CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 7 giugno 2012

GIOCHI DI SPECCHI





























































'Non esiste nessun libro il cui potere di illusioni simboliche al senso universale
della vita sia tanto grande, e, tuttavia, non esiste nessun libro in cui troviamo
meno anticipazioni, meno indizi per la sua stessa interpretazione'.
Io credo che queste parole, di Ortega, siano le più assennate, precise e ina-
movibili che si siano scritte sul 'Chisciotte' e sull'impossibilità di interpretarlo.
Per quale ragione?
Quel libro ci parla senza dubbio della verità, ma allo stesso tempo ci parla
della difficoltà di sapere e della verità, questa sì, irraggiungibile sembrano a
volte le idee che vi sono riflesse.
Ogni epoca si è accostata liberamente alla sua finzione per cercare le chiavi
di realtà che la stessa realtà è solita farci scomparire alla vista.
Da duecento anni chi si rivolge al 'Chisciotte' cerca nelle sue pagine le gallerie
dell'anima e degli umori, il cauterio a inconsolabili malinconie, il respiro per
romantiche imprese o i rimedi per ricomporre l'infranta e dissipata vita nostra.
Tutto il mondo conosce la trama del 'Chisciotte' e il suo argomento, tra le
altre cose perché è un romanzo che non ha argomento.




















Neppure le vite di solito ne hanno.
Di fatto, perfino quelli che non lo hanno letto sanno di questo libro, almeno
in Spagna, quel che c'è da sapere: che Don Chisciotte, sempre dalla parte
dei derelitti, non era del tutto pazzo, e che Sancio Panza, sempre dalla par-
te di don Chisciotte, non era del tutto scemo.
Come nella vita, succedono cose, ma non si vedono in esse una casualità
né un principio di determinazione. Così succede con il 'Chisciotte' che po-
trebbe essere riassunto come segue: un vecchio 'hidalgo' mancego diventa
pazzo leggendo libri di cavalleria e decide, alla soglia dei cinquanta, e mal-
grado gli acciacchi ai reni, di emulare i suoi eroi, indossa desuete armature
che trova in un abbaino, e parte accompagnato da uno scudiero, che fa
contento con promesse vaghe quanto il fine che persegue nella sua impresa,
ciò che lui chiama raddrizzare i torti e le ingiurie, le calunnie e le maldicenze,
vale a dire ristabilire onori e mettere un po' a posto questo schifo di mondo.
































Il cavaliere è più pazzo che assennato e il suo scudiero più assennato che
pazzo, ma nessuno dei due rinuncia alla propria pazzia né alla propria assen-
natezza.
Escono allo scoperto e capitano loro delle avventure, quasi sempre insen-
sate. E' romanzo in cui si parla apertamente della vita, ma, questo non è
meno importante, in cui si tratta anche senza vergogna di libri e di letteratu-
ra, che sia Cervantes sia don Chisciotte divorano con non reprimibili ansie.
Come Dio nel rovereto, don Chisciotte dirà una volta: 'Io so bene chi sono',
ma altrove si giustificherà confessando: 'Ancora non so che cosa conquisto
a forza di travaglio'.
E' un romanzo in cui non c'è sesso né violenza, nonostante quello che imma-
gino potrebbe venire a dirmi qualche cattedratico.
E' un libro che strappa lacrime e risate, ed è il più dolce, balsamico e allegro
tra tutti i libri tristi che esistono.
Don Chisciotte non è un pazzo allegro, certo.
All'avventura lo spinse, non si dimentichi, la sofferenza:
'Diventerò pazzo veramente',
ci dice,
'ed essendolo davvero, non soffrirò più'.


























Questo di non sentire è il sogno di tutti quelli che conoscono i limiti intolle-
rabili della sofferenza, della pena, della solitudine; cioè, di tutti quelli che non
conosceranno altra cosa che la sofferenza, la pena e la solitudine sino alla
fine dei loro giorni.
Le volte in cui don Chisciotte ride sono proporzionalmente inverse a quelle
in cui ci fa ridere, e purtuttavia è uomo con grande presenza d'animo.
Tutto il 'Chisciotte' è, per di più, una continua domanda che Cervantes si
pone e fa in modo che il lettore si ponga:
'possono i libri renderci felici?' 'A quale prezzo?' 'A che cosa servono e per-
ché fanno impazzire non soltanto quelli che li leggono ma anche quelli che,
come l'autore, scrivendoli, perseguono un'altra non meno intangibile pazzia,
che è quella della fama e dell'onore nel tempo presente e dell'immortalità in
quello futuro?'.
Ricordiamo spesso che don Chisciotte divenne pazzo leggendo libri, ma
dimentichiamo che Alonso Quijano il Buono, riacquistando il senno, si ram-
marica soltanto del fatto che il ravvedimento gli giunga così tardi e non pos-
sa compensare tante cattive letture di libri pieni di frottole.






Non gli fa paura morire, anzi si rallegra di essersi affrancato dai libri di ca-
valleria, ma gli dà pena defungere senza averne letto altri 'che siano luce dell'-
anima'.
Che ammirevole voracità, quale irriducibile lettore fu don Chisciotte, e così
credette, perfino nelle fauci della morte, che dei libri potessero restituirgli la
vita che altri gli avevano tolto, contro l'opinione, naturalmente, di Sancio, che
non vide nella assennatezza del padrone altro che la propria estinzione come
personaggio.
Ricordiamo, ancora, che l'origine del 'Chisciotte' è un libro, un manoscritto
vecchio trovato al mercato di Toledo. Non è neppure una storia che s'inven-
ta Cervantes, ma che lui fa tradurre.
I giochi di specchi sono infiniti e il libro è allora il libro dei libri, al di là di tut-
ti i libri, come 'Las Meninas' è una metafora della pittura in cui si vede Velaz-
quez dipingere il quadro che, pur di spalle a lui, è quello che vede lo spettatore.
Naturalmente tanti libri da tutte le parti dovevano prestarsi a una lettura sim-
bolica, e quella che ha risulta chiara.
Assistiamo, dunque, allo scontro del vecchio mondo con il nuovo, il mondo
dei libri di cavalleria messo in discussione da una società che cominciava a
stancarsi di quelli, e combatte tra realtà e finzione, tra il mondo medievale
e quello rinascimentale.


























Si è detto, e con ragione, che il dramma di don Chisciotte è consistito nel
voler cambiare con armi vecchie, piene di ruggine e fuori uso, i torti e i so-
prusi del presente. Cioè: cambiare con le armi del passato un presente per
il quale hanno perduto ogni efficacia.
Uno dei componenti di quel vertice cui ci siamo riferiti è in quella che forse
può essere la suprema contraddizione e il più acuto dei contrasti di quel ro-
manzo, che riguarda non unicamente il mondo di un pazzo, ma quello di
tutti noi che leggiamo il 'Chisciotte': il confronto tra ciò che crediamo e ciò
che siamo, tra ciò che siamo e ciò che gli altri ammettono che siamo.
Tra l'eroe che immagina di essere don Chisciotte e la considerazione degli
altri, che lo ritengono pazzo, vi è la stessa distanza che vi è tra ciò che sia-
mo e ciò che la gente pensa di noi: questa è la fonte dell'insoddisfazione o,
se si vuole del desiderio.
(Andrés Trapiello, Le vite di Miguel de Cervantes)


 










  


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