CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

lunedì 15 marzo 2021

IL VIAGGIO (1 dei 3)

 






















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Altri casi di accanimento (6)








Nelle sue Memorie Dumas dà la sua definizione di Viaggio in questi termini:

 

È vivere e camminare in tutta la pienezza della parola; è dimenticare il passato e il futuro per il presente; è respirare profondamente, godere di tutto, afferrare la creazione come una cosa propria, è cercare nella terra miniere d’oro che nessuno ha scavato, nell’aria meraviglie che nessuno ha visto; insegue la folla e raccoglie sotto l’erba le perle ei diamanti che ha preso, ignorante e spensierato che sia, per fiocchi di neve e gocce di rugiada.




Schopp richiama inoltre prontamente la sua tendenza a fare affidamento su verbi che esprimono la presa di possesso (afferrare, cercare, cercare, raccogliere) attraverso l’intervento dello sguardo.

 

Scrittore, storico, narratore, turista, giornalista, geografo, l’autore è certamente tutto questo allo stesso tempo. Al di là di una traversata della Svizzera, è anche una traversata dello spazio europeo di cui parla.

 

Le voyage en Suisse rappresenta il luogo delle montagne e lo sguardo portato dalle società sui mondi di sopra si rinnova e si arricchisce. Se Dumas si rivolge alla Svizzera è anche perché, vittima di un attacco di colera la primavera precedente, segue i consigli del suo medico che gli ha descritto una terra di predilezione per chi cerca le virtù dell’aria buona.




Ma la partenza per le Alpi è anche un esilio politico volontario per questo repubblicano coinvolto nei tre giorni gloriosi del luglio 1830.

 

Il Viaggio rivela una elevata espressività (taluni dicono ‘dedotta’ e non del tutto ‘rilevata sul campo’, purtroppo i trucchi del mestiere non certo una novità dei nostri tempi) circa il ‘modus-operandi’ con cui concepito e ideato, oltre ‘mezzi’ e Sentieri adoperati, i quali a loro volta ci forniscono un metro di misura e giudizio del progresso conseguito, sia in materia di ‘comodità e privilegio’ per compiere gli stessi; sia il grado di ‘mutazione’ del territorio adattato alle esigenze, oltre che della normale sopravvivenza là dove il rapporto con l’intera Natura  manifesta la perenne operosità del ‘montanaro’ dettata dal costante mutamento del paesaggio geografico alpino in tutte le sue vallate nelle stagioni estive e invernali; sia il graduale e successivo (e ugualmente precipitoso) intervento ‘urbanistico’ (a valanga) adattato ai sempre più numerosi ‘turisti-pellegrini’ e appassionati di sport più o meno estremi.




Sia, aggiungiamo, tutte quelle necessità dettate dall’ingorda urgenza di taluni nel modificare l’assetto territoriale-urbanistico montano ad uso dell’improprio sviluppo edilizio, al fine di promuovere una più che sperimentata economia a breve termine con il cemento consolidato quale univoco araldo di conquista e progresso (di progetti conseguenti a tal fine ne possiamo contare a decine sono nominati cantieri a ‘buon fine’ senza che nessuno di coloro signori - detti verdi - si siano  mai apprestati nel dovuto contrasto della fallace ragione interpretativa adottata in ogni territorio ove posta tal falsa urgenza assommata ad altre improprie forme di associazione affiristico-politiche), affinché il nuovo piano edilizio possa conseguire - anche là ove esiste un Parco e una Legge di protezione e tutela, tutti gli obiettivi specifici di determinati ‘soggetti’ facenti parte di una specifica Economia la quale per propria secolare ignoranza disconosce qualsiasi forma di valorizzazione  storica ambientale, che non sia la precaria e instabile civiltà edilizia del turismo privata da qualsivoglia duratura condizione e cognizione di causa per il raggiungimento dello stesso fine.




È del tutto inutile ascoltare vasti proclami di nuova Economia verde quando vediamo interi paesaggi depredati e mortificati dell’antica bellezza, e per sempre sottratti al comune bene d’ognuno di poterli vivere in tutta la secolare armonia, in nome del falso senso economico adottato che da questa costante applicazione edilizia deriva.

 

È del tutto inutile udire parole reclamate e ciarlate e ben ‘sponsorizzate’ in sede Comunitaria per il bene d’ognuno dedotto da incomprensibili sillogismi privati dell’azione reale a tutela ambientale, quando vediamo mutare contesti geografici inghiottiti, non tanto dal secolare difficile inverno, ma dalla più feroce irreversibile  predatoria natura umana.




È del tutto inutile udire banchieri e sermoni quando dobbiamo vedere ogni Terra mutilata della propria bellezza e l’aguzzino violentarla al meglio della propria forza…        

 

Non parliamo degli ‘artisti’ dei quali l’opera pittorica (e non solo) sarà presto abdicata all’ingegno ‘meccanico-ingegneristico’ dei ‘nuovi poeti’ della ‘strada carrozzabile’, dell’antica mulattiera sarà difficile scorgerne lo scheletro così come d’ogni antica operatività dell’uomo scritta nell’impervia Natura perenne testimonianza del silente adattamento simmetrico ad ogni Elemento, è difficile, infatti, distinguere l’antica roccia megalitica e ugual  roccia isolata qual testimonianza di medesima presenza affine al Paesaggio di cui l’uomo diviene custode e pastore.   




 Stavo dunque riprendendo la mia vita di montanaro; pellegrinaggio di cacciatore, d’Artista e di Poeta, con l’album in tasca, la carabina sulla spalla, il bastone in mano. Viaggiare è vivere camminare e procedere nel pieno senso della parola, vuol dire dimenticare il passato e l’avvenire per il presente, vuol dire respirare a pieni polmoni, gioire di tutto, impadronirsi del creato come di una cosa propria; vuol dire cercare nella terra miniere d’oro non ancora scoperte, e nell’aria meraviglie che nessuno ha visto; vuol dire passare dopo la folla e raccogliere sull’erba le Perle e i Diamanti che essa, ignorante e indifferente, com’è, ha scambiato per fiocchi di neve o per gocce di rugiada…

 

Potremmo chiederci come e quanto cambiato il Paesaggio (compreso l’umano) e l’intero contesto in cui rilevato (e non solo nella verde Svizzera).

 

Come cambiato il modo di vedere concepire e ‘costruire’ il mondo con il nuovo Paesaggio adottato (divenuto urbano) insediato alle più alte quote a dispetto chi nelle stesse (sopra)viveva.




Quanto hanno influito ed influiscono ancora in termini di approccio territoriale le necessità transitorie intese come ‘beni di divertimento’ (e lusso) insediati nelle ‘Cattedrali della Terra’ (a tal fine inserirò brevi Passi ‘socio-esplicitativi’).

 

E quanto rimasto simmetricamente dell’antico Sentiero attraversato.

 

Come cambiate e irrimediabilmente mutate le prospettive di conservazione del territorio tradotto nella corretta interpretazione delle proprie risorse, ma soprattutto come al meglio gestite e valorizzate nel senso del ‘corretto uso’ di ‘bene comune’ (valori naturali assommati agli storico-artistici)…, oppure, al contrario, cancellate per far posto alla nuova visione e inopportuna invasione del pellegrino quale apostolo del futuro, il quale non disdegna di sfruttare la montagna nella progressiva interpretazione conseguente al dominio privato d’ogni cultura del luogo, nell’impropria visione di bellezza adottata (sottratta alla vera bellezza sfigurata in odio alla Natura) per la quale si  intende (o dovrebbe) per ‘bene comune’ nello sfruttare a vantaggio dell’effimero divertimento conseguente alla drastica rinnovata ricchezza dedotta e calcolata nello sfruttarla impropriamente per ogni nuovo insediamento non affine alla Natura.



  

 Come e quanto ha influito - e influisce ancora - il nuovo sport del secolo il quale degradato dell’originale Spirito di Natura affine ad ogni guida in nome dell’Arte e più certa bellezza dedotta e immortalata ma non certo violentata, ha svilito e ridotto l’intero paesaggio ad una grande palestra di massa, divenendo una odierna industriosa e artificiosa passarella alla moda di sempre più nuovi e vistosi (non men di difficili) argomenti e accorgimenti simmetrici ad un certo tipo di industria, si è soliti vederli quando scendono salgano o vengono salvati o raccolti in fondo ad impervie Vie pareti e spigoli, mentre si contemplano nei vistosi colori di ricchi indumenti privando della vera bellezza chi di colori in verità e per il vero… s’intedea…




Il viola che hora primeggia in taluni luoghi ha abdicato il proprio ruolo a goretex un nuovo e più resistente fiore dedotto da ugual freddo primaverile. Lo si vede spuntare all’improvviso non visto! Il pallido riflesso del giallo elevato e simmetrico all’universale gambo solare di cui il frutto, sarà presto calpestato da un nuovo scarpone modello impermeabile al freddo e gelo, ‘giallo’ lo guarda e medita vendetta rimpiangendo il legno dell’antico pellegrino: camminava a Passo di sandalo… e di certo non èra un  gambero!

 

Il libro di Dumas (almeno nell’edizione in forma ridotta della Vivalda) ci offre un valido metro di giudizio, potremmo dire un termometro degli spiriti di quel Tempo premessa del nascente Ottocento, oltre il grado che differenzia il (cittadino) ‘parigino’ dal ‘villano’, sia quest’ultimo rappresentato da una guida più o meno esperta, sia se accompagnata dal (ben) noto locandiere albergatore, figura non certo marginale nella propria arguta immutata teatralità dai tempi di Don Chisciotte; indistintamente rapportati ai nostri viaggiatori insediati in taluni ‘sacri quadri’ e contesti ‘dalla e nella’ Natura contemplati.




 …Dopo esserci fermati per circa un’ora di fronte a quel magnifico spettacolo, ci rimettemmo in cammino, continuando a salire in dolce pendio fino al monumento in cui ci trovammo sul punto più elevato della cresta dell’alta vetta. Già da parecchio avevamo lasciato dietro di noi gli abeti che, simili a bravi soldati respinti da un assalto, ci avevano offerto dapprima raggruppati in Foreste, l’aspetto di un’armata che si riunisce; più in alto, disseminati secondo la loro forza vegetativa, l’apparenza di tiratori che coprono la ritirata, poi, in ultimo, ove termina il loro indiscusso dominio, dei tronchi rovesciati, senza foglie, senza scorza, simili a dei corpi morti distesi e spogliati sul campo di battaglia…

 

‘Dove c’è il lupo, c’è bosco’.




 Attorno al 1980, gli scienziati avevano pronosticato la scomparsa di boschi e foreste, gli stesi anni del boom edilizio berlusconiano nell’odierno trionfo promosso nell’egemonia politica del Nord!

 

 Le piogge acide corrodevano foglie e radici e già a partire dall’anno 2000 le catene montuose avrebbero dovuto essere brulle e punteggiate qua e là da tronchi morti, tristi vestigia di un antico splendore, simmetricamente l’ingegno umano corrode e non tutela.




 Che fosse un’esagerazione oggi lo sappiamo, ma la paura di un pianeta arido e desertico assommata ai nuovi piani urbanistici montani ha evocato, solo in talune nazioni, la riduzione degli assetti territoriali emergenti al fine del turismo con tutto il cemento che ciò comporta. In poche parole alle piogge acide si sono assommate le grandi opere edilizie dell’uomo per il conseguimento di dubbi fini.

 

Il risultato raccapricciante! 

 

 Le leggi contro l’inquinamento atmosferico e l’introduzione dei catalizzatori hanno ridotto il tasso di acidità quasi a un livello preindustriale, e il bosco si è ripreso da queste avversità. La logica conseguenza è stata che l’interesse della collettività per i rapporti sullo stato fitosanitario di boschi e foreste si è spento.

 

Ma ora i nostri Boschi sono davvero di nuovo sani?


(Prosegue...)









 

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