due lingue, una costantemente in ‘atto’ espressivo e creativo conforme
all’Opera raccolta nelle Stagioni e per sempre rinata e migliorata secondo
logiche evolutive, l’altra, all’opposto, in
costante derivato sfruttamento linguisticamente motivato, riflessa in se
medesima qual ‘atto’, seppure posto e dato nella forma del presunto superiore Intelletto
(nei secoli disquisito come il motivato Pensiero), non del tutto consapevole,
però, di ogni singola frammentata capacità ‘espressiva’.
Sia questa
riconosciuta nel ‘superiore’ e non più ‘istinto’ del Pensiero, come il
successivo atto evolutivo della Parola, all’intera Natura ovviamente negata, in
quanto del tutto incapace d’intendere e volere, presieduta solo dall’istinto
senza memoria e pensiero alcuno, neppure presenziata dalla più piccola Idea.
Anche qui riconosciamo il dispiegamento di due differenti linguaggi che si dividono in maniera incomprensibile; ovvero, l’uomo cogitante con i suoi superiori Ideali scritti per l’intero arco della sua e purtroppo altrui Storia, ha creato l’immondo nelle peggiori catastrofi edificate, al contrario di chi pensiamo privo di ugual medesimo pensiero ed ‘atto’ privo di qualsivoglia forma espressiva cogitante.
Certo il
Dio che ha così pensato in ultimo l’uomo deve aver ‘commesso’ un invisibile paradosso, oppure è meglio postulare che
non certo Dio, ma l’uomo il quale ha inventato tal limite scritto nel
linguaggio (e quindi posto Dio ad un vincolo dato) terreno così espresso, debba
aver ‘commesso’ non intendendo.
Ovvero
l’uomo eletto interprete dell’esclusività posta fra Pensiero e Parola, quindi
il dotto linguaggio con cui formula in base ad una Idea, ad un preconcetto, il
linguaggio esplicitante circa il proprio ed altrui Essere ed appartenere alla
più elevata forma espressiva. Divisa e scissa in diverse dottrine e arti. In
diverse materie. Ma sempre queste in vista d’un ‘appropriato’ linguaggio.
Una musica
delle sfere?
Quindi sussiste
nel Pensiero Primo non percepito neppure compreso, una ‘materia’ devenuta
linguaggio (‘onda’ e ‘particella’ altrimenti non potremmo udirne o percepirne
la remota volontà espressiva), anch’esso assoggettato al suo costante ‘ruolo’,
ovvero esprimere l’Elemento, calco e forma di un più probabile Creatore negato
al proprio linguaggio.
Scopo e
‘ruolo’ di tal necessità dai primordi dell’Universo, là ove arriva l’orecchio e
non più l’oculo, ne più ne meno del fiuto d’un lupo, il quale pur non vedendo
avverte l’altro, ne percepisce l’inconfondibile presenza, sia questa amica o
minacciosa, una preda o il cacciatore nella volontà della stessa (il cacciatore
quando sacrifica ed immola e divora non certo lupo, il quale attenta la sua
pecunia, sia detto per inciso in siffatto linguaggio espressivo).
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