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L'uomo della Natura &
Finché c'è Leonardo...
Prosegue in:
Achab: l'anima dell'ammiraglio (2)
....Se aveste
seguito il capitano Achab in cabina…
...dopo la
burrasca, la notte che seguì quella selvaggia ratifica del suo progetto da
parte della ciurma, l’avreste veduto avvicinarsi all’armadio nello specchio di
poppa, tirarne fuori un grosso rotolo spiegazzato di carte marine ingiallite, e
aprirsele davanti sul tavolo avvitato.
E poi l’avreste
veduto sedersi a studiare tutto assorto le varie linee e ombreggiature che vi
scorgeva, e tracciare con matita lenta e sicura altre linee su spazi che prima
erano vuoti. Ogni tanto ricorreva a mucchi di vecchi giornali di bordo che
aveva accanto, dove erano annotate le stagioni e i posti in cui, nel corso dei
viaggi di varie altre navi, erano stati catturati o visti dei capodogli.
Mentre
lavorava così, la pesante lampada di peltro sospesa con catene sulla sua testa
oscillava continuamente al muoversi della nave, e di continuo sulla fronte
segnata di rughe gli passavano sprazzi di luce e righe d’ombra, tanto che quasi
pareva che una matita invisibile, mentre Achab segnava linee e rotte sulle
carte gualcite, gli andasse tracciando anch’essa linee e rotte sulla carta
profondamente incisa della fronte.
Ma non fu
quella l’unica notte in cui, nella solitudine della cabina, Achab si mettesse a
meditare sulle sue carte. Le tirava fuori quasi ogni notte. Quasi ogni notte
qualche segno di matita veniva cancellato, e altri sostituiti. In realtà, con
le carte di tutti e quattro gli oceani davanti, Achab andava tracciando un
percorso per un dedalo di correnti e di gorghi, mirando a rendere più sicuro il
successo di quell’idea che gli ossessionava l’anima.
Ora, a
chiunque non conosca bene le abitudini dei cetacei, cercare in quel modo un’unica
bestia solitaria negli oceani senza fondo del nostro pianeta potrebbe sembrare
un compito assurdo e disperato. Ma non così pareva ad Achab, che conosceva le
leggi di tutte le maree e le correnti, e calcolando da lì le derive del cibo
dei capodogli, e tenendo poi presenti le stagioni regolari e accertate in cui
li si poteva cacciare in determinate latitudini, poteva calcolare con un grado
di probabilità che era quasi certezza il tempo più adatto per trovarsi in questa
o quella zona di caccia alla ricerca della sua preda.
In realtà
l’afflusso periodico dei capodogli in determinate acque è un fatto così
assodato, da far pensare a molti cacciatori che se si potesse studiare e
osservare da vicino l’animale nei suoi viaggi, e confrontare accuratamente i
giornali delle singole crociere dell'intera flotta baleniera, si troverebbe che
le migrazioni del capodoglio corrispondono per invariabilità a quelle dei
banchi di aringhe, o ai voli delle rondini.
Su queste
supposizioni sono stati fatti tentativi per tracciare elaborate carte
migratorie del capodoglio. Inoltre, nel passare da una zona di pascolo a un’altra,
i capodogli, guidati da qualche istinto infallibile, o diciamo piuttosto da
qualche segreto avvertimento divino, nuotano per lo più, come dicono i marinai,
in vene, viaggiando lungo una data linea oceanica con tale esattezza
inflessibile, che nessuna nave in base a nessuna carta ha mai percorso la
propria rotta con la decima parte di quella precisione meravigliosa.
In questi
casi la direzione seguita da ogni singola balena è dritta come la parallela di
un geometra, e la balena avanza in uno spazio strettamente limitato dalla sua
stessa scia, dritta e inalterabile; però la vena arbitraria in cui si dice che
in questi casi la bestia nuoti abbraccia di solito alcune miglia in larghezza
(più o meno, perché si pensa che la vena possa espandersi o restringersi), ma
comunque non supera mai la portata di vista dalle teste d'albero della baleniera
che scivola circospetta lungo quella magica zona.
Il
risultato è che in determinate stagioni, entro quella larghezza e lungo quella
vena, si possono cercare con gran fiducia delle balene migranti. E quindi, non
solo Achab poteva sperare di incontrare la preda in periodi determinati con
sicurezza e in campi di pascolo diversi e ben conosciuti, ma nell’attraversare
le più ampie distese d’acqua tra quei campi poteva regolare ad arte la sua
corsa in modo da avere, anche lungo il tragitto, una qualche probabilità d’incontrarla.
C'era, a
prima vista, un fatto che pareva intralciare il suo disegno folle ma metodico.
Ma in realtà forse non lo disturbava. Sebbene i capodogli che hanno istinti
gregari abbiano stagioni regolari per determinate zone, tuttavia non si può
dire in genere che le mandrie che quest’anno hanno battuto, diciamo, questa
latitudine e longitudine, risultino poi le stesse che vi si sono trovate nella
stagione precedente; e anche qui, del resto, ci sono esempi specifici e indubbi
nei quali si è verificato il contrario. In linea di massima la stessa
osservazione, se solo ne limitiamo la portata, vale per quei capodogli maturi e
anziani che vivono solitari, da eremiti. Di modo che, se putacaso Moby Dick era
stato visto qualche anno prima, ad esempio in quella zona detta delle Seychelles
nell’Oceano Indiano, o nella Baia del Vulcano lungo la costa del Giappone, da
ciò non seguiva che il Pequod, se si fosse trovato in uno di quei punti al
momento giusto, avrebbe dovuto incontrarcelo immancabilmente.
E lo
stesso per qualunque delle altre zone di pascolo dove, a volte, Moby Dick si
era fatto vivo. Tutte queste parevano soltanto le sue tappe occasionali e le
sue locande marine, per così dire, non i posti dove risiedeva a lungo. E se finora
si è detto delle probabilità che aveva Achab di attuare il suo piano, si è soltanto
alluso a tutte quelle speranze di successo marginali e fuori programma che
poteva avere prima di arrivare a un posto e un tempo determinati, nei quali
tutte le possibilità sarebbero divenute probabilità, e ogni possibilità, come
Achab sperava con tutto il cuore, quasi una certezza.
Quel
tempo e quel luogo particolari erano riassunti in un'unica definizione tecnica:
‘la stagione all'Equatore’....
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