CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

martedì 30 agosto 2022

INTERVENTI... (8)

 










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È questo infatti l’intento ove, non pur si rende omaggio al loro ingegno, si raccontano i più vari aneddoti della loro Vita, ovvero la ‘Commedia dei commedianti’, e si mettono in rilievo i loro capricci,  la loro burbanza, i loro difetti con l’ausilio del nostro rinato Teatrino, da marionette burattini e futuri automi… accompagnati.

 

Ci scusino lor Signori per taluni interventi ‘meccanici’.

 

Lo riconosco, il Foglio volante è, in certi luoghi non certo comuni, senza pietà e coscienza alcuna: ma fin dove  apparisce crudele, l’umano lettore vi scorgerà sempre un sentimento benevolo; la bestia a cui sovente o troppo spesso mi ispiro padrona dell’Idea che corre e vola, e talvolta striscia con una saporita mela in bocca, per appagare l’inestinto appetito di cui noi poveri Eretici godiamo, quale eterno e sol diritto ben curato da chi ha frainteso la nostra incompresa e perigliosa terrena avventura… osservando e ululando alla Luna.

 

Per noi solo morte e mannara sventura!

 

Per tutti coloro che vi approdano senza peli & scopa… somma  conoscenza & fortuna, per ogni cratere conquistato dal grande umano ingegno della Scienza senza più Terra alcuna, ed hora alla conquista della più nota sabbia della… Luna…   




La bestia che mi ispira, hor hor dicevo, al contrario, riconosce il me il vecchio Genio Loci disperso, non certo nella Selva della somma Luna piena, semmai rinato - fors’anche sottratto - al crudele destino giungla del loro Inferno meccanizzato, il risultato che ne deriva il più noto Cratere di Apollo, da ove osservare e quindi meditare il triste destino della Terra riunita quantunque divisa… comprese le sorti meccanizzate d’ognuno per ogni più probabile avaria di bordo…    

 

‘NULLUS LOCUS SINE GENIO’: questa frase di Servio (retore latino vissuto tra il IV ed il V secolo d.C.) tratta dal Commento all’Eneide (5, 95), risulterebbe incomprensibile alla maggior parte degli odierni lettori, salvo che a qualche specialista di mitologia latina. Eppure essa diceva ai suoi contemporanei una cosa che per loro era ovvia: «nessun luogo è senza Genio». Laddove per Genio s’intende lo spirito, il nume tutelare del luogo stesso.

 

Se volessimo tentare di spiegare oggi, con semplicità, ad una persona qualunque, come può applicarsi questo concetto ad un luogo particolare, potremmo forse dire che quel luogo, propriamente, è ‘numinoso’, è cioè colmo della presenza di un nume, pervaso da un’aura di sacralità.

 

Non esiste, infatti, nella nostra cultura, un’idea che coincida con quella del Genius Loci. Oltretutto, per la cultura latina il Genio non l’avevano solo i luoghi, ma anche le persone. Il Genio, insomma, era il compagno soprannaturale di ciascun’anima (e l’anima, come vedremo, non era solo appannaggio dell’uomo).




Più ci si è allontanati, anche temporalmente, dalla cultura latina e più siamo divenuti incapaci di comprendere il significato della frase di Servio e della sua semplificazione tanto lessicalmente bella e armoniosa da essere rimasta viva nelle lingue occidentali, nonostante la totale perdita della sua accezione semantica originaria: Genius Loci. Chiunque si occupi a un certo livello di architettura, di paesaggio, di antropologia o di estetica, infatti, si è sicuramente imbattuto in questo concetto o ha talvolta usato questa locuzione, senza mai tradurla e spesso tentando di attribuirle significati ben lontani da quelli originali.

 

Torniamo, allora, indietro nel tempo e cerchiamo di capire cosa volessero dire i latini con la locuzione Genius Loci.

 

Abbiamo detto, traducendo con la massima semplicità le due parole che compongono la locuzione, che con essa si intendeva lo spirito, il nume tutelare del luogo. Ciascun luogo, dunque, si trattasse di una fonte, un fiume, un bosco, un’altura, aveva una divinità secondaria (rispetto a quelle olimpiche) che lo proteggeva e lo tutelava. Si riconosceva, così, ai luoghi, uno status del tutto analogo a quello degli esseri umani.

 

In Censorino (grammatico latino del III sec. d.C.) si ha addirittura un’assimilazione del Genio con i Lari (3,1), che, come è noto, erano le anime dei trapassati, protettrici della famiglia, la cui sede era il focolare domestico, presso cui sorgeva il tabernacolo. Ma vi erano Lari anche dei crocicchi, delle strade, dei militi ecc.




Questa idea del Genio, anche se è originale della cultura e della religione latina, trova un precedente parzialmente analogo nella figura greca del Daimon (in lingua italiana ‘demone’ ma con un’accezione del tutto diversa da quella cristiana).

 

Il Daimon dell’uomo greco era, anche in questo caso, una divinità secondaria, uno spirito al quale si attribuivano tutte le vicende umane, liete e tristi. Si riteneva che ciascuno avesse il suo demone buono che lo indirizzava verso il compimento della propria essenza. Dunque il Daimon come nume tutelare di ciascun essere umano.

 

La figura del Daimon è stata suggestivamente rievocata dallo psicoanalista e pensatore James Hillman in un suo famoso volume, Il codice dell’anima (Adelphi 1997).

 

Do brevemente conto della tesi iniziale di Hillman perché può esserci utile ad inquadrare il problema. Scrive Hillman: ‘Questo libro intraprende una strada nuova a partire da un’idea antica: ciascuna persona viene al mondo perché è chiamata. L’idea viene da Platone, dal mito di Er che egli pone alla fine della sua opera più famosa, La Repubblica. In breve l’idea è la seguente. Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il Daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino’.




In effetti proprio nelle ultime pagine de La Repubblica Platone, più che il mito, narra l’apologo di Er, un uomo tornato miracolosamente in vita dopo essere morto in guerra, il quale riferisce ciò che ha visto nell’aldilà (1000, 1310). Er racconta molte cose interessanti e misteriose e parla di incontri strabilianti, ma, infine – per quel che ci riguarda nello specifico – testimonia di aver visto le anime scegliersi le vite nelle quali avrebbero dovuto incarnarsi e poi, di seguito, avere assegnato da Lachesi, una delle tre Moire, il demone che si erano scelte quale custode della vita ed adempitore della sorte prescelta.

 

Il senso è chiaro: ciascun’anima ha assegnato – in quanto se l’è prescelto – un compito sulla terra (una mission personale diremmo oggi). Gli dei, comunque, chiedono a quell’anima il compimento di se stessa, secondo il disegno numinoso che la pervade senza tuttavia dominarla. La libertà di ciascun’anima consiste, per l’appunto, nel riuscire ad ascoltare i «consigli» del Daimon e nel compiere il disegno.

 

Nella cultura latina il Daimon prende in nome di Genius ed estende il suo campo d’azione, senza tuttavia perdere le caratteristiche essenziali. Ma questa estensione non dobbiamo considerarla del tutto arbitraria o scollegata dalla precedente cultura greca. Se il Daimon è proprio di ciascun essere dotato d’anima, come dimenticare, infatti, che lo stesso Platone nel Timeo scriveva: ‘Questo mondo è un essere dotato d’anima e di intelligenza, generato dalla provvidenza di Dio’.




E non basta, perché all’obiezione di chi potrebbe riferire questa espressione ad una anima mundi (la qual cosa non escluderebbe affatto che anche le singole componenti del mondo posseggano una parte di quell’anima) basta ricordare come sempre Platone, viceversa, nell’Epinomide sostiene: ‘I corpi celesti sono esseri viventi, e anzi si può dire che nel loro insieme costituiscano il genere divino degli astri, a cui è toccato il corpo più bello e l’anima più felice e perfetta’. Il che ci dice che il grande pensatore attribuiva un’anima anche a creature diverse dall’uomo e pur sempre diverse dall’insieme indistinto del tutto.

 

A completare il quadro del nostro concetto in età classica vi è, infine Plotino, pensatore nato a Licopodi, in Egitto, tra il 203 ed il 204 d.C., che partecipò alle campagne dell’imperatore Gordiano contro i persiani per venire in contatto con le dottrine del pensiero orientale, si stabilì a Roma dove fondò un’importante scuola di filosofia e morì in Campania tra 269 ed il 270. Plotino, la cui opera fu raccolta dal discepolo Porfirio nelle Enneadi, riteneva anch’egli che esistesse un’anima mundi – quale seconda emanazione, dopo l’intelletto (nous), di Dio-Uno – ma era anche convinto che le anime singole fossero parti dell’anima del mondo e che anzi l’anima del mondo fosse reperibile in ogni luogo.

(T. Bevilacqua [che è meglio!]




…Ragion per cui mi ammira e adora, dicevo poco sopra e non certo sulla Luna, il Dèmone e non solo la ‘bestia’ che lo divora, anzi il suo Genio incompreso il solo e sano carburante disperso di codesta misera (e terrena) infiammata… appestata sventura.

 

Cantare  gesta e lodi di odierni meccanizzati paladini, ovvero, civilizzati pupi marionette & automi, è per ‘noi’ sacrosanto dovere d’artigiani perseguitati, come fosse una segreta preghiera senza neppur il diritto alla Cena; una eterna Odissea senza Nessuno farvi ritorno; un sermone rivolto ad una invisibile ‘musa’ con la sola  presenza d’un ‘ombra’ omaggiata… e in futuro da Oscar proiettata alla parete della Caverna; un ode mannara alla Luna e alla notte che come un tempo la illumina oscurata da un inatteso guasto tecnico; ogni suono richiamo ululato: un Genio qual sol condimento sfuggito alla mannaia del loro ardire… e posto in più sano nutrimento dal Verso da cui nata… la caccia di cotal mirabile Pensiero.




L’occhio che invisibile ci ispira e comanda è l’intero Genio della Natura!

 

L’altro, neppure lo nominiamo, in difetto di sana duratura o visibile intelligenza, semmai ne ravviviamo le artificiose gesta meccanizzate all’universale Teatro recitate, il Genio e l’oracolo ringraziano e suggeriscono punizione divina!

 

In segreto Loco più elevato della Luna!

 

La Santa verità esposta al ritardo di cui ogni Ragion odierna prospera nel meccanizzato miracolo….   

 

 Un sermone senza Volta e cupola ad illuminare il nostro e loro filo conduttore nell’ardire di tale alchemico mestiere; ovvero, tramutare lo sterco della lor conquista in oro in laude all’intera Natura!

 

Di certo una Cena più appetitosa...


(Prosegue con i meccanici...)  










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