CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 28 marzo 2021

RACCONTI DELLA DOMENICA (8)



















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Racconti della Domenica (5/7)













E’ certo giunto il momento di presentarmi….
Per cominciare non sono né un pazzo né un essere stravagante. Ci tengo a precisarlo, perché non vorrei che prendeste per menzogne le cose che vi racconterò…
Mi chiamo Darrell Standing, un nome che alcuni lettori non faranno fatica a ricordare ma, poiché a tutti gli altri non dirà nulla, è opportuno che mi presenti come si deve…
Anni fa ero docente di Agronomia ed Ecologia Eco-compatibile alla Facoltà di Scienze della Terra dell’Università della California. Otto anni fa la sonnolenta città universitaria di Berkeley fu sconvolta dall’omicidio del professor Haskell, assassinato all’interno del laboratorio dell’Istituto minerario inerente alle Ricerche geologiche della stessa… Terra…
Fu detto l’assassino Darrell Standing…
Sì, certo, ma voglio confessarvi che non sarò impiccato per questo delitto, che al tempo mi costò l’ergastolo: avevo allora 36 anni… oggi non me lo ricordo più sempre in ragione del Tempo… (poi vi spiegherò…).




Qui al carcere penitenziario lo chiamano isolamento, cinque dei quali immerso nell’oscurità, eppure in questi anni di ‘morte in vita’ sono riuscito ad attingere una libertà che solo pochi conoscono. Io, che fra tutti i detenuti ho sofferto la segregazione più dura, la persecuzione più ingiustificata e spietata, eppure non ho vagato soltanto per il mondo, ma anche come vi accennavo attraverso il Tempo…
Coloro, i maledetti, che mi murarono vivo per anni, mi concessero – involontariamente, si intende – il privilegio di percorrere i secoli… Ora sono qui, nel braccio degli assassini del carcere che attendo il giorno fissato dalla macchina dello Stato, quando cioè i suoi fedeli servitori ed aguzzini mi porteranno in quella che chiamano tenebra di cui hanno paura e da cui attingono immagini di superstizione e terrore, davanti agli altari delle loro divinità antropomorfe, generate dal medesimo orrore.
Non sarò mai preside di una facoltà di agricoltura né tantomeno un celebrato docente ecologo, ma la materia la conosco bene: era il mio mestiere, sono nato con essa e prima di questa…




Mi basta uno sguardo per distinguere una vacca da un porco… e mi basta uno sguardo, non al singolo appezzamento, ma alla pura e semplice morfologia della zona, per indicare pregi e difetti del suolo nonché futuri accidenti… Non mi serve la cartina al tornasole quando dico che un terreno è avvelenato, ma tuttavia lo Stato accompagnato dalla grande massa del suo gregge della propria movibile e barattabile pecunia nominata ‘cittadini’, crede di poter cancellare questa mia osservazione scagliandola nel buio eterno mettendomi alla forca e dando un brusco strattone alla forza di gravità, se non fosse propria la nominata Facoltà della Terra che ha contraccambiato e rovesciato l’esito della sentenza e la forca si è trasformata nel loro capestro… del tempo belato… non certo rimato in quanto la poesia come la Visione senza Tempo non gradita al Convivio di un popolo nominato eletto… (1*)




(1*) Per compier l’esame di quei mondo fantastico che, in diverse forme atteggiato, era presente alla immaginazione del poeta (come dello scrittore…), quando, per compiere un giuramento affettuoso, poneva mano alla Commedia, giova adesso conoscere la categoria di Visioni che dicemmo politiche.
Alleato alle visioni contemplative, nate da allucinazione sincera, o dettate da zelo di spirituale perfezionamento, altre ne sorgono ben presto, che, sotto l’involucro religioso, celano fini ben differenti. Queste, non più di monaci devoti, ma sono opere principalmente di ecclesiastici involti negli umani negozi, i quali se ne fanno strumento tanto più terribile e poderoso, quanto maggiormente il secolo è proclive a ciecamente credere ciò che in esse è narrato.




Così all’estatico  rapimento del devoto, succede il sogno premeditato del politico, e la visione diventa acconcissima non solo a punire i persecutori della religione quanto la società intesa come luogo ove vivere e consumare l’umano e terreno passaggio materiale (vedi S. Francesco e gli Eretici prima e dopo di lui), ma anco a santificare il possesso dei beni terreni, a magnificare e premiare i dotatori dei monasteri, a minacciare i renitenti e i ribelli, e spaventarli con terribili esempi.
La visione di questa forma non invita tanto al pentimento del peccato, quanto al pagamento delle decime, e più che la religione tutela le immunità degli ecclesiastici e con loro dei politici corrotti.




Seguendo le vicissitudini della Chiesa, dal momento che essa divenne un potere umano, e alla direzione delle anime volle unire il governo della civile società; la visione diviene arma dei vescovi contro i principi, e via via dei monaci contro i vescovi, e degli ordini religiosi l’un contro l’altro.
Allora gli abissi si popolano di coloro che peccarono anziché contro Dio, contro il pontefice e con lui contro la società; e nel paradiso abbondano, più che i confessori ed i martiri, coloro che arricchirono il clero accompagnati ai corrotti uomini di governo, e ne furono devoti e mansueti servitori. Uno dei più antichi esempi di queste visioni, nelle quali vediamo menzionati per nome, ad ammonimento i potenti della Terra…




Così come quel passo del Dialogo di S. Gregorio in cui si narra che un monaco dell’isola di Lipari, il giorno in che Teodorico moriva in Ravenna, vide volar per l’aria tre anime. Legato e scalzo, il signore d’Italia era trascinato da Giovanni papa e da Simmaco patrizio, da lui già perseguitati e fatti uccidere, e gettato entro la bocca del vulcano. Or non si direbbe che questa leggenda sia quasi la postuma vendetta dell’uomo romano e del cristiano ortodosso, contro il re barbaro e l’eretico seguace di Ario?




E mi portai con la memoria ai giorni della mia gioventù quando sedevo ai piedi di Ario, che era stato presbitero della città di Alessandria, prima di vedersi derubato della carica da quell’eretico e blasfemo di Alessandro, il seguace di Sabellio. Sì perché questo era Alessandro, un sabelliano, una vera creatura dell’inferno.
Avevo partecipato al Concilio di Nicea, che aveva sorvolato sulla questione. E ricordavo quando l’imperatore Costantino aveva bandito Ario e motivo della sua rettitudine, e che poi per motivi politici e per il bene dello Stato si era pentito di questa decisione e aveva ingiunto ad Alessandro di raccogliere Ario nella comunione subito, il giorno dopo.
Quella notte stessa Ario morì per strada per un violento malore, si sostenne, con cui Dio aveva esaudito le preghiere di Alessandro. Ma io dissi, e lo stesso fecero tutti i seguaci di Ario, che il malore era stato causato dal veleno e che il veleno proveniva da Alessandro in persona, vescovo di Costantinopoli e avvelenatore per conto del demonio. A questo punto il corpo su e giù lungo la roccia acuminata, parlando fra i denti e proclamando la mia inflessibile convinzione: ‘Che ebrei e pagani ridano pure, che celebrino pure il loro trionfo! Il loro tempo sta per finire. Quando verrà la fine dei tempi, per essi sarà la fine’.




Parlai a lungo tra me e me, su quello sperone di roccia che dava sul fiume. Avevo la febbre e di tanto in tanto bevevo in sorso d’acqua da un otre maleodorante che tenevo esposto al sole, in modo che il fetore aumentasse e l’acqua diventasse più calda e non mi trasmettesse alcun senso di refrigerio. In mezzo alla sporcizia della spelonca avevo un po’ di cibo, qualche radice e un pezzo ammuffito di focaccia d’orzo, ma, sebbene avessi fame, non mangiai nulla. Per tutta quella benedetta giornata non feci che sudare e soffocare al sole, mortificai la carne contro la roccia, contemplai il paesaggio desolato, riesumando vecchi ricordi, sognando e proclamando i  miei convincimenti.
Quando il sole tramontò nella effimera luce del crepuscolo diedi un ultimo sguardo a quel mondo che presto sarebbe scomparso. Tutt’intorno ai piedi dei colossi distinguevo le forme striscianti di belve che si rintanavano in quelli che erano stati una volta superbi monumenti innalzati dalla mano dell’uomo. Accompagnato dai loro ruggiti, mi rintanai nel mio buco e qui, già mezzo assopito, in preda a fantasticherie e visioni febbrili, mormorando fra me e pregando che la fine del mondo venisse presto, scivolai nel buio del sonno.
Ripresi conoscenza nella mia cella di rigore, attorniato dal solito gruppetto di bulletti...
Sono Darrell Standing e come vi ho detto fra non molto mi uccideranno, prima che questo avvenga voglio dire ciò che serbo dentro di me e parlare, in queste pagine… di altri tempi ed altri luoghi…




Dopo la sentenza, dunque, andai a trascorrere il resto della mia ‘vita naturale’ nel carcere di San Quentin, qui diedi prova di essere incorreggibile, e per ortodossa psicologia carceraria un soggetto spaventoso una sorta di mostro…
Mi avevano messo in un laboratorio di concimi chimici dannosissimi per il suolo ma con l’unico pregio di creare un ottimo raccolto, e vicino a questo laboratorio un altro ove assemblavano scarti di prodotti derivanti dal mancato riciclo di componentistica per computer, ove volenterosi ergastolani come me nonché programmatori ricavati dalla pirateria del nuovo oceano lavoravano a ingegnosi programmi da installare su parabole da orbitare per la sicurezza dell’Apocalisse del nuovo millennio…
Insomma un vero e proprio Inferno…
Io odio lo spreco non tanto del moto ma lo spreco del vero e più puro Intelletto così cercai di fargli comprendere che tutto ciò portava alla dissoluzione di qualsiasi ordine e comprensione contesi fra Verità e Ragione.
L’unico risultato che ottenni che è mi fecero rapporto e mi rinchiusero in una cella sotterranea, ove all’esterno e liberi nel fraudolento intento circolano indisturbati nei loro secolari misfatti falsi predicatori nonché ecologi e curatori dell’Anima composta e dismessa fra Terra e Cielo… così malamente curata…
Quando ne venni fuori, cercai di adattarmi alla caotica inefficienza dei laboratori di ogni risma e alchemica nuova sostanza… Mi ribellai di nuovo e questa volta, oltre la cella di rigore, mi beccai la camicia di forza: in segreto (e quanto vi sto narrando pura verità del misfatto) gli aguzzini dopo avermi pestato mi immobilizzavano contro il muro con le braccia in croce, mi appendevano per le mani con i loro chiodi….
Dovetti patire secoli e devo ancora soffrire quanto già sofferto giacché queste animali non conoscono Intelletto e Spirito e con loro l’Anima-Mundi della Terra con la quale riconoscere il vero e Primo Dio… Deve essere terribile, per un uomo, essere rosicchiato vivo dai topi: ebbene, per me, quelle guardie, quegli esseri sciocchi e brutali, erano e sono come dei ratti comandati a distanza… Dei ratti che mi rodono l’intelligenza la coscienza e tutto quanto fa di me una persona viva e pensante…(2*)




(2*) Ma l’abuso che per politici intenti e per fini mondani erasi fatto della visione, aprì la via, come suole accadere, ad altro abuso : e questa forma non fu quasi più altro se non tema di poesia e modo di satira nonché di inventiva dipanata nella scrittura (sottointeso ambedue perseguitate come Standing narra dal carcere).
Già non credevasi più allo visioni se non fossero raccontate da uomini che indi a poco fossero venuti a morire, come se il gran passo all’eternità fosse riprova del vero, e l’anima allora presentisse i suoi futuri destini e la vita avvenire; né tutti potevano addurre a testimoni dei loro racconti quella pelle color di fuoco che il tedesco Evervaco riportò dai tormenti infernali (tutto chiuso ed assiso all’alchemico suo laboratorio… un ergastolano anco lui…).




Intanto ai monaci solitari ed agli inframettenti prelati succedono lieti e giocondi poeti laici. La famiglia dei Troveri, dei Giullari e dei Menestrelli, allegri e spensierati quanto severi e cupi erano stati quei loro antecessori nell’uso della visione, venne a sorgere quando appunto più erasi della visione abusato. 
Posti quasi sempre in lotta e in antagonismo con un’ordine sacerdotale, questi poeti vollero anch’essi provarsi ad un soggetto così spesso trattato, e divenuto ormai popolare e comune; e ad occhi aperti e con aperto intelletto, finsero anch’essi un inferno e un paradiso. Ma se il clero e con lui l’intiera società detta civile aveva confitto....
















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