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& Volare o Nuotare? (13)
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Un Tomo:
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Un Tomo:
O voi ch’avete li
’intelletti sani
Mirate la
dottrina che s’asconde
Sotto ’l velame
de li versi strani
…La ‘dottrina’ quanto la ‘verità’ è nascosta….
Qui sorge
spontanea la domanda: perché nasconderla?
Ma ancor prima ci
saremmo dovuti porre un’altra domanda: come poteva un qualsiasi signor
Alighieri, un laico, permettersi di proporre una ‘dottrina’?
Lo poteva fare
solo la Chiesa, che all’epoca bollava come eretico e metteva al rogo chiunque
non accettasse la dottrina da lei insegnata o addirittura osasse proporne di
diverse.
A questo punto
abbiamo la risposta alla domanda: perché nasconderla?
E’ ovvio che
dovesse farlo, ed è anche ovvio che era (ed è!) eterodossa, Eretica, o meglio:
quand’anche non lo fosse stata, tale sarebbe stata giudicata dai vertici della
Chiesa.
E infatti tale fu
giudicata, soprattutto nei primi secoli. Solo recentemente (1881), e sotto la
pressione della crescente considerazione dell’opera di Dante all’estero, fu
consentito alla Chiesa che la Commedia venisse pubblicata in Italia
integralmente, cioè senza i tagli dell’ Index
libro rum expurgandorum, e si dovette attendere il 1921 per sentire un papa lodare Dante quale paladino della fede
cattolica.
Certo ci volle
molto troppo tempo in patrio suolo italico…
Di ciò
bisognerebbe sempre tener conto: a nutrire dubbi sull’ortodossia di Dante non è
un manipolo di sobillatori anticlericali, ma era la Chiesa stessa, fino a non
molto tempo fa.
Con grande
coraggio il nostro Dante vuole ‘dottrina
dare’ ‘verità annunciare’.
Infatti sia il Convivio, sia la Divina Commedia contengono,
esplicitamente, una ‘dottrina’. Interessante l’aggiunta ‘la quale altri veramente dare non può’.
Anche qui dovremmo
chiederci a chi mai possa alludere Dante con quell’‘altri’ se non la Chiesa, l’unica autorizzata a ‘dottrina dare’ (e
certo in codesto medesimo velato Tempo non nego ma al contrario affermo il
nucleo sociale ove la sua ed altrui ‘espressione’ parte di una comune nonché monolitica
cultura…).
Non può essere
che la Chiesa. Ma allora perché Dante dice ‘non può’ darla?
Questo è un altro
degli infiniti fili che conducono
all’Eresia…
Se da un lato è
vero che, dati i tempi, una simile dottrina doveva essere ben nascosta,
dall’altro è anche vero che l’obiettivo era di farla conoscere. Il solo fatto
di usare la lingua volgare denota (già a partire dai trovatori) una volontà di
uscire dall’ambito dei pochi ‘litterati’,
ovvero di coloro che sapevano leggere e scrivere in latino. L’uso del volgare –
una vera e propria rivoluzione – apriva a un pubblico molto più vasto. Anche la
Divina Commedia sarà rivolta a tutti,
ai posteri soprattutto, a coloro che questo tempo chiameranno antico.
…Ed agli
intellettuali sani…
Ora, se Dante
voleva essere compreso, è ovvio che doveva scrivere in modo semplice. Infatti
la Divina Commedia è semplice: quello che la rende spesso difficile sono i
commenti dei critici.
Che cosa
intendeva Dante per ‘intelletti sani’?
Non certo gli
eruditi! Bensì la gente semplice, che ha il cuore puro e aperto o che sta
compiendo un ‘cammino spirituale’. L’‘intelletto’,
infatti, non è la ‘ragione’, non è la
facoltà di discernere e argomentare: è tutt’altra cosa. Intelletto e ragione
non sono sinonimi; averli considerati tali ha generato gravi fraintendimenti.
La conoscenza
intellettiva è intuitiva, è un ‘vedere’ puro, vero, assoluto, mentre la ragione
procede per deduzioni e dimostrazioni. Dante usa varie volte la parola
intelletto nella Divina Commedia, a partire da quando, appena varcata la porta
dell’Inferno, definisce i dannati le ‘genti dolorose c’hanno perduto il ben de
l’intelletto’. Con ciò non vuole certo dire che hanno perso la capacità di
ragionare, anche se è proprio questo che si intende oggi quando si usa l’ormai
proverbiale locuzione dantesca. Il ben de l’intelletto è Dio. E’ con
l’intelletto che Dante arriva a ‘vedere’ Dio, non con la ragione, della quale
infatti dice:
Matto è chi spera
che nostra ragione
possa trascorrer
la infinita via
che tiene una
sustanza in tre persone.
Della ragione può
dire che ha corte l’ali, espressione che non userebbe mai per l’intelletto, il
quale può essere offuscato, legato, piegato, ma non ha certo le ali corte, dato
che la sua natura è quella di volare in alto, sino a Dio.
Sono tutte
espressioni usate più e più volte da Dante. Quindi quando si rivolge ai lettori
che abbiano gli ‘intelletti sani’ intende rivolgersi a coloro in grado di
cogliere sotto il velo, tra le righe, un messaggio spirituale, non un discorso
razionale.
Nella terzina del
‘velame’ c’è anche un’altra parola
che viene in genere fraintesa: strani…
I critici, volendo limitare la portata di questa esortazione al singolo
episodio, chiosano una parola che non ne avrebbe bisogno. Allora ‘strani’ viene
forzato a significare ‘che narrano eventi straordinari’, o cose analoghe…
Dante è molto più
semplice: strani significa ‘strani’, nel senso che diamo ancor oggi a questo
aggettivo…
Cosa significa
nascondere un messaggio (come l’intero titolo di questo stesso 28esimo
capitolo?)…
Lo Spiega Leo Strauss in un saggio che ha un
titolo molto esplicito: ‘Scrittura e
persecuzione’ (proseguo in riferimento allo stesso autore con un tomo a vostra
disposizione da cui traggo pretesto evidenziando uno e più passi in ragione del
vostro intelletto…1*).
Strauss, il quale
non parla di Dante ma fa un discorso in generale applicato poi alle opere di
Maimonide e di Spinoza, sostiene che ogni persecuzione influisce sulla
letteratura in quanto ‘spinge tutti quegli scrittori che pensano in modo
eterodosso a sviluppare una peculiare tecnica letteraria in cui la verità sulle
questioni cruciali appare esclusivamente tra le righe…’.
Ragion per cui
ripetiamo il Verso strano… e voliamo in alto ‘oltre l’azzurro cielo visibile’ e
apostrofiamo con l’Eretico dire:
Intuisci un
(falso) creatore, mondo?
Cercalo al di
sopra del cielo stellato!
oltre le stelle
deve albergare…
e non certo nella
‘Grande Notizia’
annunciata
con solo un volto
e uno schermo…
di una falsa
‘parabola’ apostrofata:
Secondo di una
Parola
celare l’inganno
dell’intera ‘creazione’
motivo e materia
di un Guerra velata
in nome e per
conto
di una falsa economia…
spacciata!
(M. Sorasina, Libertà va cercando)
(M. Sorasina, Libertà va cercando)
(1*) Il discernimento degli ordini e delle cause, dei regimi e delle
opinioni, e dunque la disposizione o la facoltà necessaria alla vita politica,
dove si tratta di guidare
l’azione alle prese con un’esperienza imperfetta e opaca. Esso si mostra
però anche virtù teorica
più che mai nel caso della tentazione che la tirannia rappresenta per la
vita della Città e del pensiero, in modo specifico della Città moderna e del
pensiero moderno.
Le esperienze totalitarie sembrano infatti riassumere o illustrare, con
la stessa radicalità con cui danno ad esse una risposta inadeguata, le
questioni sollevate dalla vita politica e dal movimento moderno. Le
contraddizioni che in esse divengono drammaticamente operative sono le
contraddizioni intellettuali e politiche di un’epoca. Comprendere quelle
contraddizioni significa discriminare e orientarsi tra le dimensioni che compongono
le tirannie moderne, ma anche tra quelle che definiscono l’agire storico e il
rapporto dell’uomo alla Città.
Ciò vale per Aron in ambito di giudizio e commento dell’azione
presente, ma anche sul piano dell’interpretazione storica o dell’indagine teorica,
quando si tratta di rendere intelligibile la genesi di quei fenomeni, i loro
caratteri di regimi tirannici
delle società moderne
– o di regimi tirannici
delle società moderne
– e le loro dinamiche interne ed esterne. Quello sforzo di discernimento traduce
una profonda e paziente preoccupazione del vero e ispira ad Aron il ricorrente
richiamo a tener conto, nell’analisi del nazismo così come in quella del
comunismo, della diversità e dell’interazione tra le loro cause. La pluralità
di definizioni ricorrenti nell’opera aroniana riflette dunque, in un certo
senso, anche le contraddizioni epocali forzate o rese eclatanti dall’impresa
tirannica ed esprime un approccio analitico volto a cogliere senza forzature
speculative, ma senza nemmeno perdere di vista l’essenziale, quel composito
carattere. I tratti originali del fenomeno totalitario che si innestano sulle
tendenze antiche della tirannia, la situazione politica che rivela o si somma a
quella dell’anima, le crisi economiche, sociali e istituzionali che
estremizzano il dispiegamento di radicate contraddizioni intellettuali, tutto
ciò si cristallizza ed esprime sul piano dei motivi degli uomini che l’interprete mira a chiarire
nella loro contingenza, nelle loro possibili ragioni e nell’orizzonte generale in
cui trovano posto: vi sono sempre alternative fondamentali e possibilità eterne
al fondo di esperienze che si concretizzano in una congiuntura unica e
specifica. Una simile prospettiva mira a rispettare le articolazioni del
fenomeno umano e a preservare i diversi approfondimenti dal rischio dell’astrazione
legato all’isolamento analitico di fattori che trovano il loro esatto
significato solo all’interno del tutto a cui appartengono.
La pluralità di elementi e di contraddizioni che definisce le tirannie moderne
va cosi esaminata sul piano delle loro dottrine, delle loro pratiche e dell’interazione
tra queste ultime e le circostanze. Il regime sovietico va ad esempio compreso
per Aron come l’indissolubile combinazione di un ‘insieme di istituzioni’ e
della ‘intenzione metafisica’ di coloro che le hanno fondate. L’anima e i mezzi
delle tirannie moderne caratterizzano congiuntamente il fenomeno, non solo
perché i loro ambiti specifici sono modellati dalla loro complessiva finalità
politica o ideologica, ma anche perché la barbarie o la volontà tirannica che
esse rappresentano si afferma al culmine della modernità e dunque anche armata
dei suoi strumenti.
Allo stesso modo, o dalla stessa prospettiva, l’avvento e il carattere
dei totalitarismi risultano dalla concatenazione di situazioni interne e
internazionali (in primis la
guerra), di processi originali e drammi antichi, di disponibilità delle
masse e decisioni delle elites,
di matrici nazionali ed esperienze universali. Le dottrine che supportano e
sospingono le imprese totalitarie rendono particolarmente visibile o
intelligibile, se ben comprese, il paradossale ed esplosivo intreccio dei loro
motivi e dei loro progetti.
Le contraddizioni delle tirannie moderne sono in particolare scomposte e
messe in luce allorché Aron rintraccia ad esempio al cuore del loro movimento la
cooperazione tra cinismo e dogmatismo, o tra il più ‘sregolato’ machiavellismo
e un fanatico fervore religioso (secolare). Nel restituire l’atmosfera
spirituale respirata nella morente Germania di Weimar o la logica della
‘filosofia’ che animava l’impresa sovietica, Aron mostra come il concorso di
quelle opposte attitudini in una così efficace macchina distruttiva sia solo
apparentemente paradossale: i loro termini rinviano l’uno all’altro, come ‘manifestazioni
opposte della stessa crisi’.....
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