Precedenti capitoli:
I molti morti del generale Wolfe &
Finché c'è Leonardo regna speranza
Prosegue in:
Parker Adderson,... Filosofo (Secondo atto) &
...La nave che affonda..&
L'uomo della Natura...
- Prigioniero, qual’è il tuo nome?
- Dal momento che dovrò perderlo domattina
all’alba, non vale la pena nasconderlo. Paker Addison.
- Il tuo grado?
- Alquanto modesto; gli ufficiali sono troppo
preziosi perché si faccia loro correre dei rischi col mestiere pericoloso della
spia. Sono un sergente.
- Di quale reggimento?
- Mi dovete scusare; la mia risposta potrebbe,
a quanto ne so, darvi un’idea di chi comanda le forze che avete davanti. Sono
venuto nelle vostre linee per ottenere informazioni simili, non per rivelarne.
- Non sei privo di arguzia.
- Se avrete la pazienza di attendere, mi
troverete abbastanza ottuso domattina.
- Come sai di dover morire domattina?
- Per le spie catturate di notte, questa è la
regola. E’ una delle simpatiche norme della professione.
Il generale mise da parte la dignità che si
addiceva a un ufficiale confederato d’alto rango e di chiara fama, e sorrise.
Ma per chiunque fosse in suo potere e tutt’altro che nelle sue grazie, quel
sogno di approvazione esteriore e visibile non era affatto di buon auspicio.
Non era né cordiale né contagioso; non si comunicò alle altre persone alle
quali era rivolto: la spia catturata che lo aveva provocato e la guardia armata
da cui era stata portata nella tenda e che ora si teneva un po’ in disparte, osservando
il prigioniero alla luce gialla della candela. Sorridere non faceva parte dei
doveri di un guerriero; egli era stato comandato ad altri scopi.
La conversazione fu ripresa; si trattava di processare
un delitto capitale.
- Dunque ammetti di essere una spia e di essere
penetrato nel mio campo, travestito come sei da confederato, per ottenere
informazioni segrete sul numero e la disposizione delle mie truppe.
- In particolare, sul numero. La loro
disposizione la conosco già. E’ cupa.
Il generale si illuminò di nuovo; la guardia,
che aveva un senso più severo delle proprie responsabilità, prese
un’espressione più austera e assunse una posizione appena più eretta.
Continuando a roteare il cappello grigio a tesa larga sul dito medio, la spia
girò senza fretta lo sguardo intorno a sé.
Regnava una certa austerità.
La tenda era una normale ‘canadese’ di due
metri e mezzo per tre, illuminata da un’unica candela di sego conficcata nel
manico di una baionetta, a sua volta infilzata in un tavolo di pino a cui
sedeva il generale, ora intento a scrivere e apparentemente dimentico
dell’involontario ospite. Un vecchio tappeto di stracci copriva il pavimento di
terra; l’arredamento della tenda si componeva poi di un vecchio baule di cuoio,
un’altra sedia e un rotolo di coperte; sotto il comando del generale Clavering,
la semplicità dei confederati e la mancanza di ‘pompa magna’ si erano
sviluppati al massimo. A un grosso chiodo conficcato nel palo d’ingresso della
tenda, era appeso un cinturone che portava una lunga sciabola, una pistola
nella fondina e paradossalmente, un coltello da caccia. Di quell’arma per
niente militaresca il generale era solito spiegare che era un ricordo dei
giorni di pace quand’era un civile.
Era una notte di tempesta.
La pioggia si rovesciava a cascate sulla tela,
con quel tamburello smorzato che ben conosce chi dorme in tenda. Ogni volta che
le raffiche di vento urlante si avventavano sulla fragile struttura, quella
tremava, ondeggiava e tendeva le corde e i paletti che la delimitavano.
Il generale finì di scrivere, ripiegò il mezzo
foglio di carta e parlò al soldato che montava la guardia ad Addison:
- Ecco, Tassman, portalo all’aiutante maggiore;
poi torna.
- E il prigioniero, generale?
- disse il soldato salutando, con uno sguardo
indagatore rivolto allo sventurato.
- Fa’ come ti ho detto
- ribatté seccamente l’ufficiale.
Il soldato prese la nota e sgusciò dalla tenda.
Il generale Clavering girò il bel volto verso la spia federale, lo guardò negli
occhi, non senza gentilezza, e disse:
- E’ una nottataccia, amico mio.
- Per me, sì.
- Indovina cosa ho scritto?
- Qualcosa che vale la pena di leggere, penso.
E, sarà forse vanità, mi azzardo a supporre che mi si menzioni.
- Sì; è il promemoria di un ordine da leggersi
al réveille alle truppe, e riguarda la
tua esecuzione. Ci sono anche delle istruzioni per l’ufficiale di polizia
militare affinché organizzi i particolari di circostanza.
- Spero, generale, che lo spettacolo sia ben
organizzato, perché vi prenderò parte.
- Desideri dare delle disposizioni particolari?
Vuoi vedere un cappellano, per esempio?
- Non credo di potermi assicurare un riposo più
lungo, privandolo di parte del suo.
- Buon Dio, amico! Non vorrai andare incontro
alla morte con nient’altro che delle battute sulle labbra? Lo sai che è una
faccenda seria?
- Come faccio a saperlo? Non sono mai stato
morto in tutta la mia vita. Ho sentito dire che la morte è una faccenda seria,
ma mai da chi ne ha fatto esperienza.
Il generale rimase in silenzio per un attimo; l’uomo
lo interessava, lo divertiva forse; certo non si era mai imbattuto in un tipo
simile.
- La morte - disse - come minimo è una perdita,
la perdita della felicità, che possediamo, e dell’opportunità di averne ancora.
- Una perdita di cui non saremo mai coscienti
può essere sopportata con compostezza e dunque attesa senza timore. Avrete
osservato, generale, che di tutti i morti che vi compiacete, da soldato, di
disseminare il vostro cammino, nessuno mostra segni di rincrescimento.
- Se l’esser morti non è una condizione
incresciosa, sembra però che il diventarlo , l’atto del morire, sia nettamente
increscioso per chi non abbia perduto la facoltà di sentire.
- Il dolore è spiacevole, non c’è dubbio. Non
ne ho mai patito senza provarne un più o meno intenso fastidio. Ma di chi vive
più a lungo, vi è più esposto. Quel che chiamate morire è semplicemente
l’ultimo dolore, non esiste qualcosa come il morire. Immaginate, tanto per fare
un esempio, che io tenti di fuggire. Voi alzate il revolver che per delicatezza
tenete nascosto in grembo, e…
Il generale si imporporò come una giovinetta,
rise appena, scoprendo i denti smaglianti, inclinò leggermente la bella testa e
non disse nulla.
La spia continuò:....
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