CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 14 ottobre 2021

LA TERZA RIVOLUZIONE (industriale)

 























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Ciò che ci insegna la Storia comune, è la volontà alchemica di manipolare possedere contenere, più che conoscere i costanti rapporti che nutrono il mondo secondo i propri Elementi, distribuiti fra povertà e ricchezza. L’utensile tratto dalla fornace del fabbro divenuto sia elemento produttivo (dato dalla costante opera geologica) così come creato, forte e sicuro, sia elemento distruttivo per distruggere la stessa forza in cui nato.

 

Da questa equazione riconosciamo l’umano.

 

Infatti nella ricchezza in cui esposto a differenza della bestia nata da un’apparente morta pietra, o peggio sacrificata in nome d’uno o più dei, l’uomo estrae conia e produce, quanto ciò di cui privo di linguaggio donato all’uomo sino all’ultimo stadio di ugual ciclo di materia, ovvero la morte. Tutto ciò riguardo la pietra con cui coniata l’arma per la distruzione di altri suoi simili, la stessa evoluta non più alla simmetrica necessità con il cui la Terra unita e solidificata strato per strato, da cui la forza tellurica, ma distruggere la forza stessa circoscritta ad una impropria arma d’offesa.




 Ad esempio, se procedessimo per gradi e principi dagli Elementi dati, e volessimo valutare il grande unico insostituibile valore dell’acqua posta in ugual processo evolutivo in cui, sia l’elemento come l’umano assoggettati, ci accorgeremmo che questa così come la conosciamo, frutto di un processo evolutivo millenario scaturito dall’Universo. Ovvero l’acqua così come il suo contrario posti in simmetrica reciprocità sinonimi di vita.

 

Senza il fuoco dal nucleo di ugual zolla non avremmo la pietra forgiata, neppure l’acqua per riconoscere differenza, e non certo l’univoca discendenza nell’araldo di un antico linguaggio con cui scritto l’Universo e successivamente la misera Terra. Di certo se d’un Tempo perduto l’avessimo ancora pura come acqua e pietra hora non ne evidenzieremmo la Lingua smarrita o peggio perita!  



   

Nella diversa Storia presieduta dall’umano, e non più Elemento del Filosofo divenuto scellerato patto alchemico, l’acqua diviene sinonimo di forza al pari del ferro, ove nei secoli della futura opera meccanizzata, riconosciuta tradotta e contenuta entro un mulino così da poterla trasformare ad uso dell’uomo.

 

Forgiare pane e ferro!

 

Certamente l’idea in se non appare ‘bestiale’, eppure lo stesso principio in forza della superiore Natura muterà ed evolverà secondo schemi del tutto ‘umani’, estranei alla uguale medesima evoluzione in cui nata l’acqua come l’uomo, il quale non più si disseta o la sfrutta per i quotidiani intenti, ma scorgendo la potenza che questa in sé cela ne adopera la forza (così come la pietra) convogliandola secondo nuovi meccanizzati procedimenti affini alla Storia creata dall’uomo, ma non certo della Natura.




La Dottrina, sappiamo bene, gioca il giusto o ingiusto ruolo in questo costante miracolo meccanizzato. Giacché chi ha ed interpreta Dio ha letto la volontà espressa di dominare e sottomettere l’intero Creato.

 

Non volgiamo i termini e fini disquisitori su questa vecchia teoria del miracolo, giacché sappiamo bene che i veri miracoli della Natura per interposta figura umana, poche volte sono riconosciuti dall’accreditata ufficiale istituzionalizzata ‘dottrina’ creata dall’uomo. E nemmeno ci conferiamo il privilegio o il merito di come al meglio tradurre la Parola di ugual medesimo Dio, indicando l’errore, anche nel riconoscere Demone o Santo.

 

Quindi riprendiamo il cammino, abbiamo poco fa detto circa l’acqua là ove, dimenticavo di dire, è nata anche la Parola; cioè, nessun Dio sembra intervenuto durante cotal ‘cantico’, neppure il sogno o l’incubo d’un Profeta in nome esclusivo d’un popolo eletto, semmai un vasto gruppo (pre)umano che imparava attraverso gli Elementi della Natura (tra cui anche l’acqua) a pensare, specchiandosi nelle vaste distese del cielo, sino allo specchio riflesso di ugual contesto e elemento in Terra precipitato. Scomposto e frammentato anch’esso, composto da vari innumerevoli Poesie accompagnate da impareggiabili fraseggi, oppure nelle avverse Stagioni, incubi.




Le varie ère così come l’Universo conoscono un ciclo ben preciso, annoverato nelle raccolte Stagioni della Terra, sia detto per inciso. Suddette lingue si sono al meglio coniugate, assieme agli altri Elementi qual dialetti formare un linguaggio unico. Si osservi per l’appunto il linguaggio dell’uomo, riconosciamo stessa caratteristica, non scorgiamo differenza, soltanto si è prodighi nell’indiscussa grammaticale metrica poetica  dimenticando la vera prima lingua universale disconosciuta ai più.

 

Ovvero, sembrerebbe un Pensiero e successivo linguaggio anch’esso perfezionato nel proprio pensare dialogare come nell’esprimere diversi stati d’animo; sino alla perfetta costante Opera della Natura con il proprio, ma non certo univoco linguaggio, giacché in essa riconosciamo diverse lingue, poste in un ciclo ben preciso, evolute unite e congiunte sino ad una ugual medesima precisa lingua congiunta e connessa in costante moto e processo espressivo, da cui la Vita.




 Ovvero, cotal linguaggio, con i suoi accenti, sfumature e successivi miglioramenti da una approssimata nebulosa qual apparente volgare ‘espressione’ nato, sembra essersi ottimizzato. Il ciclo o superiore Idea dell’Universo ha perfezionato tal linguaggio, solo chi pensa di possedere l’esclusività del pensiero come della parola, vuol interpretarlo come subordinarlo.

 

La differenza fra le due lingue, una costantemente in ‘atto’ espressivo e creativo conforme all’Opera raccolta nelle Stagioni e per sempre rinata e migliorata secondo logiche evolutive, l’altra, all’opposto, in costante derivato sfruttamento linguisticamente motivato, riflessa in se medesima qual ‘atto’, seppure posto e dato nella forma del presunto superiore Intelletto (nei secoli disquisito come il motivato Pensiero), non del tutto consapevole, però, di ogni singola frammentata capacità ‘espressiva’.

 

Sia questa riconosciuta nel ‘superiore’ e non più ‘istinto’ del Pensiero, come il successivo atto evolutivo della Parola, all’intera Natura ovviamente negata, in quanto del tutto incapace d’intendere e volere, presieduta solo dall’istinto senza memoria e pensiero alcuno, neppure presenziata dalla più piccola Idea.




Anche qui riconosciamo il dispiegamento di due differenti linguaggi che si dividono in maniera incomprensibile; ovvero, l’uomo cogitante con i suoi superiori Ideali scritti per l’intero arco della sua e purtroppo altrui Storia, ha creato l’immondo nelle peggiori catastrofi edificate, al contrario di chi pensiamo privo di ugual medesimo pensiero ed ‘atto’ privo di qualsivoglia forma espressiva cogitante.

 

Certo il Dio che ha così pensato in ultimo l’uomo deve aver ‘commesso’ un invisibile paradosso, oppure è meglio postulare che non certo Dio, ma l’uomo il quale ha inventato tal limite scritto nel linguaggio (e quindi posto Dio ad un vincolo dato) terreno così espresso, debba aver ‘commesso’ non intendendo.

 

Ovvero l’uomo eletto interprete dell’esclusività posta fra Pensiero e Parola, quindi il dotto linguaggio con cui formula in base ad una Idea, ad un preconcetto, il linguaggio esplicitante circa il proprio ed altrui Essere ed appartenere alla più elevata forma espressiva. Divisa e scissa in diverse dottrine e arti. In diverse materie. Ma sempre queste in vista d’un ‘appropriato’ linguaggio.




 Chi invece, e ripetiamo, senza cotal eccelso dono, parla la più grande incompresa Prosa dell’Universo, nei secoli al di fuori dal ricordo disgiunto della Memoria, e così quando l’uomo cerca di risalirne l’incompresa china fino ai primordi dell’Opera da cui deriva, ponendo occhio ed orecchio al vagito dell’Universo, sino agli abissi più remoti e profondi, ode e traduce quasi incantato un incompreso ‘algoritmo’, quasi metafisico eco, oppure un qualcosa che assomiglia ad una ‘canzone’, ovvero un linguaggio cantato, ossia un cantico.

 

Una musica delle sfere?

 

Quindi sussiste nel Pensiero Primo non percepito neppure compreso, una ‘materia’ devenuta linguaggio (‘onda’ e ‘particella’ altrimenti non potremmo udirne o percepirne la remota volontà espressiva), anch’esso assoggettato al suo costante ‘ruolo’, ovvero esprimere l’Elemento, calco e forma di un più probabile Creatore negato al proprio linguaggio.

 

Scopo e ‘ruolo’ di tal necessità dai primordi dell’Universo, là ove arriva l’orecchio e non più l’oculo, ne più ne meno del fiuto d’un lupo, il quale pur non vedendo avverte l’altro, ne percepisce l’inconfondibile presenza, sia questa amica o minacciosa, una preda o il cacciatore nella volontà della stessa (il cacciatore quando sacrifica ed immola e divora non certo lupo, il quale attenta la sua pecunia, sia detto per inciso in siffatto linguaggio espressivo).


[Prosegue....]









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