CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

mercoledì 3 marzo 2021

INTUISCI UN (falso) CREATORE, MONDO? (14) (28)



















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& Volare o Nuotare? (13)


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La grande Notizia....


Un Tomo:


















O voi ch’avete li ’intelletti sani
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto ’l velame de li versi strani




…La ‘dottrina’ quanto la ‘verità’ è nascosta….
Qui sorge spontanea la domanda: perché nasconderla?
Ma ancor prima ci saremmo dovuti porre un’altra domanda: come poteva un qualsiasi signor Alighieri, un laico, permettersi di proporre una ‘dottrina’?
Lo poteva fare solo la Chiesa, che all’epoca bollava come eretico e metteva al rogo chiunque non accettasse la dottrina da lei insegnata o addirittura osasse proporne di diverse.
A questo punto abbiamo la risposta alla domanda: perché nasconderla?
E’ ovvio che dovesse farlo, ed è anche ovvio che era (ed è!) eterodossa, Eretica, o meglio: quand’anche non lo fosse stata, tale sarebbe stata giudicata dai vertici della Chiesa.
E infatti tale fu giudicata, soprattutto nei primi secoli. Solo recentemente (1881), e sotto la pressione della crescente considerazione dell’opera di Dante all’estero, fu consentito alla Chiesa che la Commedia venisse pubblicata in Italia integralmente, cioè senza i tagli dell’ Index libro rum expurgandorum, e si dovette attendere il 1921 per sentire un papa lodare Dante quale paladino della fede cattolica.
Certo ci volle molto troppo tempo in patrio suolo italico…
Di ciò bisognerebbe sempre tener conto: a nutrire dubbi sull’ortodossia di Dante non è un manipolo di sobillatori anticlericali, ma era la Chiesa stessa, fino a non molto tempo fa.

Con grande coraggio il nostro Dante vuole ‘dottrina dare’ ‘verità annunciare’. Infatti sia il Convivio, sia la Divina Commedia contengono, esplicitamente, una ‘dottrina’. Interessante l’aggiunta ‘la quale altri veramente dare non può’.
Anche qui dovremmo chiederci a chi mai possa alludere Dante con quell’‘altri’ se non la Chiesa, l’unica autorizzata a ‘dottrina dare’ (e certo in codesto medesimo velato Tempo non nego ma al contrario affermo il nucleo sociale ove la sua ed altrui ‘espressione’ parte di una comune nonché monolitica cultura…).
Non può essere che la Chiesa. Ma allora perché Dante dice ‘non può’ darla?
Questo è un altro degli infiniti fili che conducono all’Eresia…
Se da un lato è vero che, dati i tempi, una simile dottrina doveva essere ben nascosta, dall’altro è anche vero che l’obiettivo era di farla conoscere. Il solo fatto di usare la lingua volgare denota (già a partire dai trovatori) una volontà di uscire dall’ambito dei pochi ‘litterati’, ovvero di coloro che sapevano leggere e scrivere in latino. L’uso del volgare – una vera e propria rivoluzione – apriva a un pubblico molto più vasto. Anche la Divina Commedia sarà rivolta a tutti, ai posteri soprattutto, a coloro che questo tempo chiameranno antico.
…Ed agli intellettuali sani…
Ora, se Dante voleva essere compreso, è ovvio che doveva scrivere in modo semplice. Infatti la Divina Commedia è semplice: quello che la rende spesso difficile sono i commenti dei critici.
Che cosa intendeva Dante per ‘intelletti sani’?
Non certo gli eruditi! Bensì la gente semplice, che ha il cuore puro e aperto o che sta compiendo un ‘cammino spirituale’. L’‘intelletto’, infatti, non è la ‘ragione’, non è la facoltà di discernere e argomentare: è tutt’altra cosa. Intelletto e ragione non sono sinonimi; averli considerati tali ha generato gravi fraintendimenti.
La conoscenza intellettiva è intuitiva, è un ‘vedere’ puro, vero, assoluto, mentre la ragione procede per deduzioni e dimostrazioni. Dante usa varie volte la parola intelletto nella Divina Commedia, a partire da quando, appena varcata la porta dell’Inferno, definisce i dannati le ‘genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto’. Con ciò non vuole certo dire che hanno perso la capacità di ragionare, anche se è proprio questo che si intende oggi quando si usa l’ormai proverbiale locuzione dantesca. Il ben de l’intelletto è Dio. E’ con l’intelletto che Dante arriva a ‘vedere’ Dio, non con la ragione, della quale infatti dice:

Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.

Della ragione può dire che ha corte l’ali, espressione che non userebbe mai per l’intelletto, il quale può essere offuscato, legato, piegato, ma non ha certo le ali corte, dato che la sua natura è quella di volare in alto, sino a Dio.
Sono tutte espressioni usate più e più volte da Dante. Quindi quando si rivolge ai lettori che abbiano gli ‘intelletti sani’ intende rivolgersi a coloro in grado di cogliere sotto il velo, tra le righe, un messaggio spirituale, non un discorso razionale.
Nella terzina del ‘velame’ c’è anche un’altra parola che viene in genere fraintesa: strani… I critici, volendo limitare la portata di questa esortazione al singolo episodio, chiosano una parola che non ne avrebbe bisogno. Allora ‘strani’ viene forzato a significare ‘che narrano eventi straordinari’, o cose analoghe…
Dante è molto più semplice: strani significa ‘strani’, nel senso che diamo ancor oggi a questo aggettivo…
Cosa significa nascondere un messaggio (come l’intero titolo di questo stesso 28esimo capitolo?)…
Lo Spiega Leo Strauss in un saggio che ha un titolo molto esplicito: ‘Scrittura e persecuzione’ (proseguo in riferimento allo stesso autore con un tomo a vostra disposizione da cui traggo pretesto evidenziando uno e più passi in ragione del vostro intelletto…1*).
Strauss, il quale non parla di Dante ma fa un discorso in generale applicato poi alle opere di Maimonide e di Spinoza, sostiene che ogni persecuzione influisce sulla letteratura in quanto ‘spinge tutti quegli scrittori che pensano in modo eterodosso a sviluppare una peculiare tecnica letteraria in cui la verità sulle questioni cruciali appare esclusivamente tra le righe…’.
Ragion per cui ripetiamo il Verso strano… e voliamo in alto ‘oltre l’azzurro cielo visibile’ e apostrofiamo con l’Eretico dire:

Intuisci un (falso) creatore, mondo?
Cercalo al di sopra del cielo stellato!
oltre le stelle deve albergare…
e non certo nella
‘Grande Notizia’ annunciata
con solo un volto e uno schermo…
di una falsa ‘parabola’ apostrofata:
Secondo di una Parola
celare l’inganno dell’intera ‘creazione’
motivo e materia
di un Guerra velata
in nome e per conto
di una falsa economia…
spacciata!

(M. Sorasina, Libertà va cercando)





(1*) Il discernimento degli ordini e delle cause, dei regimi e delle opinioni, e dunque la disposizione o la facoltà necessaria alla vita politica, dove si tratta di guidare l’azione alle prese con un’esperienza imperfetta e opaca. Esso si mostra però anche virtù teorica più che mai nel caso della tentazione che la tirannia rappresenta per la vita della Città e del pensiero, in modo specifico della Città moderna e del pensiero moderno.
Le esperienze totalitarie sembrano infatti riassumere o illustrare, con la stessa radicalità con cui danno ad esse una risposta inadeguata, le questioni sollevate dalla vita politica e dal movimento moderno. Le contraddizioni che in esse divengono drammaticamente operative sono le contraddizioni intellettuali e politiche di un’epoca. Comprendere quelle contraddizioni significa discriminare e orientarsi tra le dimensioni che compongono le tirannie moderne, ma anche tra quelle che definiscono l’agire storico e il rapporto dell’uomo alla Città.
Ciò vale per Aron in ambito di giudizio e commento dell’azione presente, ma anche sul piano dell’interpretazione storica o dell’indagine teorica, quando si tratta di rendere intelligibile la genesi di quei fenomeni, i loro caratteri di regimi tirannici delle società moderne – o di regimi tirannici delle società moderne – e le loro dinamiche interne ed esterne. Quello sforzo di discernimento traduce una profonda e paziente preoccupazione del vero e ispira ad Aron il ricorrente richiamo a tener conto, nell’analisi del nazismo così come in quella del comunismo, della diversità e dell’interazione tra le loro cause. La pluralità di definizioni ricorrenti nell’opera aroniana riflette dunque, in un certo senso, anche le contraddizioni epocali forzate o rese eclatanti dall’impresa tirannica ed esprime un approccio analitico volto a cogliere senza forzature speculative, ma senza nemmeno perdere di vista l’essenziale, quel composito carattere. I tratti originali del fenomeno totalitario che si innestano sulle tendenze antiche della tirannia, la situazione politica che rivela o si somma a quella dell’anima, le crisi economiche, sociali e istituzionali che estremizzano il dispiegamento di radicate contraddizioni intellettuali, tutto ciò si cristallizza ed esprime sul piano dei motivi degli uomini che l’interprete mira a chiarire nella loro contingenza, nelle loro possibili ragioni e nell’orizzonte generale in cui trovano posto: vi sono sempre alternative fondamentali e possibilità eterne al fondo di esperienze che si concretizzano in una congiuntura unica e specifica. Una simile prospettiva mira a rispettare le articolazioni del fenomeno umano e a preservare i diversi approfondimenti dal rischio dell’astrazione legato all’isolamento analitico di fattori che trovano il loro esatto significato solo all’interno del tutto a cui appartengono.
La pluralità di elementi e di contraddizioni che definisce le tirannie moderne va cosi esaminata sul piano delle loro dottrine, delle loro pratiche e dell’interazione tra queste ultime e le circostanze. Il regime sovietico va ad esempio compreso per Aron come l’indissolubile combinazione di un ‘insieme di istituzioni’ e della ‘intenzione metafisica’ di coloro che le hanno fondate. L’anima e i mezzi delle tirannie moderne caratterizzano congiuntamente il fenomeno, non solo perché i loro ambiti specifici sono modellati dalla loro complessiva finalità politica o ideologica, ma anche perché la barbarie o la volontà tirannica che esse rappresentano si afferma al culmine della modernità e dunque anche armata dei suoi strumenti.
Allo stesso modo, o dalla stessa prospettiva, l’avvento e il carattere dei totalitarismi risultano dalla concatenazione di situazioni interne e internazionali (in primis la guerra), di processi originali e drammi antichi, di disponibilità delle masse e decisioni delle elites, di matrici nazionali ed esperienze universali. Le dottrine che supportano e sospingono le imprese totalitarie rendono particolarmente visibile o intelligibile, se ben comprese, il paradossale ed esplosivo intreccio dei loro motivi e dei loro progetti.

Le contraddizioni delle tirannie moderne sono in particolare scomposte e messe in luce allorché Aron rintraccia ad esempio al cuore del loro movimento la cooperazione tra cinismo e dogmatismo, o tra il più ‘sregolato’ machiavellismo e un fanatico fervore religioso (secolare). Nel restituire l’atmosfera spirituale respirata nella morente Germania di Weimar o la logica della ‘filosofia’ che animava l’impresa sovietica, Aron mostra come il concorso di quelle opposte attitudini in una così efficace macchina distruttiva sia solo apparentemente paradossale: i loro termini rinviano l’uno all’altro, come ‘manifestazioni opposte della stessa crisi’.....


















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